Nostra intervista al grande Maestro che ha fatto della professionalità la sua ragione di vita

Piero Vigorelli: gli 80 anni di un genio del giornalismo

Piero Vigorelli

ROMA – Il 15 giugno 1944 nasceva a Zugo, comune svizzero di 30 mila abitanti, ai piedi del monte Zugerberg, Piero Vigorelli. 80 anni, dunque, orgogliosamente ben portati. Direi anche, sfacciatamente dichiarati. Impertinente, arrogante, prepotente, cocciuto, determinato come pochi, carattere spigoloso, che fa di lui un personaggio scomodo, altero, non sempre avvolgente, ma fedele al suo mantra: «Gli amici sono sacri e vanno difesi fino in fondo, ad ogni costo, sempre e comunque, e senza nessuna mediazione possibile».

Pino Nano

Combattente, partigiano nel senso più puro del termine. Se lo hai amico si vende l’anima per te e per la tua vita, e se hai bisogno di aiuto basta chiamarlo, il suo telefono è sempre acceso e sempre lo stesso, da 30 anni a questa parte, e la sua casa è aperta a chiunque abbia ancora qualcosa da dirgli, quasi un confessionale istituzionale dove da anni lui incontra e riceve chiunque abbia necessità di incontrarlo e chiederli un consiglio.
Grande cronista, grande inviato speciale, grande polemista e saggista contemporaneo. Piero non si nega mai a nessuno, ma guai ad averlo avversario. Come tutti i combattenti divide il mondo in due parti, da una parte i buoni, dall’altra i cattivi. La sua vita sembra quasi un romanzo d’appendice, e alla soglia dei suoi primi 80 anni l’uomo ha ancora mille sogni da realizzare nel cassetto privato della sua casa, nel cuore della Roma più antica.
Quando gli chiedo di poter raccontare la sua storia mi nega ogni possibilità di farlo: «Non sono ancora morto» mi grida al telefono, ma alle quarta volta si convince a farlo, anche perché gli spiego che un domani la sue nipotine, figlie di Ilaria la figlia, giornalista come lui, potrebbero essere felici di leggere un giorno un’intervista completa del “nonno-combattente”.

Piero Vigorelli

Come giornalista, avendo lavorato molto con lui, posso solo dire di avere avuto a che fare con un professionista di altissimo profilo. Cronista educato al rispetto delle parti, rigorosissimo nella scelta degli argomenti da affrontare, e nel modo di raccontare le cronache del giorno, attentissimo alle sue fonti, che ha sempre tenute segrete e difeso a ogni costo. Puntuale fino all’esasperazione, guai a concedersi un attimo di distrazione, mai una querela, mai un problema legale, mai un contradditorio negato a nessuno, pluralista, provocatoriamente aperto alle posizioni anche più estreme, e sempre pronto al confronto.
Ha diviso la sua vita tra giornalismo e passione politica, ma magna pars della sua vita è stato anche il sindacato. «Oggi lui – afferma Carlo Parisi, segretario generale della Figec Cisal – è uno dei nostri punti di riferimento assoluti. All’interno del Consiglio Nazionale della Figec lo consideriamo non solo un’icona, ma soprattutto una guida e un maestro».
Sembra che il tempo per lui non passi mai, e oggi all’età di 80 anni, Piero è più moderno di tanti di noi, e più avanti di tantissimi altri colleghi che a 40 o 50 anni credono di essere maestri del web.

