La mistica calabrese ci lasciava 10 anni fa: oggi è ancora una “star” mediatica

Natuzza, un grande mistero più vivo che mai

Carlo Parisi consegna a Natuzza “L’Affabulatore d’oro”, Premio ideato da Sindacato Giornalisti e Ucsi Calabria, nel 2008. Con lui, da sinistra: i vescovi Salvatore Nunnari e Luigi Renzo, e don Pippo Curatola (foto Giornalisti Italia)

ROMA – Dieci anni fa a Paravati – siamo in Calabria alle porte di Mileto tra Vibo Valentia e Rosarno – moriva Natuzza Evolo, la donna che “parlava con i defunti”, la “donna che faceva i miracoli”, la “donna che aveva le stigmate”, la “santa che aveva il potere della bilocazione”, la mistica di cui si sono occupati i grandi giornali di tutto il mondo per il mistero che ha sempre aleggiato attorno alla sua figura e alla sua storia. Ma, a distanza di dieci anni dalla sua morte, Natuzza rimane ancora, suo malgrado, star della televisione e del mondo dei media.
In Vaticano è appena ripreso il suo processo di beatificazione, e questo oggi riconferma Natuzza Evolo figura di primissimo piano della storia della pietà popolare nel sud del Paese.

L’ultimo libro di Luciano Regolo dedicato a Natuzza

In tutti questi anni c’è anche chi si è preso la briga di catalogare “i tanti miracoli di Natuzza Evolo”, e che forse diventeranno tali solo nel momento in cui la Chiesa li riconoscerà.  È il caso del giornalista e saggista Luciano Regolo, oggi condirettore di Famiglia Cristiana, che su Natuzza ha scritto cinque straordinari saggi, andati a ruba in tutto il mondo. E, proprio in questi giorni, Regolo, in occasione del decimo anniversario della morte di “mamma Natuzza”, è tornato in libreria con un nuovo, importante, lavoro dal titolo “Il Gesù di Natuzza” (San Paolo editore) che riporta, tra le tante testimonianze, quella inedita e commovente di Salvatore Nicolace, primogenito della mistica.
Sarà tutto questo patrimonio che, ora, in Vaticano qualcuno sarà costretto a guardare e a tradurre in atti concreti.
In una delle ultime interviste che Natuzza Evolo aveva scelto di rilasciare ai microfoni della Rai, la mistica di Paravati raccontava al giornalista Pino Nano, nei minimi dettagli e con una serenità che solo lei sapeva avere, il giorno in cui per la prima volta le apparve la Madonna e le chiese di “adoperarsi per far sorgere di fronte alla sua vecchia casa di campagna una grande Chiesa”.
«La Madonna mi apparve per la prima volta cinquantacinque anni fa – così Natuzza a Nano – per dirmi che presto avrei avuto una casa più grande di questa, dove poterla ricevere… ricordo quel giorno come fosse ieri, e ricordo il volto radioso di lei, la serenità immensa con cui mi guardava e con cui mi parlava… mi pareva di averla già incontrata mille altre volte, gli occhi le brillavano, aveva le mai tese verso di me, e lo sguardo rivolto in una radura poco distante da qui… La rividi qualche tempo dopo… mi disse che avrebbe voluto che qui sorgesse una grande chiesa e che si sarebbe dovuta chiamare “Cuore Immacolato di Maria-Rifugio delle anime…».

Natuzza con le evidenti “ferite” in testa (foto Giornalisti Italia)

«Natuzza – le chiede Pino Nano – se lei dovesse spiegare alla gente chi è in realtà Natuzza Evolo, che cosa risponderebbe?»
Natuzza risponde: «Direi la verità, direi che sono soltanto una poveraccia, un povero verme di terra…»
«Ci sono migliaia di persone – insiste Nano – giunte qui da ogni parte del mondo, che sarebbero disposte a giurare di essere state miracolate da lei…»
E Natuzza: «Io ho solo pregato per i drammi personali di migliaia di persone. È gente che viene da me e che mi pone a volte anche i casi più disperati. Quello che faccio io è pregare, prego il Signore perché abbia pietà di loro, perché li aiuti ad affrontare meglio la loro sofferenza, prego perché Dio vuole che io sia qui per pregare per gli altri».
«C’è tantissima gente che è venuta per la prima volta da lei e a cui lei ha dato una diagnosi esatta del male di cui soffrono: com’è possibile tutto questo?»
«Non sono io, è l’angelo custode che sta alle nostre spalle che mi suggerisce le cose da dire. Io non ho nessun merito. Il più delle volte ripeto cose che neanche riesco a capire».
«Ma è vero che un giorno si presentò da lei un sacerdote, vestito in borghese, e lei gli ha baciato il dorso della mano?»
«Appena lo vidi entrare gli andai incontro e gli baciai la mano. Lui rimase di stucco, mi chiese come facessi a sapere che era un sacerdote, gli spiegai che lo avevo capito dalla posizione del suo angelo custode, lo aveva alla sua sinistra, tutti gli altri invece lo hanno a destra. Poi mi spiegò che aveva pensato di venire in incognito per parlare più liberamente».
Dopo quasi 60 anni da quel giorno, e a 10 anni esatti dal giorno della sua morte, oggi a Paravati sorge una grande basilica che presto sarà consacrata e aperta al culto, e diventerà per come Natuzza aveva sempre sognato e sperato in vita, grande meta di pellegrinaggi di preghiera.

