
Carlo Parisi e Pierluigi Roesler Franz nel corso dell’audizione della Figec Cisal alla VII Commissione Cultura della Camera dei deputati (Foto Giornalisti Italia)
ROMA – Ha finalmente trovato pieno riscontro martedì scorso alla VII Commissione Cultura della Camera dei deputati, presieduta dall’onorevole Federico Mollicone, quanto sostenuto due mesi fa dalla Figec Cisal tramite i suoi consiglieri dell’Ordine nazionale dei giornalisti (che rappresentano il 20% dei componenti del Cnog), nel chiedere invano al presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, di sospendere in via d’urgenza, rinviandole, le elezioni in tutta Italia che aveva indetto l’11 novembre scorso adottando la ben più costosa, complessa e antiquata modalità mista (voto telematico online e in presenza al seggio) con inizio dal 12 marzo 2025 e conclusione massima – a seconda dei risultati elettorali nelle varie regioni – alla fine del ballottaggio del 6 aprile, perché a suo parere «era ormai tardi e non c’era più tempo» per far approvare dal Parlamento almeno una mini riforma del sistema di voto.
E, invece, di tempo ve ne era in abbondanza ed era anche assolutamente necessario evitare l’affrettata chiamata alle urne in tutto il mondo di circa 100 mila giornalisti per il rinnovo triennale dei nuovi vertici dell’Ordine, cioè del Consiglio Nazionale e di 18 dei 20 Ordini regionali (esclusi quelli della Campania e del Molise dove si era già votato l’ultima volta nel 2023), attendendo che a Montecitorio venissero prima definitivamente risolte le numerose criticità ed anomalie di natura tecnico-giuridica già emerse con la possibile violazione della Costituzione in tema di genere meno rappresentato, nonché di leggi e di regolamenti, proprio al fine di scongiurare preventivamente possibili, ma altrimenti quasi inevitabili e costosi, contenziosi giudiziari di lunga durata con eventuali ricadute negative anche sui bilanci dell’Ordine nazionale e degli Ordini regionali dei Giornalisti, che sono enti pubblici non economici che devono sempre mirare al massimo risparmio e al contenimento delle spese e al sano utilizzo delle loro risorse.
Sono stati davvero illuminanti gli 80 minuti della seduta interamente, registrati dalla WebTV della Camera TV e riascoltabili su https://webtv.camera.it/evento/27657, che sono stati dedicati il 18 marzo scorso dalla 7ª Commissione di Montecitorio alle prime audizioni informali nell’ambito dell’esame delle proposte di legge C. 989 D’Attis, C. 1648 Ubaldo Pagano, C. 1734 Grippo, C. 1891 Mulè e C. 2130 Mascaretti, recanti modifiche alla legge 3 febbraio 1963 n. 69 in materia di disciplina dell’elezione e della durata in carica dei componenti degli organi territoriali e nazionali dell’Ordine dei giornalisti.
All’audizione hanno partecipato in sequenza il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Liguria, Filippo Paganini, la vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti della Puglia, Serena Fasiello, e per ultimo il componente della Giunta esecutiva della Figec Cisal Pierluigi Roesler Franz, accompagnato dal segretario generale della Figec Cisal Carlo Parisi e dal consigliere nazionale Pino Nano.
Sin dalle prime battute si è, però, ben compreso il motivo dell’indizione delle elezioni l’11 novembre, in anticipo di ben 6 mesi e mezzo (esattamente 202 giorni) sulla scadenza dell’attuale consiliatura dell’Ordine fissata per il 31 maggio 2025 dalla legge “Milleproroghe” n. 18 del 2024. E ciò con una tempistica totalmente diversa da quanto è avvenuto in passato (l’ultima volta l’allora presidente del Cnog, Carlo Verna, le indisse da Tokio il 5 agosto 2021 rispetto ad una scadenza del mandato prevista per il 28 settembre 2021, cioè solo 54 giorni prima)!
Il presidente Bartoli ha fatto chiaramente intendere di non aver affatto gradito la presentazione sia della proposta di legge C. 989 dell’onorevole Mauro D’Attis (Forza Italia), sia soprattutto della proposta di legge C. 2130 di 59 deputati di Fratelli d’Italia, primo firmatario l’onorevole Andrea Mascaretti perché proponevano una modifica della governance dei 20 Ordini regionali e di quello nazionale dei giornalisti.