Piero Vigorelli con il padre Giancarlo

Puntiglioso e informatissimo, aggiornato e mai scontato, Piero rimane uno dei unti di riferimento del giornalismo italiano, e non solo del giornalismo più classico, che era quello della carta stampata, ma anche e soprattutto della storia della Televisione italiana, maestro come pochissimi altri del racconto della cronaca quotidiana in televisione.
– Direttore, come inizia la tua storia di giornalista?
«La professione è spesso ereditaria. Mio padre Giancarlo era giornalista e scrittore, suo padre aveva una tipografia, sua madre era della famiglia Ghislanzoni, poeta della Scapigliatura milanese… Tutto torna».
– Giornalista già predestinato…

Piero Vigorelli

«In verità, da ragazzo ero più propenso a fare politica. A 22 anni ero vicesegretario nazionale dei giovani socialisti. Poi mi ha preso la mano e ho cominciato a scrivere su un settimanale socialista (L’Opinione) e pian piano sono entrato nel giornalismo».
– Che avvio è stato?
«Partenza con uno scoop mondiale».
– Ce lo racconti?
«A fine settembre del 1970 ero in Egitto con una delegazione del Psi. Il 28 settembre muore il presidente Nasser. Due giorni prima avevamo incontrato il vice presidente Sadat, che ci aveva detto che era per fare la pace con Israele e che ci dovevano essere due popoli e due Stati. Ricordo che in quei giorni ancora si sparava dalle due rive del canale di Suez. Sadat succede a Nasser e pubblico sul settimanale Tempo Illustrato un articolo dove riporto le idee “rivoluzionarie” del successore di Nasser. Fanno il giro del mondo, anche se molti erano scettici. Ma Sadat lo farà anni dopo, con gli accordi di Camp David del 1979 con Israele, che costarono l’espulsione dell’Egitto dalla Lega Araba per 10 anni».
– Un bel colpo!
«Pensa che sono stato assunto come praticante al settimanale nel novembre 1970, ma devo dirti anche che giocavo in casa: mio padre era il critico letterario del Tempo».

Piero Vigorelli

– Chi fu il tuo primo maestro?
«A parte mio padre, che osservava e non interferiva, dispensando qualche consiglio (lo stesso ho fatto io con mia figlia Ilaria), devo dire che i miei articoli scritti nella redazione romana (Enrico Nassi caporedattore) alla redazione centrale di Milano passavano al vaglio del direttore Nicola Cattedra, di redattori del calibro degli scrittori Guido Vergani e Ermanno Rea, e a Roma Vittorio Gorresio e Andrea Barbato… Insomma, ero fra tanti guanciali».
– I momenti più importanti?
«Al Tempo ricordo le inchieste sulla mafia, le interviste ai boss mafiosi che fecero scalpore, fatte insieme con Enzo Catania (poi in un libro, L’Industria della droga, Marsilio editore). Chiuso il settimanale il 1° maggio 1974, vengo assunto dal Messaggero, direttore Italo Pietra. Qui c’è il passaggio dalle inchieste investigative tipiche del settimanale, al cronista di punta e da strada».
– Ci spieghi meglio?
«“Vigorelli, è mai stato in Algeria?”, mi dice Italo Pietra, che c’era stato anche per aiutare i partigiani contro il colonialismo francese.

Italo Pietra

“Allora lei va al quartiere Balduina di Roma, dorme lì in albergo, mangia lì, ci resta una settimana e ogni giorno, come se fosse in Algeria, mi manda un articolo sulle malefatte dei fascisti di Ordine Nuovo”. Articoli memorabili, andavo casa per casa a raccogliere testimonianze. Oppure Silvano Rizza, il capocronista: “Fammi un’inchiesta sul mercato ortofrutticolo di Testaccio”: Gli porto un’inchiesta molto documentata, nomi e cognomi del sistema mafioso, tutta perfettina. Lui: “Non ci siamo capiti… Vai al mercato alle tre di notte, punta una cassetta di frutta portata da un agricoltore e seguila passo per passo dentro il mercato, segui la moltiplicazione del prezzo fino al banco del negoziante che l’ha acquistata e venduta a un cliente”».
– Altri tempi, altra classe.
«Mi chiedo… Si fa ancora un giornalismo così? Anni dopo, da direttore avevo preso giovani in prova che volevano fare giornalismo. Dopo tre giorni, mi si presenta uno di loro… “Direttore, avrei pensato di scrivere un editoriale su…”. Il suo periodo di prova finì quel giorno…».
– Pentito di essere passato dalla politica al giornalismo?
«Assolutamente no. Le radici etiche del socialismo – libertà, fraternità, uguaglianza, neutralismo, garantismo – mi guidano sempre. Ma come diceva Winston Churchill, “Se a 20 anni non sei di sinistra, sei senza cuore. Ma se a 40 anni non sei di destra, sei senza cervello”.

