Ancora evidenti le distanze tra editori e grandi player della rete, ma attenzione...

Notizie, i politici stiano lontani dagli algoritmi

I direttori dei più autorevoli quotidiani americani con Andrea Ceccherini a Borgo La Bagnaia di Siena

I direttori dei più autorevoli quotidiani americani con Andrea Ceccherini a Borgo La Bagnaia di Siena

SIENA – Trovare un punto di incontro, una mediazione tra editori e i grandi player della rete web per una equa distribuzione dei ricavi, cosa che si rivela tuttora uno scoglio molto difficile da aggirare o superare. Le distanze restano però ancora evidenti tra i due soggetti, e il panel finale di “Crescere tra le righe”, promosso dall’Osservatorio Permanente Giovani-Editori a Borgo la Bagnaia, l’ha dimostrato una volta di più. Nonostante il fair play.
Presenti quasi 250 studenti, selezionati in tutta Italia tra i partecipanti al concorso Quotidiano in classe. Al dibattito nella sala del Centro Congressi moderato da Maurizio Molinari, direttore de La Stampa, e da Virman Cusenza, direttore de Il Messaggero, hanno preso parte – in rappresentanza dei colossi d’Oltreoceano dell’informazione – Gerard Baker, direttore del Wall Street Journal; Dean Baquet, direttore del New York Times, e Martin Baron, direttore del Washington Post, mentre per i player della rete c’erano Richard Gingras, vice presidente di Google News, Peter Greenberger, direttore Global Content Partnership, News Twitter, e Alex Hardiman, direttore News Products Facebook.
La sfida è subito partita alta, con Baker che ha sottolineato che ai player della rete i ricavi arrivano grazie ai contenuti di altri, di qui la necessità di una distribuzione più equa dei guadagni. Diversamente, “i nostri editori non ce la faranno più e giornalismo scadrà di qualità”. Per il direttore del Wsj, anno dopo anno “il giornalismo diventa sempre più antieconomico e l’oscurità si farà più impenetrabile”, situazione che finirà per “uccidere la democrazia”. E la richiesta avanzata non equivale a “chiedere la luna”, ha detto Baker. Rilevando che fino a una ventina di anni fa è vero si’ che i quotidiani dominavano, addirittura dovevano dire di no agli inserzionisti, ma oggi il quadro è differente, “i player della rete hanno fagocitato gran parte degli introiti pubblicitari”.
La replica, con numeri alla mano, è subito arrivata dal vice presidente di Google News. “Dal nostro punto di vista – ha detto Gingras – gli editori hanno goduto di tecnologie per la distribuzione dei ricavi pubblicitari che hanno consentito loro di guadagnare 12,7 miliardi di dollari. Ogni mese da Google partono più di 10 milioni di visite alle pagine degli editori” e quindi ha invitato alla cautela in fatto di richiesta di dare vita ad un nuovo, un diverso, sistema di distribuzione. Da Gingras, quindi, la domanda su come si realizzerebbe tutto ciò, ovvero “ci sarà un’istituzione che decide quale è il giornalismo di qualità?”. Ne consegue un “no” dunque a “strumenti artificiali”. Ed ha ricordato che proprio mediante un rapporto di collaborazione con gli editori, si è arrivati a disporre oggi di un modello che consente di incrementare gli abbonamenti online degli editori.
E anche Alex Hardiman ha sostenuto che vanno trovate strade percorribili, “vogliamo far funzionare strumenti utili per l’editoria, attraverso lo sviluppo degli abbonamenti e la crescita dei ricavi pubblicitari”. E in quest’ottica “spenderemo più di 19 milioni di dollari contro le fake news, per favorire le notizie di qualità. Possiamo finanziare il giornalismo di qualità ma non possiamo farlo con tutti”, ha detto la direttrice di News Products Facebook.
Quindi Greenberger, il quale ha commentato che su Twitter c’è  la più grande concentrazione di abbonati di grandi giornali, ed ha sostenuto che “i nostri utenti sono assetati di notizie. Vogliamo essere un ponte per spingerli verso i siti dei quotidiani, per permettervi di farli diventare abbonati”. A sua volta il direttore del Nyt ha mandato segnali concilianti nei confronti dei player del web, riconoscendo che l’aumento degli abbonamenti dimostra che “la gente è disposta a pagare per la qualità. Il mio sogno è far sì che l’informazione di qualità diventi indispensabile”. E il direttore del Washington Post ha rafforzato dicendo “non siamo in guerra, è importante proseguire sulla strada del dialogo per raggiungere un equilibrio sostenibile”.
Una preoccupazione comune a editori, giornalisti e piattaforme online è rappresentata dagli algoritmi che selezionano le notizie di qualità, ovvero dal processo che li determina. Coro unanime nel dire che vanno respinti eventuali tentativi di interferenza da parte dei governi, dei politici, nei processi di creazione degli algoritmi, perché la politica ha un proprio algoritmo. Decidendo ciò che è considerato attendibile, perché ne rispecchia la propria visione, e cosa invece no e che, secondo quel punto di vista, dev’essere considerata al pari di una fake news. E Baron l’ha detto chiaramente: “mi preoccupa che i governi, i politici possano mettere mano all’algoritmo”. (agi)

 

 

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