ROMA – Ho aderito alla Figec per un fatto sentimentale. Puramente sentimentale. Può sembrarvi strano, ma dietro questa scelta c’è tutta la mia storia professionale e c’è tutta la “calabritudine” del mio mondo.
Sono cresciuto come cronista in Calabria e sono cresciuto in anni in cui Carlo Parisi era già un leader sindacale. Carlo era uno di quelli che non si risparmiavano mai. Si concedeva ai bisogni degli altri. Un uomo lucido, severo con se stesso, attentissimo ai dettagli e alle sfumature. Con la capacità di guardare oltre, di progettare per gli altri, di immaginare per il gruppo orizzonti diversi da quelli magari reali, e soprattutto con la consapevolezza di non poter delegare tutto agli altri.
Ci sono cose che si fanno bene se si fanno subito e da soli, ci sono altre cose che si possono invece rinviare o delegare e lui ha sempre capito cosa sia possibile fare subito e cosa, invece, rinviare o delegare.
Carlo ha una grande capacità di analisi del presente, conosce il nostro mondo come le sue tasche, è cresciuto a pane e gestione sindacale, il giornalismo c’entra anche, ma nel suo caso viene dopo. La sua managerialità è tale da far dimenticare i suoi trascorsi in redazione, come praticante e compagno di lavoro dello stesso Peppe Soluri, che oggi è presidente dell’Ordine dei Giornalisti in Calabria. Lo ha dimostrato benissimo nel tracciare le linee direttive della sua Figec, nell’immaginare il suo team preferito, la sua squadra migliore, nel proporre alla guida della Federazione i suoi amici più carichi e più motivati e nel sostenerli fino in fondo.
Altri al suo posto avrebbero preferito i più “invisibili”. Lui, invece, ha scelto i migliori, consapevolmente, provocatoriamente, palesemente, quasi una sfida a se stesso, una prova di forza nel voler essere un passo avanti agli altri senza temere la qualità di chi da oggi lavorerà accanto a lui e anche per lui.
E poi il senso della libertà, sulla quale Carlo ha improntato la sua vita, e dell’indipendenza, unite alla capacità di saper dialogare con tutti. Non a caso, la “sua” Federazione è nata non “contro qualcuno”, ma per aiutare tanti altri a sentirsi meno soli e più liberi.
C’ero orgogliosamente anch’io quel giorno al Senato, quando è nata ufficialmente la Figec. E c’ero l’altro giorno, nella prima riunione che ha visto nascere il Consiglio nazionale.
Mi è piaciuto molto il saluto speciale che Carlo Parisi ha dedicato a Pierluigi Roesler Franz, grande protagonista sindacale, ma soprattutto grande cronista della mia generazione, un maestro che oggi con grande umiltà ha accettato di servire ancora una volta una causa comune, così come aveva già fatto in passato, per tanti anni e per tutti noi, nei vari organismi di categoria dove puntualmente veniva eletto sempre con votazioni bulgare.
E mi ha quasi commosso il modo in cui il segretario della Figec ha dato il benvenuto a un grande protagonista della vita dell’Ordine, Enrico Paissan, un uomo davvero adamantino che ha fatto della professione e dell’indipendenza la sua bandiera ideologica. Ho avuto il privilegio di stargli accanto per anni quando lui era vice presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti.
Un’emozione ancora il ritrovarmi seduto accanto a Giulio Francese, uno dei grandi cronisti siciliani di questi anni, figlio di Mario Francese, il più grande cronista siciliano di tutti i tempi, ucciso a Palermo la sera del 26 gennaio del 1979.
Era l’anno in cui io diventavo giornalista professionista con una tesi di approfondimento dedicata proprio alla mafia siciliana e l’idea di avere accanto un testimone di una delle stagioni più difficili dell’isola e dell’intero Paese mi ha riempito di orgoglio.
