NEW YORK (Usa) – “Crux”, il portale d’informazione che, sede sociale a New York, rappresenta la voce più autorevole del mondo cattolico anglosassone, insiste perché il Vaticano definisca la procedura per la beatificazione di Gilbert Keith Chesterton.
Chesterton era un inglese di Londra, vissuto a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, giornalista di discreta fama e di efficace capacità espressiva, tanto da lavorare (prima) per l’editore Redway e (poi) per le pubblicazioni di Fischer Unwin. Straordinariamente prolifico, la sua firma è comparsa su “The Speaker”, “Daily News” e sul settimanale “Illustrated London News”.
Con il fratello Cecil, ha portato in edicola un suo giornale, “Eye Witness”, che ha raggiunto un’interessante diffusione soprattutto per merito dei racconti che occupavano quasi interamente la prima pagina. Dopo la prima guerra mondiale, con un altro socio (Hilaire Belloc) ha riproposto la formula vincente utilizzando anche un titolo – “New Witness” – che richiamava la precedente esperienza di successo.
Tuttavia, la fama (letteraria) di Chesterton è dovuta all’invenzione di “Padre Brown”, un prete di campagna con l’intuito dell’investigatore di razza. Che, però, non si accontentava di scoprire i responsabili di qualche delitto. Lui voleva che si “convertissero”. Come dire che ha anticipato il “don Matteo” protagonista di 250 puntate televisive per Rai Fiction. Pur senza avere analoga fortuna di pubblico, anche padre Brown, dalle pagine dei libri, è approdato ad una serie di pellicole cinematografiche.
In Italia, a dare volto ed espressione a questo personaggio, era stato Renato Rascel. Più recentemente, l’attore inglese Mark Williams. Proprio per questi suoi “cristianissimi” racconti sembrava legittima la proposta al tribunale del Santo Uffizio perché Gilbert Keith Chesterton ascendesse agli onori degli altari. A sostenere la causa della sua beatificazione è stato, dapprima, il vescovo di Northampton, Peter Doyle e, poi, il presidente dell’American Chesterton Society, Dale Ahlquist, che più fortemente chiede al Vaticano un responso favorevole.
La biografia di Gilbert Keith Chesterton è per certi aspetti straordinaria. La sua era una famiglia borghese. Il padre si occupava della costruzione e della gestione di immobili. La madre era sorella di un celebre predicatore calvinista. Perciò, dal punto di vista religioso, la sua infanzia si sviluppò sotto il segno della chiesa protestante cui, tuttavia, per sua stessa ammissione, aderiva “così-così”.
Il contatto con la chiesa cattolica romana ha cambiato il suo rapporto con il soprannaturale al punto da trasformarlo in un credente appassionato. Il giorno della sua prima comunione – ricordano – disse di “aver paura di questa enorme e tremenda realtà”. Quale migliore dimostrazione che aveva profondamente compreso il significato dell’eucarestia? Tuttavia, a fronte di accaniti sostenitori della sua genuina vocazione, si contrappongono altri più scettici o, forse, solamente più prudenti.
Il fronte del “no” evidenzia che, quanto alla solidità della sua fede, una prova certa (indispensabile per il tribunale ecclesiastico) non sarebbe emersa. Non depone a sua favore l’indulgenza che lo scrittore ha sempre praticato nei confronti della birra e dei sigari.
E poi, vera discriminante, emerge qua e là il sospetto di un suo antisemitismo. Cosa significa realmente quella frase contenuta nel libro “The way of cross” (pubblicato nel 1935): “Può essere pericoloso affermare in continuazione che gli ebrei hanno ucciso il Cristo. Però, certo, non sarebbe solo una semplificazione ma un’autentica falsificazione suggerire che l’unico ebreo coinvolto fosse quello che è stato crocefisso”?. (giornalistitalia.it)