Le emografie sulle braccia di Natuzza

Bastava essere a Paravati il 2 novembre di un anno fa, giorno dei defunti, per capire quanto in realtà questa “povera contadina calabrese” abbia lasciato un segno indelebile della sua presenza agli altri, con il suo esempio e la sua testimonianza terrena: a ricordarla, ma soprattutto a pregare sulla sua tomba nel nono anniversario della sua morte erano arrivati in ventimila, e da ogni parte del mondo. Sono quelli che Natuzza chiamava “i figli della speranza”, gente che per tutta la vita ha avuto con Paravati e con la casa di Natuzza un rapporto forte, e che rimarrà legata a Natuzza per tutto il resto della propria vita.
Per chi avesse ancora voglia di risentirla, Natuzza la si ritrova ancora oggi più presente e più serena che mai sulla rete, su Youtube migliaia di persone ogni giorno tornano e corrono a guardarla, a parlare con lei, a chiederle magari qualcosa, ed è sempre la rete a restituirci frammenti delle sue dichiarazioni in televisione.
Riletta oggi, a dieci anni esatti dalla sua scomparsa e alla vigilia della conclusione del processo di beatificazione che la Chiesa ha voluto per lei, la storia personale di Natuzza Evolo sembra quasi una favola.
Don Michele Cordiano, che è uno dei sacerdoti che in questi anni gli è stato più vicino, la racconta in questo modo, e la racconta con le lacrime agli occhi, perché per lui Natuzza è stata più che una mamma: «Natuzza nasce il 23 agosto 1924 a Paravati, minuscola frazione di Mileto, è un paesino di tremila abitanti nella provincia calabrese di Vibo Valentia. Il papà, Fortunato, Natuzza non l’ha mai conosciuto, perché alcuni mesi prima della sua nascita era partito per l’Argentina e lui non è mai più ritornato. Sua madre, Maria Angela Valente, ha dovuto invece arrangiarsi per racimolare un pezzo di pane, quando non era la piccola Natuzza (diminutivo di Fortunata) a doverlo mendicare al forno del paese. La bimba cresce quindi in queste condizioni precarie, senza mai andare a scuola, quasi facendo da mamma ai fratelli».
Ma quando esattamente, Natuzza incomincia a vivere i suoi primi fenomeni straordinari?
Don Michele è un fiume in piena: «Aveva appena otto anni quando Natuzza riceve per la prima volta la “visita” straordinaria di san Francesco di Paola, il grande santo calabrese, patrono della gente di mare, e poiché questa visione le sembrò una cosa del tutto normale Natuzza la raccontò ai suoi familiari con una naturalezza che incominciò subito a preoccupare il piccolo mondo che attorno a lei già allora si muoveva. Ma da quel primo racconto, come quello di San Francesco che le aveva parlato, ne seguirono tanti altri. Come quando Natuzza riceve la sua prima Comunione, e si accorge che la sua bocca è piena di sangue. Lei lo inghiotte, pensa dentro di sé di “aver mangiato” Gesù e quindi di aver fatto peccato, chiede aiuto al suo sacerdote, gli racconta pogni dettaglio di quella sua terribile esperienza, ma il parroco la rassicura. Ma erano già quelli i primi segni di un’anima privilegiata, segni che si moltiplicheranno qualche anno più tardi quando, verso la fine del 1938, Natuzza prende servizio nella casa dell’avvocato Silvio Colloca. Siamo a Mileto, nella parte più antica del paese. A quell’età Natuzza è una ragazza sveglia, svelta nei mestieri di casa, molto obbediente e schiva, che presto conquista la fiducia dei Colloca».
E qui si verifica il secondo evento straordinario della vita privata di questa giovane domestica. «Un pomeriggio, quando la signora Alba Colloca offre il caffè ad alcuni ospiti, Natuzza le chiede con grande naturalezza come mai non lo avesse dato anche al sacerdote. “Scusa, ma quale sacerdote?” le risponde la signora. “Quello che sta seduto con gli altri due signori”, le risponde Natuzza. La signora torna in salotto, riferisce l’episodio e uno dei due ospiti racconta che suo fratello, morto da anni, era un prete. Chiamano Natuzza e lei incomincia a descriverlo alla perfezione. Non potevano esserci dubbi. Era lui. Un altro giorno invece la sentono bisbigliare: “Attenti a non far cadere quei bicchieri, sennò la signora mi sgrida!”. La padrona di casa le chiede con chi stese parlando e lei, di rimando, risponde che stava parlando con alcuni angeli che erano venuti a trovarla».
All’età di quindici anni, Natuzza torna a casa Colloca, dopo aver ricevuto la Cresima, e si accorge che ha la maglietta bagnata. Se la toglie e scopre che sulla parte interna della maglietta le si è formata una grande croce di sangue.

