PAVIA – Al processo per l’omicidio di Andy Rocchelli, il 30enne fotografo pavese ucciso il 24 maggio 2014 in Ucraina nella regione del Donbass mentre stava effettuando un reportage sulle sofferenze della popolazione civile durante la guerra, è stata ascoltata la testimonianza di Fabrizio Romano.
Romano era l’ambasciatore italiano in Ucraina nell’anno in cui avvenne l’agguato nel quale, oltre a Rocchelli, fu ucciso anche il giornalista russo Andrei Mironov, mentre il fotografo francese William Roguelon venne gravemente ferito ma riuscì a salvarsi.
Accusato del delitto Rocchelli è Vitaly Markiv, 29enne italo-ucraino, militare della Guardia Nazionale Ucraina. Romano ha spiegato che nell’area del Donbass erano frequenti gli scontri fra opposte fazioni. Più volte, ha aggiunto l’ambasciatore, era stato consigliato ai cittadini italiani di lasciare la zona, considerati i pericoli che potevano correre.
L’ambasciata italiana fu informata subito la sera del 24 maggio 2014 dell’omicidio del fotoreporter italiano: furono necessarie procedure speciali per recuperare il corpo, che il 28 maggio rientrò in Italia. L’ambasciatore Romano venne più volte rassicurato dalle autorità ucraine sul fatto che le indagini sarebbero state condotte con impegno, ma non ebbe mai la possibilità di avere ulteriori ragguagli sull’attività investigativa.
Nell’udienza di ieri è stata ascoltata anche la testimonianza di Luca Soldati, perito balistico. Soldati ha spiegato che dalle schegge ritrovate nel corpo di Rocchelli è difficile risalire all’arma che lo ha ucciso. Inoltre ha spiegato che il fucile K74 in dotazione a Vitaly Markiv, è un’arma che veniva utilizzata dall’esercito dell’Unione Sovietica: un’arma d’assalto, che spara colpi a raffica, ma che difficilmente può essere utilizzata per tiri di precisione da lunghe distanze. (ansa)
Ascoltate le testimonianze di Fabrizio Romano e del perito balistico Luca Soldati