L’assistente nazionale dell’Ucsi: “Le scuole da sole non bastano, ci vogliono maestri”

Padre Occhetta: “Non si fa il giornalista, si è”

Padre Francesco Occhetta

Padre Francesco Occhetta

ROMA – “Don Ivan in questo libro è il direttore d’orchestra e ha scelto un metodo maieutico per cercare di farci capire il fondamento dell’agire di chi si occupa di informazione religiosa”.
Ha esordito così padre Francesco Occhetta, assistente nazionale dell’Unione cattolica stampa italiana, nel suo intervento, a Roma, alla presentazione del volume “Cronisti dell’invisibile. Informazione religiosa, 15 protagonisti si raccontano” di don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei.
Occhetta ha indicato dieci parole chiave, individuate nel volume, indispensabili perché non si “fa” il giornalista, si “è” giornalista. Anzitutto “soglia” al servizio di una speranza che “ha il compito di fare cronaca sull’invisibile sapendo che intorno ai fatti ci sono le persone”.
La seconda parola chiave è “ritorno al rigore” che si “fonda sulla conoscenza dei fatti, l’incisività di giudizio e una precisa visione delle cose”. A seguire, “bottega artigiana” perché le scuole di giornalismo, anche se ben fatte, “non bastano: occorrono maestri, testimoni”. Poi “prudenza”, ossia “l’arte del giusto mezzo”.
“Le stesse cose – spiega Occhetta – si possono dire in modo diverso. È necessario il rispetto della persona e delle istituzioni. Il giornalista deve avere una cura importante del sé e aver chiara la direzione, dove andare, un’intenzionalità morale”.
Dal canto suo il segretario della Cei, Monsignor Galantino ha sostenuto che: “Il riscatto parte dall’abitare il territorio” e “il territorio della comunicazione, per certi versi benemerito”, per altri “ha bisogno di riscatto”.
“Attraverso questi 15 colloqui don Ivan ha abitato il territorio dell’esperienza quasi sempre emozionante e sempre interessante, quello dei cronisti intervistati”, ha osservato.
“Lo ha abitato con la loro complicità, si vede, a tratti ha abitato anche il loro territorio interiore”. Persone che “non hanno bisogno di nessun riscatto, ma di sicuro il modo in cui si sono descritte può contribuire a riscattare” quella “parte del territorio della comunicazione bisognoso di riscatto”. Per Galantino, “un riscatto difficilmente può venire dall’esterno”.
L’auspicio è allora che, “leggendo questi colloqui, qualcuno dei giornalisti, che sarebbe meglio non esistessero, si senta spinto ad abitare il territorio della propria professione e della propria vita, dando inizio ad un’opera personale di riscatto”. (Sir)

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