CASTROLIBERO (Cosenza) – Per quelle due o tre persone che ancora pensano che in Calabria, tutto sommato, la mafia è poca cosa, quanto accaduto nel Vibonese a un nostro giornalista è molto emblematico. E lo è ancor di più per quelle persone (questa volta non sono due o tre, ma almeno qualche centinaio di migliaia) che ritengono, o si illudono, che è mafia solo quella che spara e traffica cocaina a livello planetario.
Il tenore del messaggio recapitato nell’abitazione di Nicola Costanzo, persona perbene e giornalista del Quotidiano che lavora nella redazione di Vibo, è la dimostrazione che la mafia (chiamatela ’ndrangheta o come vi pare) è molto più diffusa di quanto le periodiche radiografie degli investigatori lasciano ritenere.
“Con questi articoli hai seccato, fatti i fatti tuoi altrimenti ti sparo”: chi ha scritto questo concetto, in dialetto (forse anche forzatamente in dialetto), indirizzandolo al nostro giornalista, probabilmente non appartiene a quella mafia delle pagine di cronaca, dal momento che il nostro giornalista non si occupa di cronaca nera o giudiziaria.
Di sicuro è un mafioso nella sostanza, oltre ad essere poco attento, dal momento che se lo fosse non avrebbe indirizzato quel biglietto al nostro giornalista. Già, perché Nicola Costanzo è un nostro giornalista, che peraltro non scrive per il gusto di impicciarsi dei fatti (e misfatti) degli altri, ma semplicemente fa il suo lavoro. Uno di noi, uno di tanti. Se anche non si occupa di arresti e processi, gli sarà capitato di scrivere qualcosa che ha dato fastidio. Capita anche a chi non scrive della mafia “ufficiale”. E quello che l’anonimo signore (si fa per dire) non capisce, o finge di non capire, è che di quelle “cose” se ne sarebbe occupato un altro di noi, quand’anche Nicola non lo avesse fatto.
È sempre la stessa storia: siamo in tanti, in più giornali, televisioni, siti web. Molti dei quali non disposti a farsi mettere il bavaglio, moltissimi consapevoli che chi racconta una qualsiasi vicenda, in Calabria come altrove, sa che forse qualcuno, invece, gradirebbe il silenzio. Quali siano gli articoli del nostro giornalista che hanno dato così fastidio per il momento non è dato sapere. Anche perché qualche volta intrecci affaristici e mafiosi (nella sostanza) si possono celare dietro vicende apparentemente candide come i colletti o i calzoni dei protagonisti. Gli investigatori sono già al lavoro per risalire all’artefice del coraggioso biglietto imbucato nella cassetta delle lettere dell’abitazione del nostro giornalista. Imbucato nella sua cassetta ma indirizzato nella sostanza a tutti noi, a tutti quelli che, dentro e fuori dal Quotidiano, continueremo a fare esattamente quello che abbiamo fatto fino ad ora.
Il prefetto di Vibo, Giovanni Bruno, sta seguendo la vicenda con grande attenzione. Le forze dell’ordine altrettanto. Ognuno farà la sua parte, perché in certe cose, diversamente da ciò che pensa l’autore del messaggio a Nicola, non è possibile “farsi i fatti propri”, tappandosi occhi e orecchie. E se, come ci auguriamo, il “signore” verrà presto individuato, oltre che per il suo gesto senza firma guadagnerà spazio in cronaca con nome e cognome. E non per farci i fatti suoi. Quando uno fa il suo lavoro, non ha bisogno di sparare, né di mandare messaggi vigliacchi. Anche i malandrini – con o senza calli alle mani – dovrebbero avere il coraggio di assumersi le proprie responsabilità, a volte tacendo. (Il Quotidiano del Sud)
Rocco Valenti
direttore de Il Quotidiano del Sud
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