COSENZA – Ci sarà anche la storia coraggiosa e infelice di Lea Garofalo – la testimone di giustizia di Petilia Policastro uccisa a Monza il 24 novembre 2009 perché decise di testimoniare nelle inchieste sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno – insieme a quelle speranzose di Gelsomina Verde e Annalisa Durante; all’ironia pungente di Peppino Impastato; il coraggio di dire no al pizzo degli imprenditori Rocco Gatto e Libero Grassi; l’integrità morale di Giorgio Ambrosoli; la forza trascinante di don Pino Puglisi.
E poi i bambini: Giuseppe Di Matteo, rapito da Cosa Nostra a dodici anni, dopo che il padre aveva cominciato a collaborare con la giustizia; e il piccolo Cocò, (Nicola jr) Campolongo, ucciso a tre anni con un colpo di pistola alla testa e bruciato nel triplice omicidio del 16 gennaio 2014 a Cassano Jonio, insieme al nonno Giuseppe Iannicelli, e la compagna di quest’ultimo, la giovane marocchina Ibtissam “Betty” Taouss.
C’è tutta questa umanità strappata alla vita dalla ferocia delle mafie in “Non chiamateli eroi” il progetto di serie tv, nata dalla sensibilità del produttore Emanuele Bertucci e ispirato al libro con lo stesso titolo scritto da Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, edito da Mondadori.
La serie tv sarà prodotta dalla Mediano Film (che per la parte di lavorazione calabrese ha chiesto il sostegno della Calabria Film Commission nel bando appena chiuso e di cui si attende l’esito) e racconterà storie che saranno ambientate tra Campania, Calabria e Sicilia, ad eccezione di quella di Ambrosoli, che probabilmente sarà girata tra il Lazio e il Piemonte.
I modelli di riferimento sono diversi, ma hanno tutti la volontà comune di parlare anche ai giovani, pur essendo concepite per attrarre un pubblico molto più vasto. L’idea è quella di costruire una narrazione legata alla storia e alla memoria dei territori mostrando miseria e bellezza delle nostre terre, attraverso uno sguardo fresco e privo di stereotipi.
Gli episodi saranno scritti a quattro mani dal coautore del libro, il criminologo di fama mondiale, Antonio Nicaso, e dalla giornalista, regista e autrice calabrese Giulia Zanfino che nei mesi scorsi è stata anche impegnata nella realizzazione del docufilm dal titolo “Chi ha ucciso Giovanni Losardo” che attraverso interviste a testimoni privilegiati e la ricostruzione di fiction racconta la storia di Giovanni Losardo, segretario capo della Procura di Paola, membro del Pci calabrese, ucciso in un agguato mafioso nel 1980, a Cetraro; pagando con la vita il fatto di aver compreso e denunciato, tra i primi, che la ’ndrangheta si stava infiltrando nelle istituzioni e nei partiti.
Saranno tutte storie forti, ma all’interno della serie Tv, scritta da Giulia Zanfino e Antonio Nicaso, con la consulenza di Nicola Gratteri, di certo le più toccanti saranno quelle dedicate a Giuseppe Di Matteo, ucciso nel ’96 e sciolto nell’acido, e al piccolo Cocò Campilongo, l’orrendo fatto di cronaca nera che nel 2014 ha avuto larga risonanza mondiale, tanto da provocare la venuta di Papa Francesco in Calabria, per pronunciare – nella spianata di Sibari, alla presenza di circa 250 mila persone – la sua scomunica nei confronti dei mafiosi. «I mafiosi sono scomunicati. La ‘ndrangheta – affermò il Pontefice – va combattuta, perché adora i soldi e non il bene comune».
Il Comune di Cassano, ha demandato al sindaco, in qualità di legale rappresentante dell’Ente, l’impegno di sottoscrivere la lettera di partenariato con la “Mediano srl” per la realizzazione del progetto in coerenza con il fatto che “dal canto suo l’Ente da sempre promuove la cultura della legalità ad ogni livello e mira a conservare la memoria di tutte le vittime innocenti di mafia. Il Comune di Cassano, fornirà, in particolare, il proprio supporto organizzativo e finanziario per contribuire in modo efficiente ed efficace, a favorire un migliore perfezionamento progettuale per la realizzazione dell’episodio sulla vicenda del piccolo Cocò. (giornalistitalia.it)
Francesco Mollo