ROMA – Vi è una non omogenea interpretazione, da parte dei media, del “diritto all’oblio”. Assistiamo a programmi televisivi, soprattutto, votati al “carico emozionale” su un target di spettatori, che da anni ripropongono casi di cronaca sui quali sono intervenute finanche sentenze passate in giudicato (tanto per fare un esempio, il delitto di Avetrana, che risale a ben 12 anni fa o quello di Cogne, avvenuto nel 2002, o quello di Via Poma a Roma nel 1990, e dei quali ancora si parla). Ma anche la carta stampata fa la sua parte, soprattutto attraverso riviste specializzate nell’entrare senza scrupoli nelle vite di personaggi, noti e meno noti.
Il diritto all’oblio è una particolare garanzia riferita, nel nostro ordinamento giuridico e in quello comunitario, alla non diffusione (“a meno che non ricorrano particolari motivazioni”) di informazioni riguardanti il passato che possono pregiudicare l’onore di una persona, in primis per precedenti giudiziari o supposti atti criminosi, anche archiviati o ritenuti inesistenti in sede istruttoria. Ma non solo.
Non è legittimo neppure diffondere informazioni sulla vita privata o dati sensibili già oggetto di normative collaterali sulla privacy. In breve, senza richiamare pedissequamente normative, leggi e sentenze, è il diritto dell’individuo ad “essere dimenticato”, a salvaguardare la riservatezza a fronte di notizie già rese di pubblico dominio, con alcune eccezioni, ancorché non ben conterminate, come la proporzionalità dell’importanza di un evento, gestibile però un po’ come la famosa coperta di Linus, e tenendo conto anche di una disciplina non sempre applicata riguardante la conservazione di dati in base ad un apposito Regolamento.
Naturalmente, le normative sul diritto all’oblio hanno posto e pongono particolari problematiche, mai armonizzate e spesso non sanzionate, riferite ai media (come si diceva prima, di più attraverso le tv, specie quelle private) e al sistema planetario di internet, molto meno controllabile ma non per questo motivo non esente dal rispetto delle leggi.
I giornalisti, quelli veri, sanno che devono attenersi ai principi deontologici contenuti nel Testo Unico dei doveri che, per quanto riguarda il diritto all’oblio, erano già contemplati nella Carta di Treviso risalente al 1990. Ma c’è anche un esercito di “pirati” e “abusivi”, lo sappiamo bene, solo che il fruitore finale non riesce a fare i dovuti distinguo, e non certo per la qualità dei pezzi, che risulta ben diversa.
Quando si leggono titoli ad effetto (spesso finalizzati alla vendita della classica copia in più) sembra di rivedere una nota scena di “Sbatti il mostro in prima pagina”, ma con tanti interrogativi riguardanti la coniugazione del diritto di cronaca con altri diritti. E poi i tanti improvvisati e artigiani dell’informazione, come detto dianzi, che alla Carta dei Doveri (della quale in molti ignorano l’esistenza) non si ispirano, proprio per via del loro status ibrido, e chiaramente i molti titolari di profili sui social che godono della libertà di scrivere su tutto e sul contrario del tutto, che sono anch’essi spesso incontrollabili, salvo alcuni casi valutati gravi da parte della stessa piattaforma (Facebook, Instagram, Twitter ed altre).
Aspetto da non trascurare è il fatto che il diritto all’oblio può essere invocato anche da eredi di soggetti deceduti a distanza di anni da un fatto, prevalentemente di cronaca. Ma non di rado avviene finanche il contrario, considerato che i fatti che dovrebbero essere cassati dalla memoria possono generare, a favore degli stessi, notorietà e visibilità in una società, come quella attuale, orientata alla “cultura dell’apparenza”.
Per notizie che continuano a perpetuarsi nel tempo per fare audience ci sono, poi, di contro, altre che cadono subito nel dimenticatoio e che forse non fa comodo a nessuno riprendere per far luce su fatti oscuri o ritenuti tali. Soprattutto se i familiari di un soggetto attenzionato a suo tempo dalla cronaca, richiedono il massimo riserbo: ne hanno facoltà e diritto, la loro volontà va rispettata, ma in molte occasioni si corre il rischio di generare orientamenti di natura giudiziaria e politica che potrebbero rinnovare il livello di attenzione o velocizzare il processo di cancellazione dei fatti. (giornalistitalia.it)
Letterio Licordari