REGGIO CALABRIA – Diritto di cronaca salvo, nella lunga vicenda che vedeva contrapposti in tribunale il giornalista Agostino Pantano e Giovanni Pecora, vicepresidente della fondazione antimafia Antonino Scopelliti.
La Corte d’Appello di Reggio Calabria, ribaltando la sentenza di primo grado del Tribunale di Palmi, ha condannato Pecora riconoscendo il suo reato di diffamazione ai danni del cronista costituito parte civile.
La vicenda della residenza della famiglia Pecora nel palazzo del boss di Polistena era scoppiata nel 2012, a seguito di un articolo di Pantano che all’epoca lavorava per il Corriere della Calabria. Da quell’inchiesta ne scaturì una veemente reazione contro il giornalista, specie su internet ma anche sui giornali e sulle tv nazionali, tanto che Pantano fu costretto a denunciare i fatti alla magistratura.
In primo grado l’imputato era stato assolto dal giudice, che considerò il linguaggio di Pecora frutto del suo diritto di critica.
In pratica, il giudice aveva riconosciuto l’appropriatezza dei servizi di cronaca del giornalista, ma non aveva censurato la palese incontinenza di linguaggio e l’orchestrazione dei ripetuti attacchi da parte dell’imputato, che aveva agito in combutta con altri nel suo intento di diffamare il cronista.
Contro la sentenza avevano proposto appello sia la parte civile, difesa dall’avvocato Maria Corio, sia la Procura di Palmi guidata dal procuratore Ottavio Sferlazza. Pecora è stato condannato ad una multa di 600 euro, pena sospesa, e a rifondere le spese legali sostenute dalla parte civile nei due gradi di giudizio, mentre la Corte ha disposto che il risarcimento da riconoscere a Pantano debba stabilirsi in sede civile.
Pantano, che oggi collabora con il network calabrese LaC ed è revisore dei conti dell’Unci. l’Unione nazionale cronisti italiani. era stato al centro di un paradossale caso giudiziario per i suoi articoli sullo scioglimento per mafia del Consiglio comunale di Taurianova, pubblicati sul quotidiano Calabria Ora. A denunciare il caso era stato il segretario generale aggiunto della Fnsi, Carlo Parisi, che il 5 marzo 2015, su Giornalisti Italia, aveva reso nota la vicenda che vedeva Pantano imputato di aver “acquistato, ovvero ricevuto, notizie sottoposte al segreto di ufficio”. L’ultima, paradossale, variante del bavaglio ai giornalisti, aggravata dal rischio di finire in galera con una condanna fino ad otto anni di reclusione, il 14 luglio 2016 era stata però bocciata dal Tribunale di Palmi, che aveva assolto Agostino Pantano “perché il fatto non sussiste”. (giornalistitalia.it)
Il vicepresidente della Fondazione antimafia Scopelliti dovrà risarcire il giornalista