REGGIO CALABRIA – «Non ci sono privilegi, né sconti: essere giornalisti non vuol dire avere una tessera in tasca. Essere giornalisti significa fare questo lavoro con dignità». Parla subito chiaro Carlo Parisi, segretario generale aggiunto della Federazione nazionale della stampa e segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria, alla platea di colleghi riuniti al Cineteatro Odeon di Reggio Calabria per assistere – su impulso del Circolo del Cinema Cesare Zavattini, presieduto da Tonino De Pace, coadiuvato dalle giornaliste Paola Abenavoli e Anna Foti – alla proiezione del film “211: Anna” su Anna Politkovskaja, la giornalista russa assassinata a Mosca 10 anni fa, e al dibattito che ne è seguito, dedicato, non a caso, alla libertà di stampa.
«Abbiamo bisogno di giornalisti veri, preparati, che svolgano il proprio lavoro con serietà – ha incalzato Parisi – soprattutto quando e laddove fare il giornalista significa rischiare addirittura la vita. E questo non accade solo in Russia, come il bellissimo film documentario sulla Politkovskaja ci ha ricordato, ma anche in Italia. Anche in Calabria».
«Lo sanno bene colleghi come Michele Albanese – ha proseguito il segretario generale della Fnsi – che è al mio fianco, ancora una volta, per portare la sua testimonianza. Michele, che abbiamo voluto come responsabile per la legalità della Federazione nazionale della stampa, vive sotto scorta perché ha avuto coraggio. Di denunciare la piaga che rovina la Calabria, al pari di altre regioni d’Italia, senza chinare la testa o girarsi dall’altra parte. Ed io ringrazio Michele Albanese perché con la sua testimonianza, si fa simbolo dell’informazione pulita e coraggiosa. Quell’informazione di cui tutti hanno bisogno, specie a certe latitudini, per contrastare quell’omertà che la Politkovskaja ha combattuto al punto da rimetterci la vita».
Libertà di stampa fa sempre rima con dignità per Carlo Parisi, che non perde occasione per ribadire ai colleghi «l’importanza di non lavorare gratis: chi lo fa dev’essere consapevole che agisce contro se stesso ancor prima che contro l’intera categoria, fornendo l’alibi ai pirati dell’editoria, che non avranno alcuno scrupolo nel cacciarlo, una volta spremutane l’energia. Studiate, preparatevi – è stato l’accorato appello del segretario generale aggiunto della Fnsi – e lavorate con la dignità morale e professionale che competono ad un giornalista degno di tale nome. Altrimenti sarete sempre e soltanto servi sciocchi dei potenti di turno».
Ad insistere sul concetto, esempio alla mano, è stato lo stesso Michele Albanese: «Sono sempre stato convinto che un giornalista abbia il dovere morale di informare i cittadini, rimanendo fedele ad un solo principio, imprescindibile. La verità».
Parola di un giornalista costretto a vivere con due agenti che lo seguono ovunque, pistola in tasca, per “colpa” della sua «responsabilità e correttezza – ha continuato Albanese –: questo è quel che cerco e voglio fare e che spero di poter dire, un giorno, di aver fatto. Noi giornalisti siamo custodi della libertà, e non solo quella di stampa. E, in nome della libertà, dobbiamo essere credibili, dobbiamo avere il coraggio di scrivere, di raccontare, di denunciare, pur nel più alto rispetto. Perché è di libertà che abbiamo bisogno, noi giornalisti e, guardando oltre, tutti i cittadini, soprattutto in questa mia terra bellissima e martoriata. Per questo chiedo a tutti un pizzico di responsabilità in più, un pizzico di coraggio e di impegno, in un Paese, in una regione, in una città che ha bisogno di libertà».
Di responsabilità e di coraggio ne ha avuto più di un pizzico Luciano Regolo, ex direttore de L’Ora della Calabria, protagonista, suo malgrado, del caso passato alla cronaca come l’“Oragate”, sottotitolo “il caso Gentile o del cinghiale ferito”.
«Non avevo mai lavorato in Calabria – ha esordito Regolo, nato a Catanzaro, metà della vita passata a lavorare a Milano – e quando sono venuto a dirigere l’Ora, ho provato e trovato un grande entusiasmo, ma anche tante difficoltà. Che si sono palesate, in tutta la loro gravità, all’indomani della famigerata telefonata che portò alla chiusura del giornale. Difficoltà che facevano, purtroppo, rima con omertà. E quel che mi ha messo addosso una grande tristezza è stato il constatare che a tacere, a non scrivere, a non mandare in onda sono stati i colleghi. In una situazione di inaudita gravità, come quella di cui siamo stati vittime io e quei pochi ragazzi coraggiosi che con me hanno combattuto e occupato il giornale, un caso che ha valicato persino i confini del Paese, c’è stato persino chi ha detto che la mia era una battaglia personale».
Amarezza e tristezza sono, manco a dirlo, le note che scandiscono l’intervento di Luciano Regolo, che ha voluto essere «ancora una volta al fianco di Carlo Parisi e dei colleghi del Sindacato Giornalisti della Calabria perché sono gli unici che non mi hanno mai lasciato solo. Come Carlo, sono fermamente convinto, e ne sono testimone, che un’editoria malata non faccia bene a nessuno. Ai colleghi rivolgo un appello accorato: non giriamoci dall’altra parte quando si consumano storie di “cinghiali”».
D’altra parte, «un giornalista che non sia corretto, onesto e coraggioso – ha concluso Giuseppe Soluri, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Calabria – non è un giornalista. È un’altra cosa». (giornalistitalia.it)
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