In particolare, nella proposta Mascaretti (che per la verità aveva accolto anch’essa tutte le modifiche proposte dall’Ordine Nazionale sui meccanismi di voto con l’aggiunta della problematica relativa alla tutela del genere meno rappresentato, n.d.r.) i 20 Ordini regionali dovevano essere composti da 5 (e non più da 6) consiglieri professionisti e da 4 (e non più da 3) consiglieri pubblicisti, mentre il Consiglio Nazionale doveva essere composto da 62 consiglieri (anziché dagli attuali 60), così suddivisi: 36 (e non più 40) consiglieri professionisti e 26 (e non più 20) consiglieri pubblicisti.
Insomma, sarebbero proprio questi differenti numeri, infatti, a spiegare il vero motivo che avrebbe fatto scattare l’“allarme rosso” con la conseguente indizione delle elezioni dell’Ordine così affrettate. Evidentemente da parte di qualcuno si temevano possibili ripercussioni negative sul controllo dell’Ordine se fosse stata rapidamente approvata la proposta C. 2130 firmata da 59 deputati di Fratelli d’Italia cui si è poi aggiunta anche la sottoscrizione dello stesso onorevole D’Attis di Forza Italia.
In sostanza, secondo Bartoli, mentre le proposte di legge C. 1684 dell’onorevole Ubaldo Pagano (Pd), la C. 1734 dell’onorevole Valentina Grippo (Azione) e la C. 1891 dell’onorevole Giorgio Mulè (Forza Italia) erano in linea con quanto proposto dall’Ordine nazionale e dai 20 Ordini regionali, essendosi limitate a proporre una serie di semplificazioni neutre, tese a snellire le procedure del meccanismo di voto, le altre due proposte avevano invece affrontato una cosa ben diversa e molto più impegnativa, e cioè una modifica della governance.
Ma di questa, a suo parere, se ne sarebbe dovuto parlare «solo alla fine di una complessiva riforma dell’accesso alla professione e alla definizione di nuove e più efficaci norme per la tenuta dell’Albo, norme che permettano all’Ordine di essere specchio reale della professione, di essere effettivamente la casa di chi svolge attività giornalistica». A suo parere le modifiche contenute nelle proposte C. 989 e C. 2130 meriterebbero preliminarmente un’attenta analisi e riflessione sullo stato della professione giornalistica e il Parlamento dovrebbe dedicarsi ad una riforma della professione in maniera seria e approfondita, e non in modo incoerente e improvvisato, dando possibilmente ascolto alle ragioni e all’esperienza di chi questo mondo è stato chiamato a rappresentare.
Su questo tema è intervenuta la Figec, Federazione Italiana Giornalismo Editoria Comunicazione, federata alla Cisal, che è il sindacato dei giornalisti e degli operatori dell’informazione e della comunicazione, fondato il 28 luglio 2022, e che dopo 114 anni ha messo fine al sindacato unico dei giornalisti in un Paese nel quale, fino a quel momento, il valore del pluralismo veniva evocato solo quale mera enunciazione di principio. Un sindacato “per” e non “contro” nel quale la diversità rappresenta un’occasione di riflessione e di crescita, non un problema da eliminare annientando chi non si adegua al pensiero unico. Un sindacato che riporti al centro della vita del Paese il tema dell’informazione quale indice di democrazia, che può essere garantita soltanto con la libertà dal bisogno di chi lavora nei media, nel mondo della comunicazione e della cultura in tutte le sue declinazioni.
Il segretario generale della Figec Cisal, Carlo Parisi, con un documento allegato agli atti della Commissione, ritiene oggi anacronistica la suddivisione tra professionisti e pubblicisti. A parte il fatto che i pubblicisti pagano la stessa quota, versando all’Ordine circa 7 milioni di euro ogni anno, e quasi sempre svolgono le stesse mansioni dei professionisti (i quali versano, invece, all’Ordine circa 3 milioni di euro l’anno), non va dimenticato che – anche negli anni d’oro dell’editoria – l’80-90% dei contenuti dei giornali è stato realizzato grazie al lavoro dei pubblicisti, ovvero di quanti hanno sempre costituito le antenne della stampa nei territori – soprattutto i più remoti e disagiati – del nostro Paese.
Si ricorda in proposito che quasi tutte le principali aziende del settore tradizionale cartaceo fanno ricorso agli ammortizzatori sociali e/o beneficiano dei contributi pubblici per l’editoria determinando il paradosso che l’azionista di maggioranza diventi – di fatto – lo Stato. Sono, infatti, sempre più – soprattutto negli ultimi anni – i giornalisti professionisti che rinunciano alla permanenza nell’elenco al quale sono stati iscritti dopo il superamento dell’esame di idoneità professionale per passare a quello dei pubblicisti. Il motivo è semplice: non riescono più a vivere di giornalismo e anche per una breve supplenza a scuola violerebbero il vincolo dell’esclusività professionale.
