ROMA – Rivelazioni scioccanti, una vicenda inaccettabile. Il mondo del giornalismo e dell’attivismo si sente meno libero oggi, dopo che un’inchiesta di 17 media internazionali ha rivelato come difensori dei diritti umani, reporter e avvocati di tutto il mondo siano stati vittime o
potenziali target di spionaggio dei loro telefoni da parte di alcuni governi “autoritari”, attraverso il software Pegasus dalla società di sorveglianza israeliana Nso, venduto a diversi Paesi del mondo con lo scopo di rintracciare terroristi e criminali.
Il caso ha provocato le reazioni indignate di tutto il panorama internazionale, a partire dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha definito la vicenda “totalmente inaccettabile, se è vera”, mentre le Nazioni Unite lanciano un appello per una migliore regolamentazione in materia di sorveglianza tecnologica. I governi coinvolti nell’inchiesta cercano di difendersi negando le accuse, come Ungheria, Marocco e India. E la Nso, travolta dalle polemiche, ha voluto “smentire in pieno le accuse mosse nei suoi confronti”, parlando di “teorie infondate, basate su presupposti errati”.
L’inchiesta è nata da un “leak” di una lista di 50.000 numeri di telefono identificati come potenziali target di spionaggio dai clienti governativi di Nso. Il Guardian ha riferito che nell’elenco sono presenti 50 persone vicine al presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, tra cui la moglie e i figli, e Carine Kanimba, figlia di Paul Rusesabagina, l’attivista ruandese imprigionato che ha ispirato il film Hotel Rwanda. Quest’ultima è stata “vittima di una campagna di sorveglianza quasi costante”, scrive il quotidiano britannico.
Anche il rivale politico più importante del primo ministro indiano Narendra Modi, Rahul Gandhi, è stato selezionato due volte come possibile obiettivo di sorveglianza, ma Nuova Dehli nega ogni coinvolgimento, dichiarando che “l’inchiesta dei media internazionali è un tentativo di screditare la nostra democrazia e le sue consolidate istituzioni”.
“L’affaire Pegasus” ha provocato indignazione anche in Francia, dove il portavoce dell’Eliseo Gabriel Attal ha definito “estremamente scioccanti” le accuse secondo cui una trentina di giornalisti e capi dei media francesi sarebbero stati spiati da servizi di intelligence marocchini. Anche in questo caso, Rabat ha categoricamente negato l’uso di Pegasus per spiare giornalisti, bollando le informazioni come “false”. E la smentita è giunta anche dall’Ungheria, uno dei primi Paesi sotto accusa. “Il governo non è a conoscenza di questo tipo di raccolta dati”, ha detto il ministro degli Esteri Peter Szijjarto, aggiungendo che l’intelligence non ha utilizzato il software Pegasus “in alcun modo”. L’Ue si svincola da una possibile indagine sul Paese, che “spetta all’autorità nazionale sulla protezione dei dati”.
Da Bruxelles arriva anche la ferma condanna sulla vicenda, che “deve essere verificata, ma se è così è completamente inaccettabile”, ha detto von der Leyen. “Sarebbe contro qualsiasi regola”, ha aggiunto. La conferma delle rivelazioni significherebbe aver superato una “linea rossa”, ha commentato l’Alto commissario Onu per i diritti umani Michelle Bachelet.
Intanto, la Nso corre ai ripari sottolineando che l’azienda israeliana “vende i propri prodotti solo a governi riconosciuti” in piena trasparenza, e che si impegnerà a controllare anche in futuro che i suoi clienti non facciano un uso improprio dei suoi sistemi. Il caso è ovviamente rimbalzato a Tel Aviv, dove un ministro di sinistra del governo di Naftali Bennett, Nitzan Horowitz, ha anticipato che chiederà al collega della Difesa Benny Gantz delucidazioni sulla vicenda, mentre un altro deputato del Meretz, Mossi Raz, ha chiesto al governo di bloccare le esportazioni della Nso verso Paesi “non democratici”. (ansa)
Giornalismo si sente meno liberi dopo le scioccanti rilevazioni sullo spionaggio