PAOLA (Cosenza) – “La Chiesa non è la magistratura, non è la polizia; e la magistratura non è la Chiesa. Abbiamo criteri diversi con cui aggredire le realtà mafiose, nel rispetto delle competenze di ciascuno. Al prete, al vescovo, non compete dichiarare chi è mafioso e chi non lo è. Questo spetta alla magistratura”. Così monsignor Nunzio Galantino, vescovo di Cassano Ionio e segretario generale della Cei, nell’intervista a Tv2000 rilasciata a conclusione della riunione della Conferenza episcopale calabra che si è tenuta nel Santuario di Paola, in provincia di Cosenza.
Commentando le recenti vicende di Oppido Mamertina, il segretario della Cei sottolinea la necessità di fare “chiarezza” sulle competenze coinvolte nella gestione del fenomeno mafioso: “Il prete e il vescovo, come tutta la comunità cristiana, dicono ovviamente con chiarezza chi è contro il Vangelo e contro i valori del Vangelo”.
“La mafia va aggredita da tutte le parti – prosegue – ognuno mantenendo le proprie competenze, ma con un impegno chiaro, leale, di collaborazione e anche di decisione degli interventi”.
Il vescovo di Cassano Ionio ribadisce, inoltre, che dinanzi a “fenomeni così complessi abbiamo bisogno tutti quanti di ritrovarci, di riflettere, di verificare” e che da parte dei vescovi calabresi c’è “una presa di distanza senza equivoci, come chiesto Papa Francesco”.
“Tutti devono sapere – sottolinea mons. Galantino – che non c’è nessuna possibilità di commistione tra religione e malaffare. La ‘ndrangheta è affari sporchi”. Ai microfoni di Tv2000 Galantino spiega che “quello della pietà e della religiosità popolare è un fenomeno molto complesso” ma udato è certo: “Se per caso, o di fatto, qualche malavitoso si accosta al santo, semmai paga anche i fuochi artificiali o le luminarie, deve sapere che quel gesto non lo riscatta dal suo essere fuori dalla Chiesa, non lo riscatta dal suo essere assolutamente non in linea con il Vangelo”.
Il segretario della Cei conclude ribadendo che “non è l’offerta che ci fa santi, non è il pagare le spese o portare sulle proprie spalle la statua del santo che ci riscatta dalla malavita che noi viviamo. E’ altro: è il pentimento, la conversione e la voglia di far sapere pubblicamente che noi prendiamo le distanze da una vita vissuta male”. (Sir)
Il segretario generale della Cei ha commentato a Tv2000 gli “inchini” nlle processioni