Piero Vigorelli

Quindi voto felicemente e convintamente a destra. Per me è stato così. Spero accada anche per questi giovani di Free Palestina, che non sanno neanche dove sia la Palestina, non conoscono la storie e le guerre fra Israele e Stati arabi e – soprattutto – ignorano il fatto che non esiste un solo stato arabo o mussulmano che è pronto ad accogliere un palestinese che vuole fuggire da Rafah e dalla dittatura assassina di Hamas».
– Posso dire che mi pare un giudizio severo?
«Vedi, quei giovani starnazzano di genocidio, senza conoscere il significato e la tragica portata della parola. Non comprendono il valore della democrazia, perché Israele fa una guerra giusta, ma ogni giorno in Israele ci sono manifestazioni che chiedono la cacciata del governo. Per caso, nei paesi arabi e mussulmani che vogliono cancellare Israele e sterminare gli ebrei – questo sarebbe un genocidio – accadono cose del genere? Da che parte sta la democrazia? Da ragazzo ho fatto tante manifestazioni contro la guerra americana nel Vietnam e c’erano tanti giovani americani che manifestavano in Usa. Questa è la democrazia».
– Il direttore che più hai amato nella carta stampata?
«Al settimanale Tempo Illustrato, Nicola Cattedra. Parlava poco, era molto paterno. Al Messaggero, Italo Pietra e poi Vittorio Emiliani.

Vittorio Emiliani

Il primo era la classe. Ex partigiano che ha inventato il quotidiano Il Giorno, con un mix tra l’autorevolezza dei collaboratori e la carica emotiva della cronaca. Il secondo, Vittorio Emiliani, era cresciuto al Giorno con Italo Pietra. Devo a lui la scelta di mandarmi a Parigi come corrispondente del Messaggero Cinque anni meravigliosi».
– Parigi val bene una messa?
«Mi sono disintossicato. Avevo sulle spalle un decennio di sindacalismo praticamente full time e stavo perdendo il gusto per la professione. La mia famiglia è sempre stata di cultura francese, mi trovavo bene, ricordavo i miei trascorsi nel Maggio 1968 nella capitale, quartier generale in un ristorantino (Le Requin Chagrin, Il pescecane triste) in place de la Contrescarpe».
– Una stagione felice?
«Francamente mi sono rigenerato. In cinque anni esatti, avrò mandato a Roma più di 1.500 articoli, dalla politica alla cronaca, dalla cultura agli spettacoli e anche un po’ di sport. Un bel periodo anche per la Francia, con Mitterrand presidente, ma anche dopo con Chirac. Veri leader. Altro che Macron-Micron!».
– Quanti incontri importanti, direttore?
«A Parigi sono diventato presidente della Stampa Estera, residuo della passione sindacale, e in questa veste ho conosciuto i leader di governo e dell’opposizione francese.

