NEW YORK (Usa) – Terremoto al New York Times dopo la pubblicazione la scorsa settimana del controverso articolo in cui si chiedeva l’intervento dell’esercito per spegnere le proteste, proprio come auspicato dal presidente Donald Trump. Non a caso l’op-ed, comparso nella pagina dei commenti, era firmato Tom Cotton, il giovane senatore repubblicano fedelissimo alleato del tycoon, tanto da essere soprannominato il “Trump 2.0”.
Inevitabile le reazione della redazione, trasformatasi col passare delle ore in una vera e propria rivolta che ha creato una forte pressione sui vertici del quotidiano. Così ora cominciano a cadere le prime teste: via il massimo responsabile della prestigiosa pagina delle opinioni e degli editoriali, James Bennet, e via il suo vice, Jim Dao. Ma questo, lascia intendere l’editore, potrebbe essere solo l’inizio. «Abbiamo concordato che serve un nuovo team nel momento in cui stiamo affrontando un periodo di considerevoli cambiamenti», si legge nella nota dell’editore del Times A.G. Sulzberger. La guida della pagina delle opinioni viene quindi affidata, almeno per il momento, ad un altro dei vice, Katie Kingsbury, che dovrebbe svolgere il nuovo incarico fino alle elezioni presidenziali di novembre. Poi si vedrà.
La decisione al Times era nell’aria ed ha immediatamente scatenato l’ira del presidente americano. Su Twitter Trump si è scagliato contro il giornale più diffuso in America, accusandolo di mancanza di trasparenza e di promuovere disinformazione e fake news.
Del resto i rapporti col tycoon non sono stati mai facili, con il New York Times finito nella lista dei media “nemici del popolo” insieme a testate come il Washington Post o la Cnn. Mentre, nel tesissimo clima che precede il rush finale della campagna elettorale per le presidenziali tensioni e malumori emergono anche al Washington Post, di proprietà di Jeff Bezos.
La redazione del quotidiano della capitale si è divisa dopo che Wesley Lowery, premio Pulitzer 2016 e una star della newsroom per le sue inchieste sui temi della brutalità della polizia, ha lasciato il giornale dopo esser stato minacciato di licenziamento dal direttore Marty Baron. Del resto quest’ultimo è forse il direttore di quotidiani più illustre d’America, dopo aver fatto vincere il Pulitzer al Boston Globe per gli scoop sulla pedofilia del clero e tanti altri premi di eccellenza giornalistica al Washington Post. Aveva intimato a Lowery di attenersi alla linea editoriale della testata che vieta ai giornalisti di esprimere opinioni troppo personali su Twitter e in televisione.
Bufera, infine, anche al Philadelphia Inquirer, dove il direttore Stan Wischnowski si è dimesso dopo la pubblicazione di un articolo che analizzava gli effetti delle manifestazioni sul patrimonio immobiliare cittadino. (ansa)