Non a caso, con la legge di Bilancio 2021, il Parlamento ha trasferito dal 1° luglio 2022 la Gestione sostitutiva dell’Inpgi – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola” – all’Inps a causa dello squilibrio finanziario che si era determinato tra le entrate contributive e le uscite per prestazioni previdenziali. In pratica a fronte di un euro di contribuzione in entrata ne corrispondeva circa un euro e mezzo in uscita.
Non pensare in questo scenario all’Albo unico dei giornalisti significherebbe ignorare che il mondo dell’informazione e della comunicazione è già cambiato da tempo, non solo per i devastanti effetti che l’intelligenza artificiale provoca sulle professioni intellettuali, ma soprattutto perché il sistema ha, ormai da anni, perso l’esclusiva titolarità della governance dei flussi informativi che viaggiano su canali informatici nei quali la presenza giornalistica è residuale o persino assente.

Carlo Parisi e Pierluigi Roesler Franz durante l’audizione della Figec Cisal alla Camera dei deputati
Secondo Carlo Parisi appare pertanto, equo – in assenza dell’Albo unico dei giornalisti – un aumento della rappresentanza dei pubblicisti nella governance dell’Ordine, tenendo conto che sono circa 70 mila, mentre i professionisti sono circa 30 mila. Per l’esattezza tra gli iscritti all’Albo professionale su 95.633 giornalisti eleggibili in Italia in queste elezioni i pubblicisti sono 67.258 (pari al 70,33%), mentre i professionisti sono 28.309 (pari al 29,67%).
Quanto alle proposte di modifica del sistema elettorale Pierluigi Roesler Franz, componente della Giunta esecutiva della Figec Cisal, ha ritenuto che il sistema migliore, più semplice, più economico e più garantista in assoluto sia quello in vigore dal 1° febbraio 2024 all’Inpgi, Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, ente previdenziale privatizzato ex Decreto Legislativo n. 509 del 30 giugno 1994 (controllato dalla Corte dei Conti e dalla Covip e sottoposto a controllo anche da parte dell’apposita Commissione parlamentare bicamerale), predisposto dal Commissario governativo ad acta, Paolo Reboani, ed approvato 14 mesi fa, il 25 gennaio 2024 dai due Ministeri vigilanti del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Economia e delle Finanze.
Questo sistema è stato già collaudato positivamente l’anno scorso per le elezioni da tutto il mondo dei giornalisti professionisti e pubblicisti lavoratori autonomi e Co.co.co. Per risolvere il problema basta riprendere le norme contenute negli articoli da 17 a 24 dello Statuto Inpgi, cioè: indizione delle elezioni 5 mesi prima, possibilità per gli aventi diritto di preventiva candidatura in modo che i loro nomi compaiono sulle schede di voto online consentendo all’elettore di sapere chi può votare in pochi secondi (risolvendo così alla radice anche l’annoso problema degli omonimi, dei sinonimi, dei nomi d’arte o dell’utilizzo incompleto del proprio cognome), preventiva indicazione del numero di “poltrone” disponibili e adozione per il Consiglio Nazionale del sistema proporzionale – e non maggioritario secco – nelle regioni medio grandi proprio per lasciare posti disponibili sia alle minoranze e al genere meno rappresentato, e votazione esclusiva in via telematica in un unico turno per 4 giornate consecutive senza più inutili e costosi voti ai seggi cartacei né ballottaggi e tenendo anche conto dei differenti fusi orari per i residenti all’estero.
Viceversa, in almeno una decina di regioni si sta votando votando in questi giorni con un sistema che non appare democratico, né pienamente rispettoso dei diritti dei giornalisti iscritti.
Innanzitutto, queste elezioni per legge non potevano essere indette in forma mista, ma soltanto in forma telematica oppure in presenza al seggio.
Inoltre, in queste affrettate elezioni non viene affatto garantito il genere meno rappresentato e tutelato dall’art. 51 della Costituzione come interpretato da numerose sentenze del Tar del Lazio dal 2021 in poi e da tempo applicate da altri Ordini professionali (avvocati, notai, dottori commercialisti, ingegneri, architetti, periti industriali, psicologi e biologi) con l’avallo dell’allora ministro della Giustizia ed ex presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia.