Silvio Berlusconi

Ho conosciuto bene anche Silvio Berlusconi, che in Francia voleva far nascere La Cinq. Gli ho organizzato una memorabile conferenza stampa nella quale ha illustrato il suo progetto. Berlusconi non era il solo big italiano alla conquista della Francia. C’erano anche Raul Gardini e Carlo De Benedetti, che ho incontrato più volte. Tristezza, oggi, quando vedo che molte aziende francesi hanno fatto shopping in Italia».
– L’intervista più difficile?
«Quella con Massoud Rajavi, il leader dei Mojahedin del Popolo, l’esercito degli oppositori alla islamizzazione di Khomeini. Un viaggio in auto bendato, una serie di posti di blocco dei seguaci di Rajavi, una villa piena di uomini armati. Ma Rajavi e anche sua moglie erano persone simpatiche e genuine. Purtroppo, l’Iran è ancora sotto dittatura e non sarebbe male che i Free Palestina urlassero e manifestassero “Donna, Vita, Libertà”. È una mia illusione».
– Tornato da Parigi, inizi a lavorare in tivù…
«A Parigi, al Museo Picasso, incontro per caso il mio vecchio amico Giampaolo Sodano, che era da poco diventato direttore di Raidue. “Perché non molli gli ormeggi e vieni a lavorare per me?”. Detto e fatto.

Giampaolo Sodano

Dopo 15 anni al Messaggero come cronista, giornalista parlamentare, e inviato speciale e Parigi, avevo bisogno di ricaricare le batterie».
– A Rai Due nasce con te “La vita in diretta”, un successo che non è mai scemato…
«L’invidia fa spesso capolino… Ricordo che all’epoca, nel 1990, la tivù del pomeriggio era dominata da una lotta fra varie soap opera, da Sentieri a Uccelli di rovo. La vita in diretta sbaragliò il campo. Invece della fiction, ecco la realtà. C’era il racconto, tutto in diretta dal luogo dove era accaduto, di un fatto di cronaca nera, ma poi di uno di cronaca rosa, e ancora una questione sociale (cronaca bianca) da risolvere o un’inchiesta sui misteri religiosi e i presenti veggenti. C’erano tutti i colori della cronaca. Era il racconto della vita di tutti i giorni».
– Come reagì soprattutto Fininvest, che allora era “padrona” del pomeriggio tivù?
«Berlusconi mi ha spesso ripetuto che “All’epoca ci hai fatto molto male”. Allora ho dovuto resistere a non pochi attacchi mediatici sulla “crudeltà” del racconto, che puntavano alla cancellazione del programma. Missione per fortuna fallita».

Piero Vigorelli

– Nei fatti cosa è cambiato concretamente?
«Che si è scatenata la concorrenza, con trasmissioni quasi fotocopia dove – rilevo – il racconto di cronaca è diventato veramente truculento, dai plastici dell’abitazione di un delitto ai dettagli più scabrosi delle intercettazioni telefoniche. E a farlo erano quelli che mi avevano criticato».
– Quale era la tua regola di vita e di lavoro in televisione?
«La mia etica per la trasmissione era semplice: mai dalla parte degli assassini, sempre dalla parte delle vittime e la diretta si poteva fare solo se i parenti della vittima ci autorizzavano a farla. Nelle altre trasmissioni, ieri e oggi, quelle regole etiche difettano spesso».
– La tua “invenzione” continua oggi la sua strada. Sono passati 34 anni, anche se la cronaca in diretta oggi è traslocata su Raiuno con Alberto Matano.
«E mi godo il successo! Ricordo che nei miei quattro anni ha fatto una media superiore al 30 per cento di share, e che il record è stato il 48 per cento, con 5,6 milioni di spettatori, nella puntata del 6 gennaio mi pare del 1993, quando ho fatto conoscere agli italiani gli autentici doni mistici di Natuzza Evolo. Record che resta inviolato».

