ROMA – Mala tempora currunt è una espressione ciceroniana. Può essere calata sull’attuale situazione in cui si dibatte il giornalismo alle prese con chiusure, riduzioni di organici e i non pochi rischi che incombono per dare un seguito al duplice diritto di informare ed essere informati. Nello stesso tempo non si ha certezza se la carta stampata sopravviverà al digitale.
Richard Tofel, presidente di ProPublica ed assistant publisher del “Wall Street Journal”, come ha riportato “Prima online,” ritiene che la carta stampata sia più vicina al capolinea di quanto si possa credere. Che ci siano molte probabilità che possa essere così lo conferma, sia pure indirettamente, una notizia: a fine marzo “The Indipendent”, un quotidiano del Regno Unito, passerà al digitale. Niente più carta.
La libera informazione, una delle grandi conquiste dell’era contemporanea, che prende le mosse dalla Carta Atlantica, è sotto scacco. “Giornalisti Italia”, il quotidiano online diretto da Carlo Parisi, ed il blog di Franco Abruzzo, “Giornalisti per la Costituzione”, sono una inesauribile fonte d’informazione su quanto sta accadendo in casa nostra e nel mondo circostante. Alle volte sembra di leggere dei bollettini di guerra. Non passa giorno che non venga registrato un evento, un fatto, una aggressione nei confronti di chi si interessa di informazione. Per non parlare delle citazioni per diffamazione, la conseguente esorbitante richiesta di danni e del reato di ricettazione per forzare l’articolo 200 del codice di procedura penale.
I giornalisti scomodi vengono eliminati o si condannano all’ergastolo per qualche scoop, che fa emergere le magagne o gli affari illeciti di questo o quell’altro personaggio privato o pubblico. I terreni più incandescenti quelli del medio oriente, della Turchia ed ora anche in Irlanda incominciano ad esserci preoccupazioni per i cronisti, che hanno già pagato il loro tributo con Veronica Guerin, assassinata ad un incrocio di Dublino per le sue inchieste sul narcotraffico. Lo sostengono le autorità di polizia e la Indipendent News and Media. Da non dimenticare i nostri caduti sotto i colpi della mafia, nonché Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli.
Se l’informazione è sugli scudi, per le non poche difficoltà che incontra, è anche opportuno porre la dovuta attenzione sulle grandi riforme che il nostro governo è impegnato a realizzare. Per togliere il gesso che imprigiona l’attività del paese per via delle lungaggini burocratiche e dei provvedimenti che arrivano dopo anni. Una di queste riguarda l’ordine dei giornalisti. La legge che l’ha istituito è del 1963, oramai obsoleta, e non poteva prevedere a quali traguardi avrebbe portato la tecnologia.
Un provvedimento che già all’atto della sua applicazione è apparso non idoneo – si ricordi Radio Biella – e più di una voce si era levata per sottolineare le sue lacune. Il punto di partenza per chiedere aggiornamenti più aderenti alla realtà quotidiana e alle trasformazioni in atto. Di lì a poco gli americani avrebbero messo piede sulla Luna. Richieste che non hanno avuto alcun seguito.
Ora è il governo Renzi, il cui presidente non ha fatto mistero di non essere favorevole al suo mantenimento, si accinge a mettere mano alla riforma della legge 69/63 con non poche penalizzazioni e condizioni. Relatore del provvedimento è il “piddino” Roberto Ranzi, iscritto all’elenco pubblicisti.
A farne le spese saranno il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, ridotto all’osso ed impossibilitato ad esercitare le sue funzioni, e i pubblicisti. Questi ultimi, oltre a contribuire per tenere in vita l’ordine, potranno rappresentare la categoria solo se saranno titolari di una posizione previdenziale. In breve sintesi se iscritti all’Inpgi 2. Il contributivo non significa altro che magre pensioni mensili.
Una riforma con le sue luci ed ombre e con la volontà di Palazzo Chigi di non accettare nessuno degli emendamenti proposti. Forse qualche correzione potrebbe esserci al Senato. È solo una remota ipotesi. Ha comunque dalla sua alcuni presidenti regionali, che hanno costituito una specie di cartello e non hanno lesinato considerazioni nei confronti dei pubblicisti. Per la storia in più di una occasione è stato cantato il loro De profundis, ma c’è sempre stata una Fenicia.
Una domanda si impone in considerazione dell’annuncio del governo di mettere mano alla riforma delle professioni. Riguarderebbe, come qualcuno sostiene, solo quelle tecniche. Quali sorprese questa potrebbe riservarci? Ci sono certezze che l’ordine dei giornalisti sarà conservato? I dubbi ci sono. La risposta la fornirà il tempo, ma, valutando quanto affermato dal capo dell’esecutivo nel corso delle conferenze stampa del 2014 e del 2015, il mala tempora currunt cala a pennello.
Gino Falleri
Presidente Gus (Gruppo Uffici Stampa) nazionale
Vicepresidente Odg Lazio