MILANO – È morto oggi, a Milano, uno dei più noti giornalisti italiani: Piero Ostellino. Ha svolto la sua carriera quasi interamente al Corriere della Sera, il quotidiano che per 48 anni ha annoverato la sua firma, soprattutto quale corrispondente da Mosca e Pechino, e che ha diretto dal 1984 al 1987.
Nato a Venezia il 9 ottobre 1935, Piero Silvio Ostellino era giornalista professionista iscritto all’Ordine della Lombardia dal 19 gennaio 1970. Laureato in Scienze politiche all’Università di Torino e specializzato in sistemi politici dei paesi comunisti e proprio nel capoluogo piemontese, nel 1963, aveva fondato il Centro di ricerca e documentazione “Luigi Einaudi” e, nel 1964, la rivista “Biblioteca della Libertà”, che ha diretto fino al 1970. Dal 1990 al 1995 ha, inoltre, diretto l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) di Milano ed è stato membro del comitato scientifico dell’Università della Carolina del Nord. Ha scritto numerosi saggi di carattere storico e politico.
Dal 1967 al gennaio 2015 ha lavorato al Corriere della Sera ed in via Solferino ha ricoperto diversi incarichi: corrispondente da Mosca dal 1973 al 1978 in piena epoca brezneviana (esperienza raccontata in un libro di notevole successo del 1977, “Vivere in Russia”, Rizzoli) e da Pechino nel 1979 e 1980, in una Cina avviata verso le riforme radicali promosse da Deng Xiaoping (ne è nato un altro libro nel 1981, “Vivere in Cina”, Rizzoli).
Inviato speciale, poi direttore responsabile nel 1984, chiamato al posto di Alberto Cavallari che aveva risollevato il “Corriere” dopo lo scandalo P2. Ostellino restò alla guida del giornale per 3 anni, per cedere nel 1987 il timone a Ugo Stille. Sotto la sua direzione, comparve sulla prima pagina del “Corriere” il famoso articolo di Leonardo Sciascia sui “professionisti dell’antimafia”.
Pensionato dal 1° giugno 1996, Ostellino è stato editorialista e titolare della rubrica settimanale “Il dubbio” dove registrava regolarmente, a volte con sarcasmo, l’incoerenza di forze e di leader nati dopo Tangentopoli che evocavano i valori liberali, ma si dimostravano incapaci di praticarli. Nel febbraio 2015 era passato al Giornale. L’allora direttore del “Corsera”, Ferruccio De Bortoli, aveva dichiarato: “Ho fatto il possibile per trattenerlo e per favorire un’intesa economica con l’azienda. La considero una sconfitta personale”.
Amante della scuola illuminista scozzese, conoscitore di autori come John Locke, David Hume, Adam Smith, di cui apprezzava la fede nell’individuo e la consapevolezza dell’imperfezione umana. Nella sua vita, sia come scrittore che come giornalista, contrastò sempre lo statalismo e per questo diffidava dell’Illuminismo francese che aveva prodotto l’intransigenza giacobina e il Terrore rivoluzionario. Ai tempi di Tangentopoli prese, quindi, di mira con assiduità anche gli eccessi del giustizialismo e il protagonismo e le interferenze nella politica di certa magistratura che, in nome di un’esigenza di moralizzazione della vita pubblica, agiva al limite del diritto. Poi, da appassionato juventino, si era scagliato con forza contro Calciopoli. Da sempre dalla parte dei cittadini spesso schiacciati da tasse eccessive e un sistema giudiziario farraginoso, nel 2009 pubblicò con Rizzoli un libro di denuncia dall’eloquente titolo “Lo Stato canaglia”.
“Era una personalità forte Piero Ostellino”, ricorda il Corriere della Sera sottolineando che, fino all’ultimo, ha continuato a “sognare un’Italia liberale che assomigliasse di più alle democrazie anglosassoni, davvero rispettosa dei diritti individuali”, ma purtroppo non ha potuto vederla”. (giornalistitalia.it)
Aveva 82 anni. Per 48 anni al Corriere della Sera, ne è stato direttore dal 1984 al 1987