Natuzza Evolo

Ed a proposito di Natuzza Evolo, significativa la testimonianza di Carlo Parisi: «Ho conosciuto Piero Vigorelli a Paravati, dove ci eravamo recati assieme a Lorenzo Del Boca, Pino Nano e Giuseppe Sarlo, per consegnare a Natuzza il premio “Seminatore della speranza” conferito, oltre che a noi, a lei e che, per motivi di salute, non aveva potuto ritirare in mattinata a Vibo Valentia. Quando Piero uscì dalla stanza di Natuzza, volgendo lo sguardo sulla spianata, dove adesso sorge la Grande Chiesa, mi disse: “Ho fatto quattro trasmissioni su Natuzza e, non avendola mai incontrata, sono venuto qui per farle mille domande. Non gliene ho fatta nessuna, ma sono uscito con mille risposte”».
– Perché a un certo punto lasci “La vita in diretta”?
«In verità me l’hanno fatta lasciare. Il 1° maggio del 1994, Raidue – direttore Giovanni Minoli – non mi rinnova il contratto di autore e conduttore. Se ricordate, anche il 1° maggio del 1974 ero rimasto disoccupato, Non chiedetemi quindi perché, da allora, non ho mai più festeggiato la cosiddetta Festa del Lavoro. Il perché del mancato rinnovo, Giovanni Minoli non me l’ha mai spiegato, anche perché non mi ha neppure incontrato. Comportamento inspiegabile non solo televisivo. Eravamo perfino in sintonia politica, anche se io non ho mai fatto spot elettorali per Bettino Craxi».
– Pochi mesi dopo, nel settembre 1974, diventi direttore della Tgr Rai, la corazzata con quasi mille giornalisti in tutte le regioni italiane.
«Devo questa nomina al mitico Vincenzo Muccioli, che mi ha fatto conoscere la signora Letizia Moratti, presidente della Rai, a San Patrignano.

Piero Vigorelli con Vincenzo Muccioli nel 1994 a San Patrignano

Ricordo che Lei rimase impressionata per avermi visto arrivare con auto blindata e la scorta dei Carabinieri, perché dopo il fallito (per fortuna) attentato a Maurizio Costanzo del 14 maggio 1993, secondo la Direzione Antimafia sarebbe toccato a me, per via di tutte le puntate della Vita In Diretta contro la mafia. Ma ancora più impressionata – credo – è stata per le proposte innovative che le ho presentato sull’unghia. Non mi ero preparato ad essere candidato alla Tgr. Ovviamente, la mia candidatura è stata sostenuta senza riserve da Silvio Berlusconi, da Gianfranco Fini e da Umberto Bossi, che ero fra i pochi che lui frequentava a Roma quando era un semplice e unico senatore della Lega Nord, ed io ero giornalista parlamentare del Messaggero».
– In due anni alla TGR, ricordo, hai dato non pochi scossoni.

Piero Vigorelli con il Presidente della Repubblica Francese,
Jacques Chirac

«Servivano. I Tg regionali erano troppo “seduti” e troppo legati al potere politico locale. Prima direttiva: meno tagli dei nastri e più cronaca vera. Seconda direttiva: almeno una volta la settimana il Tg andava condotto in diretta da uno dei Comuni della Regione. Terzo: cambio di molti conduttori per mettere in pista figure più giovani. Ho assunto circa 150 giornalisti. Erano quasi tutti precari. E ho inventato la “terza edizione” della Tgr, alle ore 23 circa, attesa e promessa da una decina di anni, ma soppressa un anno fa. Ho inaugurato il Tg in lingua slovena e in Valle d’Aosta il Tg in francese. Ho creato una trasmissione sul semestre europeo dell’Italia e cercato una valorizzazione culturale degli antichi dialetti locali. Nel 1996 vince la sinistra di Prodi, cambia la dirigenza della Rai, resto senza incarichi e trasmissioni insieme a Michele Santoro, e dopo qualche mese entriamo in Mediaset. Lui prima di me».
– Passi a Mediaset. La maggiore differenza con la Rai?
«La Rai era un gigante abbastanza malato di burocrazia, bastava vedere il numero del personale, mentre Mediaset era più allegra e tendente a risolvere i problemi in fretta. Ma adesso queste differenze si sono azzerate. Sono due Mammut burocratici».