Potrei andare avanti a lungo parlando dei colleghi con cui ero seduto, ragazzi per bene, donne e colleghe molto più giovani di me che hanno segnato la storia delle redazioni dove hanno lavorato; uomini e donne che hanno scelto di tornare sulle barricate del sindacato per riaffermare un diritto al lavoro che non mortifichi nessuno e non lasci indietro “chi non sta dalla nostra parte”. È stato bello incontrarli e, soprattutto, sentirli parlare.
Sono giovani in cerca non di un sindacato unico, ma di un sindacato che imponga agli editori una linea severa ed equanime da seguire, un sindacato che non perda tempo a costruire sul nulla l’immagine di se stesso, un sindacato che non rincorra platee diverse dai tavoli sindacali, un sindacato che viva con i piedi per terra, e si renda conto che i più giovani non credono più in quello che è stato fatto finora, un sindacato che non tradisca le loro attese e le loro speranze, un sindacato che ritrovi quello che 50 anni fa io avevo trovato nella magia dei discorsi di Pierre Carniti – allora lui giovane leader della Cisl – quando alla folla che aveva davanti raccontava della sua vita e giurava davanti a tutti che avrebbe lottato fino in fondo per realizzare, come aveva fatto per se stesso, le attese e le aspettative degli altri.
Indimenticabile, ricordo, l’intervista che gli fece un giorno a Gioia Tauro Raffaele Malito, storico cronista sindacale della Rai, e in cui Carniti spiegava che «un Paese civile come l’Italia aveva avuto il grande privilegio di avere più sindacati insieme, educati a convivere insieme e a progettare insieme il futuro di tutti noi».
Non un sindacato al servizio del potere, quindi, ma un sindacato slegato dalle lobby più o meno sommerse che si muovono un po’ dovunque in ogni parte del mondo, e capace finalmente di rompere il “vetro di cristallo” che sta sopra di noi. Non lo vediamo a volte, ma c’è, eccome.
«Fino a che tutti non sono liberi – ripeteva Martin Luther King prima di essere ucciso – nessuno è libero». Per Benedetto Croce, invece, «la libertà al singolare esiste soltanto nelle libertà al plurale».
Confesso di aver trovato assolutamente commovente l’intervento di Rino Barillari: il grande fotoreporter italiano che sceglie la seduta di insediamento ufficiale della Figec per raccontare la difficoltà in cui un fotoreporter si trova oggi costretto a muoversi, una “giungla di ragazzi” che del giornalismo non sanno nulla di nulla e che, armati del proprio telefonino, danno la caccia ai mille personaggi pubblici per le strade, per poi sperare che qualcuno acquisti quella foto, in barba ai grandi professionisti di questo mondo. Ma lo fanno per una decina di euro a foto, per la gloria di vedere sotto quella foto il proprio nome, e lo fanno al servizio di gruppi editoriali che hanno ormai capito che a questa “giungla” di ragazzi, truppe senza nome e senza storia, basta dargli qualche spicciolo per farli ricominciare, poi, il giorno dopo.
Niente accordi, niente contratti, niente contributi, niente garanzie, nessun futuro per nessuno. The King, fa quasi tenerezza il re dei paparazzi romani che sceglie la sala dell’Hotel Massimo D’Azeglio per spiegare quanto sia grande per tutti loro la necessità di regole più chiare.
Fin dove si può arrivare? Dove incomincia e dove finisce il diritto alla privacy? Quanto si rischia pubblicando la foto di un cadavere per terra? Cosa si deve fare se le forze dell’ordine ti impediscono di fare bene il tuo lavoro? È corretto mandare in onda le immagini già selezionate o i servizi chiusi che ogni giorno arrivano in redazione da polizia, carabinieri, guardia di finanza e procure varie e che si sostituiscono di fatto al nostro lavoro e al nostro ruolo di verifica preventiva? C’è sempre da fidarsi? Il dibattito rimane affascinante e attualissimo.
