LAMEZIA TERME (Catanzaro) – Il giornalista Pasqualino Rettura non ha diffamato l’allora presidente del Consiglio comunale di Lamezia Terme, Francesco De Sarro, ma ha semplicemente fatto il proprio mestiere: pubblicare una notizia vera.
Con sentenza di primo grado emessa dalla Sezione Civile del Tribunale di Lamezia Terme, in persona del Giudice Lucia Vidoz, è stata infatti respinta la domanda risarcitoria avanzata dall’allora presidente del Consiglio comunale di Lamezia Terme al giornalista del Quotidiano della Calabria, poi Quotidiano del Sud, Pasqualino Rettura, al direttore responsabile Rocco Valenti, nonché alla Finedit srl, già società editrice del Quotidiano della Calabria.
Francesco De Sarro, all’epoca dei fatti presidente del Consiglio Comunale di Lamezia Terme, rappresentato dall’avvocato Stefania Buffone, aveva chiesto la condanna dei tre soggetti, in solido tra loro, al risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza della pubblicazione, avvenuta il 15 marzo 2016, sul giornale “Quotidiano della Calabria”, dell’articolo «“De Sarro eletto coi voti comprati” le indagini inguaiano il padre del politico».
Ritenendo l’articolo diffamatorio, De Sarro aveva chiesto, ai sensi dell’ex art. 12 della legge sulla stampa, la condanna di Rettura, Valenti e della Finedit al pagamento della somma di 51 mila euro o, quantomeno, di una somma quantificata dal giudice.
Si costituivano in giudizio la Finedit srl, il giornalista Pasqualino Rettura e Rocco Valenti, in qualità di direttore del “Quotidiano della Calabria” (tutti difesi dall’avvocato Teresa Maria Faillace), i quali in primo luogo eccepivano il difetto di legittimazione passiva della Finedit Finanziaria Editoriale srl, per non essere più l’editrice della testata giornalistica in questione; nel merito, contestavano gli avversi assunti e rilevavano che l’articolo oggetto delle contestazioni era stato redatto nell’ambito dell’esercizio del diritto di cronaca.
Deducevano, infatti, che sussistevano l’interesse pubblico alla divulgazione del fatto, la verità dello stesso e la continenza della forma espressiva; assumevano, dunque, l’infondatezza della domanda e concludevano per il rigetto della domanda avversaria, con liquidazione a proprio vantaggio delle spese processuali. All’udienza del 20 dicembre 2016 veniva autorizzata la chiamata in causa della società Edizioni Proposta Sud srl, che non si costituiva in giudizio, e il giornalista Pasqualino Rettura.
«Deve evidenziarsi – scrive il Giudice nella sentenza di primo grado – come, nel caso di specie sussista il requisito dell’interesse pubblico per il fatto oggetto della notizia. Infatti, non appare revocabile in dubbio la pertinenza della notizia, dunque l’interesse per la comunità cittadina di Lamezia Terme di conoscere le vicende che avrebbero portato all’elezione del Presidente del Consiglio Comunale, risultato primo eletto alle elezioni del maggio 2015. La notizia inoltre, doveva considerarsi vera all’epoca dei fatti, poiché trovava la sua fonte in un atto dell’Autorità giudiziaria (v. Cassazione civile, sez. III, 4 febbraio 2005, n. 2271 cit.)».
Per il giudice del Tribunale di Lamezia Terme «merita condivisione, infatti, quanto osservato da parte convenuta in relazione alla necessità che l’accertamento della veridicità debba essere compiuto sulla base degli elementi conoscitivi posseduti al momento della pubblicazione, quando non erano a disposizione del giornalista notizie ulteriori o fatti occorsi successivamente. Del pari, si ritiene assolto il requisito della continenza formale, avendo il Rettura utilizzato un linguaggio corretto, adeguato e misurato senza alcuna illazione e/o accostamento suggestivo».
Alla lettura dell’articolo di giornale il giudice osserva, infatti, che «nello scritto domina il modo condizionale in relazione ai fatti ancora da accertare come penalmente rilevanti e nel suo contenuto si esplica quanto emerge dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari a carico di Lazar Claudiu Constantin, Claudio Belville e Luigi De Sarro, versato in atti da parte convenuta, senza alcun tipo di giudizio personale. Infine, non appare condivisibile quanto evidenziato dalla difesa attorea in merito alla suggestione che fotografia, titolo e grafica intenderebbero evocare con finalità diffamatoria».
«Innanzitutto – scrive ancora il Giudice – il titolo non presenta un carattere più evidente rispetto a quello di altri articoli presenti nel quotidiano e la mera presenza della fotografia dell’attore, Francesco De Sarro al centro dell’articolo, che proprio nel titolo esplicita che “Le indagini inguaiano il padre”, non appare idonea ad individuare nel De Sarro Francesco l’autore del reato di compravendita del consenso elettorale.
Anche il lettore più frettoloso, infatti, alla semplice visione della fotografia recante l’immagine di un giovane (sotto la quale è riportato il nome “Francesco De Sarro”) e del titolo “De Sarro eletto coi voti comprati. Le indagini inguaiano il padre del politico”, anche senza leggere l’articolo nella sua interezza, deduce che l’immagine raffigura il soggetto che è risultato eletto e non colui a carico del quale è ipotizzato il reato di compravendita dei voti.
Invero, anche a prescindere da chi fosse stato il soggetto autore della (presunta) compravendita dei voti, in ogni caso ne sarebbe risultata minata la credibilità dell’elezione del soggetto eletto, De Sarro Francesco, che era il diretto interessato dell’informazione divulgata, anche a prescindere da chi fosse l’autore della condotta delittuosa ipotizzata proprio per l’interesse pubblico e politico della comunità, che l’articolo mira ad informare».
Per il Giudice del Tribunale di Lamezia Terme «in altre parole, sebbene il reato ipotizzato dalla Procura della Repubblica fosse stato attribuito ad un soggetto terzo (anche se, nella specie, si trattava del padre dell’attore), comunque ne sarebbe rimasto coinvolto il cittadino risultante eletto (anzi, primo eletto) al Consiglio Comunale, in considerazione della sua carica politica e a prescindere da quale soggetto avesse eventualmente provveduto ad acquistare voti a suo favore. Del resto, la circostanza che l’immagine dell’allora Presidente del Consiglio Comunale fosse stata posta a corredo dell’articolo senza l’intento di associare quest’ultimo alla commissione del reato ipotizzato dalla Procura della Repubblica, lo dimostra l’articolo successivamente pubblicato sullo stesso quotidiano in data 17 marzo 2016 dal titolo “Su De Sarro non c’è nessuna indagine penale in corso”.
Dunque, alla luce di tutte le superiori argomentazioni – conclude il Giudice – la domanda risarcitoria avanzata da De Sarro Francesco deve essere respinta perché infondata in fatto e diritto, non sussistendo gli estremi per ravvisarsi incidenter tantum la diffamazione sostenuta in tesi attorea».
Pertanto, Francesco De Sarro è stato condannato al pagamento delle spese di lite sostenute dai giornalisti del Quotidiano, liquidate in euro 7.616 per compensi professionali, oltre Iva e Cpa. (giornalistitalia.it)