– Cosa rivendichi della tua esperienza nella tivù privata?
«Ricevuto l’incarico, mi costruivo un nido e potevo lavorare in santa pace. Ho fatto trasmissioni politiche come Parlamento In, Super Partes, Lex, con storie di ingiustizia. Ho diretto per due volte Verissimo, con Cristina Parodi e Paola Perego come conduttrici, che era la copia della Vita in Diretta. Ho guidato la redazione milanese del Tg5 e con Carlo Rossella, fino alla pensione nel 2010, sono stato vicedirettore del Tg5 a Roma».
– Il tuo maggiore successo di pubblico è stata la trasmissione Miracoli.
«I dirigenti Mediaset non credevano che sarebbe stata una trasmissione di successo. Io ho insistito. Ricordate che il record del 48% con La Vita in Diretta sui misteri religiosi.

Piero Vigorelli

Allora i dirigenti mi proposero, con scetticismo, di fare due puntate sperimentali a giugno. La prima puntata era contro la partita Italia Svezia agli europei: 26% la partita e 22% Miracoli. Briciole per le altre reti».
– Esame superato?
«Dopo ho fatto una cinquantina di puntate in tre anni, senza esagerare, perché i fatti straordinari non possono diventare ordinari banalizzandoli tutti i giorni. E ho scritto due libri, Miracoli e Nuovi Miracoli, Piemme editore. Regole etiche sempre le stesse. Si raccontava la vita di un Santo solo se le persone che avevano avuto un miracolo di guarigione per sua intercessione accettavano di parlarne. Per non limitare l’ambito alla sola Chiesa Cattolica, ho raccontato miracoli avvenuti in ambito ortodosso e maronita, oppure andando a Cuba per la Santeria o in Iran alle tombe di alcuni profeti, o in Israele per spiegare la Kabbala. Protagonisti anche alcuni veggenti viventi, da Natuzza Evolo a Fratel Cosimo e a Fra Elia. Ho assistito e filmato quando gli si sono formate le stimmate nei tre giorni della Passione. Ho anche distrutto la carriera di alcuni falsi veggenti, come Renato Baron di Schio, che diceva di parlare con la Madonna, che lo irrorava di profumo celestiale. Peccato che quel profumo era Paris di Yves Saint Laurent».
Andato in pensione, approdi a Telecom.

Piero Vigorelli

«Franco Bernabè mi nomina presidente di Timb, Telecom Italia Media Broadcasting, l’azienda che gestisce le frequenze televisive, proprio nel periodo critico del passaggio al nuovo digitale terrestre. Per fortuna, la transizione si è realizzata in maniera indolore Bella esperienza manageriale. Ottima squadra di dirigenti, competenza a parte, tutti e quattro di fede juventina come me».
– Rinneghi il tuo passato di sindacalista dei giornalisti?
«Ho iniziato nel 1975, sono stato per anni vice segretario nazionale della Fnsi, con Luciano Ceschia, Piero Agostini, Sergio Borsi. Ho poi fondato una nuova corrente sindacale (Svolta Professionale), perché quella maggioritaria (Rinnovamento) era diventata un Fronte popolare stalinista. Da Parigi, ho gioito alla vittoria di Giuliana del Bufalo e di Giorgio Santerini. Poi la Fnsi è ripiombata nell’oscurità e ho deciso di cancellare la mia iscrizione. Solo da un anno, con la nascita della Figec Cisal, di cui sono consigliere nazionale, ho di nuovo una tessera sindacale».
– Nel 2012 vieni eletto sindaco della splendida isola di Ponza.
«È un po’ un ritorno alle origini giovanili, alla politica. Erano più di 45 anni che Ponza era diventata la mia isola prediletta, dove trascorrevo le mie vacanze e pescavo a traina bei pesci, ricciole, dentici e cernie.