Un tempo – spiega questa leggenda vivente che per tutti noi è Rino Barillari – «per entrare in ospedale e fotografare un personaggio importante, qualcuno di noi si camuffava da infermiere o da portantino, e portava a casa la foto del giorno, ma la foto del giorno nella maggior parte dei casi era un pezzo di storia della nostra Repubblica. Penso alla morte di Moro».
Oggi se non stai attento ti arrestano sul posto, ma la cosa peggiore – aggiunge Rino Barillari – «è che sei solo con te stesso, perché non c’è più il sindacato di una volta che ti difendeva con i denti».
Ha ragione il presidente della Figec Lorenzo Del Boca: «Qui serve ricostruire sulle macerie, sul passato, sulle colpe congenite di tanti, sulle assenze istituzionali di troppi di noi, sui troppi silenzi conniventi di una categoria che ha perso la sua grinta originaria», e serve farlo in assoluta libertà e con grande spirito di indipendenza.
Ci riusciremo mai? Ci riuscirà la Figec? Ma perché non provarci? Perché non dare credito a questi “ragazzi” che hanno scelto di allargare la platea tradizionale del vecchio sindacato unico?
«Quello che mi piace molto – mi ripeteva sottovoce nel corso dell’assemblea Mario Nanni, storico cronista politico dell’Ansa e oggi direttore di Bee Magazine – è che Figec non parla solo a noi giornalisti».
La Figec, dunque, non parla più solo a chi, come me e come Mario, o come la stragrande maggioranza di noi in quella sala del Massimo D’Azeglio, fa ormai per mestiere da tantissimi anni il cronista, ma ha scelto e deciso di allargare il suo orizzonte, rivolgendosi anche al resto. E il resto – lo ha spiegato benissimo Carlo Parisi quella sera – il resto è tutto quello che ne è strettamente collegato.
Figec di fatto sta per tante cose insieme, i comunicatori, i direttori di fotografia, gli autori di testi, gli sceneggiatori, i freelance, i web master, i fotoreporter, i poeti, gli attori, i registi, i parolieri, gli artisti, i social media manager, insomma tutto questo è lo specchio di una professione che è cambiata, e anche radicalmente; è il mondo della comunicazione che non è più quello di ieri, e non rendersene conto significherebbe continuare a tradire se stessi, a prendere in giro le proprie coscienze o, peggio ancora, a tacere a se stessi quello che, invece, è sotto gli occhi del mondo.
Ben venga la Figec, dunque. Ben venga il confronto con gli altri. Anche duro, se serve, e se è proprio necessario, ma solo dallo scontro dialettico e ideologico, e questo ce lo insegna la storia, nasce sempre qualcosa di importante e di nuovo.
Chi teme la concorrenza delle opinioni, in un mondo governato oggi così prepotentemente dall’intelligenza artificiale, vuol dire che non ha capito davvero nulla di come sta cambiando il mondo, e se non lo ha capito è bene allora che si faccia da parte.
Per dirla tutta, basta con l’idea del sindacato unico. Un sindacato unico non serve più a nessuno e, soprattutto, un sindacato autocratico non garantisce più nessuno.
Attenzione, nessuno qui mette in dubbio il ruolo e la storia della Fnsi in questi anni in Italia, personalmente ho avuto l’onore di essere per lunghi anni anche membro dei Probiviri della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ma mai come in questo momento della vita del Paese sono convinto che la nascita della Figec possa solo aiutare il sistema complessivo e generale della comunicazione a crescere e a migliorare.
Ricordo il tema centrale dell’ultimo Congresso nazionale della Fnsi di Levico: “L’informazione non è un algoritmo”, e oggi tutto questo è assolutamente più vero che mai.
Chi tra di noi oggi sente davvero il bisogno di confrontarsi con una realtà sindacale moderna non può non credere che soltanto dalle idee comuni di tutti può nascere, e sul serio, un sistema di informazione finalmente più libero e più consapevole del suo ruolo sociale. Ma anche un sistema di difesa e di tutela più forte rispetto alla controparte, che è sempre più agguerrita e che non è più l’industria editoriale “romantica” e avvolgente di una volta.