Viene poi leso il sacrosanto diritto del giornalista di candidarsi, ma nel contempo lede anche il diritto dell’elettore di poter votare consapevolmente sapendo a priori chi sono i colleghi candidati.
Ad esempio, nel Lazio, seconda regione italiana per numero di giornalisti dopo la Lombardia, potranno votare circa 18 mila elettori (circa 7.500 professionisti e circa 10.500 pubblicisti). Ebbene, non è forse assurdo:
– che i 18 mila elettori convocati alle urne solo 20 giorni prima, siano sulla carta tutti candidabili e quasi tutti eleggibili?
– che le schede online siano tutte in bianco e si deve cercare il giornalista solo con il suo cognome e nome?
– che non esiste quindi alcuna possibilità di consultazione degli iscritti da A a Z nell’Albo, cioè se non si indica il cognome e il nome non esce nulla?
– che, da un lato, un candidato nel Lazio non può conoscere i nomi di tutti gli iscritti nel Lazio e non può quindi contattarli?
– che, dall’altro lato, un iscritto nel Lazio non è in grado di conoscere il nome dei candidati nel Lazio?
– che addirittura, essendo tutti i giornalisti candidabili, non sia stato comunicato nell’avviso di convocazione neppure quanti posti fossero disponibili nel Consiglio Nazionale in rappresentanza del Lazio e si è scoperto solo ad urne aperte che erano diventati 8 (anziché 7 come nel 2021)?
– che i potenziali candidati non abbiano avuto con largo anticipo – almeno 30 giorni prima – l’elenco degli elettori per informarli della propria candidatura?
– che almeno la metà degli Albi dei 20 Ordini regionali, che per legge sono tutti enti pubblici vigilati dal Ministero della Giustizia e, territorialmente, dal P.G. della Corte d’appello, dal Procuratore della Repubblica e dal Presidente del Tribunale, non sono Albi veri e propri, ma solo dei motori di ricerca?
– che in una decina di regioni (come nelle 2 più grandi Lombardia e Lazio) i candidati non possano contattare i potenziali elettori tramite i loro indirizzi Pec, mentre le Pec dei giornalisti sono obbligatorie per legge?
– che invece, ciò è possibile in altri Ordini come Toscana, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia e Sicilia dove l’Albo è regolarmente tenuto?
– che paradossalmente per ricavare le Pec di decine di migliaia di giornalisti si dovrebbero estrarre con enorme fatica e perdita di tempo una ad una dall’Albo unico nazionale dell’Ordine dei giornalisti ?
– che, nonostante le segnalazioni da anni rimaste lettera morta, figurerebbero complessivamente in una decina di regioni diverse dal Lazio almeno un centinaio di giornalisti residenti all’estero?
– che, stranamente, nell’art. 3, quinto comma, Regolamento elettorale approvato dal Cnog il 15 maggio 2024 e pubblicato nel Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia n. 2 del 31 gennaio 2025 a pag. 11, si legge che «per essere eletti al Consiglio nazionale bisogna inoltre essere titolari di una posizione previdenziale attiva derivante da attività giornalistica», mentre per il vigente art. 16 della legge n. 69 del 3 febbraio 1963: «I candidati al Consiglio nazionale devono essere titolari di una posizione previdenziale attiva presso l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi)». E come sarebbe interpretata questa discrasia giuridica al termine delle elezioni in corso? Non darebbe forse adito a molti ricorsi alla magistratura da parte di candidati non eletti?
– che, stranamente, un mese fa il presidente del Cnog, Carlo Bartoli, ha varato “sua sponte” una norma che appare, però, priva di qualsiasi valore giuridico per risolvere il problema dell’omonimia tra giornalisti: «l’iscritto eleggibile potrà segnalare all’Ordine regionale una specificazione delle sue generalità entro 8 giorni antecedenti alla 1ª giornata di voto telematico (cioè entro il 4 marzo 2025), chiedendo di aggiungere qualsiasi altro elemento all’elettore di rappresentare chiaramente l’intenzione di voto.
Tale specifica verrà annotata nel file relativo all’elettorato passivo per consentirne la visualizzazione sulla scheda virtuale».
Particolare curioso: sembrerebbe proprio una norma cosiddetta “Cicero pro domo sua” perché, guarda caso, tra i giornalisti professionisti iscritti all’Ordine della Toscana figurano due diversi Carlo Bartoli.
In conclusione: sono davvero regolari queste elezioni? (giornalistitalia.it)
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