MILANO – Fino a 300 parole il compenso era di 1 euro, per 500 parole 1.50 euro e per 1.000 parole 2.50 euro. Compenso che poteva aumentare in base al numero di click totalizzati sull’articolo pubblicato, mentre nel conteggio non rientravano le cosiddette “stop word”, categoria che comprendeva le preposizioni, gli articoli, gli aggettivi possessivi e così via.
Era il tariffario al centro di una causa tra una giornalista pubblicista dal 2008 e una società editoriale digitale che si è chiusa qualche tempo fa con una conciliazione davanti presidente del Tribunale del Lavoro di Milano, Piero Martello, da qualche giorno in pensione, e direttore della rivista giuridica Lavoro Diritti Europa (www.lavorodirittieuropa.it).
La lavoratrice, 30 anni circa, licenziata da una delle testate online del gruppo per cui aveva lavorato dal maggio 2018 fino all’ottobre 2019 con il contratto del settore delle telecomunicazioni, si è vista riconoscere dalla società l’applicazione del contratto nazionale dei giornalisti e una somma adeguata al lavoro svolto, 72 mila euro lordi compresi i contributi. In cambio ha rinunciato al reintegro nel posto di lavoro. Una somma calcolata in base al fatto che, come risulta dagli atti del contenzioso, la redattrice aveva lavorato con turni dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18, il sabato dalle 14 alle 18 e con obbligo di reperibilità, e aveva scritto circa 3.400 pezzi con un compenso medio era stato di 3,75 euro lordi ad articolo. (ansa)