Guai ad avere paura del pluralismo o della libertà di pensiero. Ecco perché oggi dico fortissimamente «sì, Figec». Proviamoci, almeno. (figec.it)
Pino Nano
CHI È PINO NANO
Classe 1952, 45 anni di giornalismo alle spalle. Calabrese, giornalista professionista dal 1979, esordio nella redazione de Il Popolo, quotidiano della Democrazia Cristiana, entra in Rai come redattore ordinario nel maggio del 1982. Ma prima ancora, giovanissimo, era già uno dei volti noti di Telespazio Calabria, “inviato speciale” di “Filo Diretto”, la popolare trasmissione quotidiana condotta in studio da Tony Boemi, e subito dopo conduttore ufficiale del TG di Radio Tele2000, emittente nata a Vibo Valentia negli anni ’70 e diretta da Franco Todaro.
A soli vent’anni, invece, subito dopo la maturità classica, vive la sua prima esperienza radiofonica, interamente maturata negli studi di Radio Calabria diretta da Antonio Preta.
In Rai dal 2001 al 2010, è Capo Redattore Responsabile della Redazione Giornalistica della sede Regionale della Calabria, dopo aver condotto per vent’anni il TG regionale. Nel 2010 lascia la redazione di Cosenza, viene chiamato a Roma con l’incarico di Capo Redattore Centrale Responsabile dell’Agenzia Nazionale della TGR, incarico che ricoprirà fino al 26 novembre 2019, anno in cui andrà poi in pensione.
Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la sua intensa attività professionale, Cavaliere al merito della Repubblica nel 2005, nel 2009 – su proposta del ministro del lavoro Maurizio Sacconi – viene insignito della “Stella al Merito del Lavoro” conferitagli con Decreto del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Dal 1986 al 2010 è ininterrottamente consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e successivamente componente del Collegio Nazionale dei Probiviri della Fnsi e della Giunta esecutiva dell’Ucsi.
Nel 1995 un Sondaggio di Data Media, lo segnala come miglior conduttore dei TG regionali della Rai. Nel 1992, per quattro anni consecutivi, viene chiamato a far parte del pool degli Inviati Speciali di Detto tra noi, la popolare trasmissione televisiva di Rai Due, condotta prima da Piero Vigorelli, poi da Alda Deusanio, Alessandro Cecchi Paone, e Davide Sassoli.
Nel novembre del 1995, insieme a Piero Marrazzo Gianfranco Agus e Maurizio Crovato, diventa uno dei quattro Inviati Esterni della stessa trasmissione, che nel frattempo però ha cambiato nome, diventando prima L’Italia in Diretta, poi La Vita in diretta – direttore di rete Carlo Freccero, in studio Danila Bonito e Michele Cucuzza – ed in questa nuova veste realizza a Stoccolma una lunga inchiesta TV sulla diffusione della droga tra i giovani in Svezia.
Esperto di Storia della Pietà Popolare, per la Rai seguirà molto anche l’evoluzione del Movimento Mariano nel mondo. Sono sue le dirette televisive che Rai Due, tra gli anni 1996-1999, dedica al Grande Mistero di Lourdes, alla Storia di Suor Lucia e alle Apparizioni di Fatima, alla tradizione della Madonna Nera di Cetzokowa, al fascino del Santo Sepolcro di Gerusalemme, ai tanti Incontri di fede di Papa Woityla, al Grande mistero di Padre Pio, tra Pietrelcina e San Giovanni Rotondo, e ai tanti altri Santuari Mariani che esistono ancora in Europa.
Durante i tanti anni trascorsi in Calabria, invece, segue costantemente per la Rai il “Caso Natuzza Evolo”, realizzando decine di filmati e dirette sulla storia della “mistica che viveva il mistero delle stigmate” che Papa Francesco ha deciso di elevare Santa.
Pino Nano è socio promotore e consigliere nazionale della Figec Cisal. (figec.it)