ROMA – «Mi vorrebbero ramingo coi campanelli come i lebbrosi del Medio Evo». Così Indro Montanelli (1909-2001) scriveva a Giovanni Spadolini (1925-1994) concludendo una lettera inedita datata 30 ottobre 1973 in cui ricostruiva in maniera minuziosa gli eventi e i passaggi dell’interruzione del suo lungo rapporto, avvenuto il 17 dello stesso mese, con il Corriere della Sera, protrattosi per quarant’anni.
Molto è stato scritto sulla vicenda, anche dagli stessi protagonisti: ’’importanza del documento ora pubblicato per la prima volta sul nuovo fascicolo della rivista Nuova Antologia, diretta dallo storico Cosimo Ceccuti, sta soprattutto nel dettagliato resoconto che il grande giornalista fece in via riservata per Spadolini, che era stato il suo direttore dall’11 febbraio 1968 al 10 marzo 1972, quando arrivò al suo posto Piero Ottone.
«La lettera è conservata fra le Carte personali di Giovanni Spadolini, ovvero la parte dell’archivio cui il professore fiorentino teneva di più», scrive Ceccuti, presidente della Fondazione Spadolini di Firenze, nell’articolo a sua firma che accompagna il documento pubblicato integralmente.
La sera del 16 ottobre il direttore Ottone annuncia a Montanelli una visita, a casa sua, l’indomani, alle 9.30 («Naturalmente, ho già capito di che si tratta»). In “lacrime (vere)” Ottone lo informa dell’incompatibilità rilevata dal Consiglio di Amministrazione, dove il “più accanito” contro il giornalista sarebbe stato il rappresentante di Gianni Agnelli, Alberto Giovannini, con conseguente richiesta di dimissioni. Se avesse immaginato di trovarsi in questa situazione – confida Ottone a Montanelli – non avrebbe accettato la direzione del “Corriere”. Per dignità Indro decide di rassegnare le dimissioni richieste. Sopraggiunge Franco Di Bella, allora redattore-capo e futuro direttore del giornale (dal 1977 al 1981), per giustificare di persona l’impossibilità di esprimere solidarietà, poiché al “Corriere” “ci deve campare”.
Alle ore 15 chiama Arrigo Levi, direttore de “La Stampa” per invitare Montanelli a collaborare al quotidiano torinese. Dato l’atteggiamento riferito di Giovannini, Montanelli dubita che la proprietà de “La Stampa” (Agnelli) veda con favore l’offerta del direttore: «Gli dico che fa un passo falso perché ho tutti i motivi di ritenere che il suo padrone non approverà. Mi risponde che, come direttore, è lui che assume e licenzia, ma che comunque accerterà».
Dopo solo mezz’ora arriva da Levi la conferma: l’Avvocato è ben lieto dell’invito e pochi minuti dopo egli stesso chiama al telefono Montanelli per dargli il benvenuto a “La Stampa”.
La sera è Ottone a chiamare al telefono. Si scusa per non poter pubblicare la lettera di commiato ai lettori ricevuta da Montanelli e gliene darà spiegazione l’indomani, con una visita.
Non può accettare – chiarisce appunto il giorno dopo – l’allusione al “pronunciamento padronale”, dal momento che egli stesso era presente e consenziente sulla decisione adottata dalla proprietà. E le lacrime del giorno prima? Ottone non dà risposta, racconta Montanelli nella lettera.
Davanti a quell’imbarazzato silenzio, Indro lo congeda senza accompagnarlo alla porta («Gli dico: “Vàttene”. E non lo accompagno alla porta»).
Arriva poco dopo la telefonata di Giovannini: felice di averlo a “La Stampa”, offerta addirittura da lui anticipata, nel corso della riunione, a Ottone e Giulia Maria Crespi, i due che avevano voluto la convocazione del Consiglio di Amministrazione per la rottura. («Una volta riunito, Giovannini ha detto: “Fate quello che vi pare, ma non stupitevi se fra due giorni vedete la firma di Montanelli sulla Stampa”.
A me ora dice: “Sì, è vero, non ho fatto nulla per trattenerti al Corriere: è mio interesse portarti alla Stampa, ma è interesse anche tuo»).
Scrive Montanelli a Spadolini: «Così, in 24 ore, mi sono sistemato meglio di prima. Dal Corriere, nulla. Il comitato di redazione, organo di Giulia Maria, non ha trovato niente da dire contro un licenziamento fatto dal Consiglio d’Amministrazione e contro la risposta di Ottone – che avrai visto e giudicato – a una lettera non pubblicata. Alla Stampa mi hanno accolto col tappeto rosso. La sera a cena da Agnelli, che mi ha chiesto se ritengo rimediabile la situazione del Corriere. Gli ho risposto di no, ma non ho capito che progetti abbia. Secondo Giovannini, esita a riconoscere l’errore commesso acquistando, è tentato di vendere, ma l’orgoglio glielo vieta, non osa estromettere la scimunita per paura che diventi un altro Sandro Perrone, e forse aspetta che la situazione si deteriori al punto che la redazione lo chiami come salvatore.
Dimenticavo: c’è stato al telefono un diverbio fra Ottone e Levi. Ottone ha detto che la mia assunzione è un atto sleale. Levi ha risposto: “Non ve l’ho portato via. Siete voi che lo avete buttato sul lastrico. Dovevo lasciarcelo un giornalista come Montanelli?”. Mi vorrebbero ramingo coi campanelli come i lebbrosi del Medio Evo. Ecco i fatti, caro Giovanni, come si sono realmente svolti.Non mi hanno affatto turbato».
Fin qui la ricostruzione di quelle ore. Il resto è noto. Il “Corriere”, ovvero Ottone, rifiuta di pubblicare il congedo di Montanelli dai suoi lettori e l’interessato darà il testo alle agenzie di stampa. Ettore Bernabei, direttore generale della Rai, lo farà leggere di sua iniziativa al telegiornale delle 13.30 e a quello delle 20.30.
Pochi mesi dopo, il 25 giugno 1974, uscirà il “Giornale nuovo”, l’organo di stampa fondato e diretto da Indro Montanelli in concorrenza al “Corriere” di Ottone: portandosi dietro prestigiose firme quali quelle di Piovene, Corradi, Bettiza, Zappulli, Cervi, Piazzesi ed altri ancora. Ottone avrebbe concluso la sua direzione in via Solferino il 29 ottobre 1977. Sul “Corriere” si avvicinava l’ombra della P2.
Il professore Cosimo Ceccuti, nell’articolo che accompagna il documento finora tenuto gelosamente custodito negli archivi della Fondazione Spadolini, spiega così i motivi della pubblicazione: «Indro Montanelli ha scritto questa lettera a Spadolini, così particolareggiata, per affidare la ricostruzione (“la registrazione”) della tormentata vicenda all’amico direttore, ma soprattutto allo storico. Da qui la decisione di pubblicarla, nel rispetto della volontà di chi l’ha scritta». (adnkronos)