Le emografie sulle ginocchia di Natuzza

Don Michele sorride. «Non penserà davvero che quella dei Colloca sia diventata nel tempo la casa degli spiriti?». Eppure, la famiglia dove Natuzza presta servizio incomincia a preoccuparsi di tutto questo. «La sera, durante la cena, i coniugi Colloca discutono sottovoce di cosa fare di quella ragazza così tanto buona ma anche così tanto strana, e adombrano l’idea di rispedirla a casa sua, a Paravati. Ma quando la signora Colloca entra nella cameretta di Natuzza per parlarle, la trova in un mare di lacrime. Fra un singhiozzo e l’altro Natuzza dice alla sua padrona: “È venuta a trovarmi una signora, mi ha detto che è sua madre, e mi ha raccontato che voi volete cacciarmi di casa!”. La signora Alba la rassicura, pur sapendo di mentire. Ma il giorno dopo Natuzza le chiede: “Perché vostra mamma parla con la voce abracatizza?”. La signora quasi sviene: sua madre era infatti morta alcuni anni prima di un tumore alla gola e quindi parlava con la voce roca, in dialetto appunto, abracatizza. E quando le mostra una foto della mamma scomparsa, Natuzza non ha dubbi: “Sì, è proprio questa donna che è venuta a trovarmi ieri sera”».
Francesco Mesiano, uno dei primi e più attenti studiosi di Natuzza Evolo, scrive che fin da giovanissima Natuzza mostrò segni particolari: è una donna che vede i defunti e conversa con loro, che va in trance, che ha sudorazioni ematiche, più evidenti durante la Quaresima, che vive anche il grande mistero delle stimmate. Il sangue che sgorga dalle sue ferite, a contatto con bende o fazzoletti, si trasforma in segni strani, a volte incomprensibili, in testi di preghiera in varie lingue, in calici, ostie, Madonne, cuori, corone di spine. Insomma, siamo in presenza del mistero più assoluto. Un mistero che dopo la sua morte è rimasto tale e quale, chiuso per sempre nei forzieri del Vaticano, dove oggi il caso Natuzza Evolo viene analizzato e studiato in tutte le sue mille manifestazioni.
Nel 1941 Natuzza lascia la famiglia dei Colloca e va ad abitare nella casa della nonna materna. Pensa in un primo momento di farsi suora, ma viene presto dissuasa: è troppo povera e poi quei suoi fenomeni così strani e incomprensibili avrebbero turbato la vita di qualsiasi convento. Decide allora di sposarsi. E il 14 gennaio 1944 Natuzza sposa un suo compaesano, Pasquale Nicolace.

Natuzza giovane

Per lei inizia una nuova vita. La giovane coppia va ad abitare in una poverissima casetta del centro storico, che nei fatti, col tempo, diventerà la vera e unica testimone silenziosa di visioni, colloqui, canti, confessioni, incontri, messaggi dell’aldilà. Nascono cinque figli, Salvatore, Antonio, Anna Maria, Angela e Francesco, oggi tutti felicemente sposati. A pregare sulla sua tomba oggi ci sono anche undici nipoti e tre pronipoti.
Esattamente dieci anni fa, nel giorno del suo funerale arrivano a Paravati migliaia di persone da ogni parte del mondo. È gente che da sempre ha un rapporto diretto con la donna delle stimmate, è gente che sente di essere stata chiamata direttamente da lei, nel giorno probabilmente più felice della sua vita terrena.
Una fila immensa si forma davanti al suo feretro, tantissime donne, tantissimi sacerdoti, tantissimi giovani, tantissime ragazze, che tengono per mano donne meno giovani, le mamme, le zie, le nonne, le sorelle, generazioni e generazioni di cinque continenti diversi, si riversano nella radura che fino a poco tempo fa era soltanto una cava di argilla, e che oggi invece si prepara ad ospitare una delle basiliche più grandi d’Europa.
La cosa che più emoziona è che nessuno piange, e il funerale di Natuzza diventa come d’incanto una festa corale, una preghiera comune, un inno alla vita. I suoi gruppi di preghiera si sono ridati appuntamento nello stesso posto dove 60 anni prima la Madonna sarebbe apparsa a Natuzza per chiederle di costruire lì la sua Chiesa.
Natuzza riceveva tutti in una piccola stanza, eternamente vestita di nero. Appena entravi ti chiedeva perché tu avessi fatto tanta strada… Come d’incanto la sentivi più vicina, più di quanto potessi immaginare.
Molti venivano fin qui solo per vederla, per scambiare con lei qualche parola, molti non sapevano neanche cosa chiederle, le parlavano dei figli, del marito, dei genitori, del lavoro. Lei ascoltava in silenzio, poi affidava a chi le stava di fronte il suo messaggio di preghiera. Da quella stanza molti sono usciti con le lacrime agli occhi, altri hanno mostrato un volto raggiante, altri ancora con il desiderio di voler tornare al più presto…
Questo di Natuzza rimane ancora un grande mistero, che neppure illustri studiosi e scienziati, arrivati a Paravati da ogni parte del mondo, sono mai riusciti a chiarire. (giornalistitalia.it)

 

 

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