ROMA – Le intercettazioni dei giornalisti «destano giusti e forti interrogativi. E ha fatto bene la ministra Cartabia a ordinare un’ispezione a Trapani». L’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti, in un’intervista al quotidiano La Stampa, da una «casa nel faro di un Paese del Sud Italia», sgombra il campo dai sospetti e dalle polemiche escludendo di aver avuto un ruolo sia nell’inchiesta che nelle intercettazioni dei cronisti.
Del resto, la nota con cui l’ufficio immigrazione del Dipartimento di Pubblica Sicurezza sembra suggerire allo Sco le linee di azione dell’indagine, che ha portato all’intercettazione dei giornalisti, reca una data: 12 dicembre 2016. «Se non fu un ordine, sembrava tanto – rileva La Stampa – un suggerimento». Ma Minniti taglia la testa al toro: «Nelle stesse ore in cui veniva diramata la nota io ero al Quirinale: stavo giurando come nuovo ministro dell’Interno. Non avrei mai potuto essere così rapido». E quando gli si chiede se, per caso, sia stato il suo predecessore, Angelino Alfano, Minniti taglia corto: «Questo genere di relazioni non passano dal ministro. Sono note degli uffici. Gli uffici hanno una loro autonomia operativa».
Dunque, chi ha ordinato quelle intercettazioni? «La polizia giudiziaria, da qualsiasi ministero provenga, – ricorda Minniti – dipende solo ed esclusivamente dal magistrato. In Italia esiste la separazione dei poteri e ne sono orgoglioso. Solo chi non conosce il nostro Paese può pensare che da noi possa esistere un magistrato che si fa dare ordini da un ministro».
Quanto alle Ong, Minniti ricorda di non averle «mai criminalizzate» e rivendica la sua azione di governo sulla gestione dei flussi migratori. «Nel 2017-2018 – ricorda – avevamo messo a punto un dispositivo di ricerca e soccorso in mare di cui facevano parte le Ong. In quel periodo la guardia costiera italiana operava in acque libiche e questo è accaduto fino alla fine della mia esperienza di governo. Non abbiamo mai chiuso nessun porto e la situazione era molto complicata».
Il codice di condotta? «Era un codice pattizio nei rapporti con le Ong, – risponde – non una legge come sarebbe stato fatto dopo. Se le Ong assumono un ruolo rilevante nella gestione delle emergenze umanitarie è normale che si coordino con il Paese se un magistrato ritiene utile un’ispezione con la polizia giudiziaria, è giusto che possa farlo».
Infine, alla domanda relativa al fatto che i giornalisti intercettati indagavano sui rapporti tra il governo italiano e i trafficanti di uomini libici, Minniti nega di aver mai incontrato uno di questi boss, Abdul Rahaman Milan, detto Bija. «Non l’ho mai incontrato. Si è parlato di un suo viaggio in Italia su invito dell’Organizzazione per l’immigrazione di Ginevra. All’epoca si presentava come ufficiale della Guardia costiera libica e la formazione della guardia costiera libica era un compito dell’Ue». «Io – conclude – ho trattato sempre con rappresentanti istituzionali. Il memorandum tra Italia e Libia era stato firmato dai due capi di governo: Paolo Gentiloni e Sarraj. Sottolineo che quel memorandum è in vigore e agisce anche oggi».
Marco Minniti, che il 27 febbraio scorso si è dimesso da deputato per assumere la guida della Fondazione Med-Or di Leonardo (azienda attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza, cui maggiore azionista è il Ministero dell’Economia e delle Finanze), assicura che il suo «non è cinismo, è realismo. Di fronte ai problemi non basta protestare, bisogna proporre soluzioni. Il mio modello non va bene? Ditemi qual è l’alternativa. Questo è il riformismo». (giornalistitalia.it)