Piero Vigorelli, sindaco di Ponza

Nel 2012 Ponza usciva da una brutta vicenda giudiziaria, I Ponzesi sono stati coraggiosi nel votare il primo sindaco “forestiero”, che non aveva parenti o interessi privati da coltivare o difendere. Queste “mani libere” del forestiero mi hanno consentito di fare non poche scelte innovative e di legalità».
– Cosa rivendichi di quel tuo impegno?
«Sapevo che non sarebbe stato un passatempo. Quando sono diventato sindaco, a Ponza non c’era un semaforo e non c’era un’altalena pubblica per i bambini. Fatto. Rivendico l’ordinanza del sindaco che ha imposto alla Sep (Società elettrica ponzese) di realizzare una nuova centrale elettrica fuori dal centro abitato. A Ponza se ne parlava da 40 anni. La nuova centrale è operativa dal 5 aprile 2015, in collina. Ho fatto scelte, anche dolorose, come la chiusura della grande struttura della movida che era totalmente abusiva, la chiusura di due pontili con una serialità di abusi, o la riorganizzazione della Polizia Locale con alcuni vigili “forestieri”. Ho svuotato di detriti (una ventina di camion) due cisterne romane, che ora sono un’attrazione turistica e a Ponza, per stupire, ho fatto arrivare otto gondole veneziane, grazie all’ex caporedattore della Tgr Veneto, Maurizio Crovato.

Piero Vigorelli

Quanto ai progetti messi in piedi, quali il porto turistico, il dissalatore, la protezione del porto borbonico, sono tuttora rimasti progetti e sogni. Peccato, per Ponza e per i Ponzesi. La mia sola consolazione è che sono tanti che mi rimpiangono, nonostante avessi usato più il bastone che la carota».
– Torniamo alla professione. C’è ancora libertà di stampa in Italia?
«Penso che ce ne sia fin troppa e che – questo è il problema – si eserciti spesso in modo sguaiato e irrispettoso della verità. I giornalisti di oggi, specie i più giovani, sono dipendenti dai social che li autorizzano a sentirsi padroni invincibili.

Piero Vigorelli

Oppure sono dipendenti dalla magistratura, a cui fanno le fusa per avere sottobanco verbali di intercettazioni, allestendo così quel processo di piazza che piace tanto sia ai magistrati che ai giornalisti politicizzati, che si accucciano alle toghe rosse per diventare ciechi strumenti di occhiuti disegni. Lasciamo poi perdere le alzate di testa per compiacere il partito di riferimento. Tipo il Caso-Scurati, la mitica ufficio stampa delle primarie del Pd che forse ha pensato che la sua uscita l’avrebbe messa al riparo da una epurazione che però non ci sarà mai. O l’Usigrai, che si inventa bavagli solo quando la sinistra va all’opposizione e la destra toglie i bavagli che loro avevano messo. O Saviano che fa il martire, anche se in Italia non c’è persecuzione… Che tristezza infinita».
– Come per i giovani pro-Palestina, vedo che anche su parte dei giornalisti hai un giudizio severo.
«Mi rendo conto di aver esercitato la professione in tempi più eroici di quelli odierni. Osservo che molti giornalisti che oggi fanno i gradassi e i sapientoni, non hanno mai dettato un pezzo al volo da una cabina telefonica e non saprebbero farlo. È facile stare in panciolle dietro la scrivania e il computer, trovando la pappa pronta con il copia-incolla delle agenzie. Indro Montanelli diceva che spesso i giornalisti spiegano ai lettori quello che loro stessi non hanno capito. E Luigi Barzini jr ricordava che fare il giornalista è sempre meglio che lavorare. All’epoca lo dicevano con autoironia. Temo che in molti casi oggi sia tragicamente vero».

Piero Vigorelli con la moglie e la figlia Ilaria

– Direttore, a chi credi di voler dedicare oggi, a 80 anni, quello che ha fatto?
«A mia moglie, a mia figlia e alle mie due nipotine, che sono la mia vita. E alle moltissime persone che mi vogliono bene». (giornalistitalia.it)

Pino Nano

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