RAGUSA – Sei anni e sei mesi di carcere. È la richiesta formulata al termine della sua requisitoria, dal Pm Valentina Sincero nel processo contro il boss di Vittoria, Giambattista Ventura, 58 anni, accusato delle minacce di morte ai danni del giornalista dell’Agi Paolo Borrometi. L’imputato risponde di episodi di violenza privata, con l’aggravante del metodo mafioso e di averli posti in essere per agevolare il clan della Stidda Dominante Carbonaro. Ventura ha rinunciato all’esame.
L’accusa ha inquadrato il contesto criminale e lo spessore del reggente del clan, la vicinanza al gruppo Carbonaro-Dominante, la sua riorganizzazione e la conoscenza del metodo con cui, attraverso le minacce, Ventura avrebbe intimorito il cronista. Poi la parola alle parti civili.
Ventura risponde di ripetuti episodi di violenza privata, con l’aggravante del metodo mafioso e di averli posti in essere per agevolare il clan della Stidda Dominante Carbonaro del quale, secondo gli inquirenti, sarebbe il reggente.
Il collegio giudicante è composto da Vincenzo Saito presidente, a latere Vincenzo Ignaccolo e Ivano Infarinato. La pubblica accusa è sostenuta dal pm Valentina Sincero della Direzione distrettuale antimafia di Catania. In aula per la difesa di Giambattista Ventura il suo legale, l’avvocato Giuseppe Di Stefano. Tra le parti civili sono rappresentati lo stesso Borrometi, la Federazione nazionale della stampa italiana e l’Ordine dei giornalisti di Sicilia.
Borrometi ha portato alla luce gli affari mafiosi del territorio e per questa ragione è stato oggetto di minacce di morte a seguito delle quali vive sotto scorta. Nella precedente udienza, i pentiti di mafia Giuseppe Pavone, Giuseppe Doilo e Rosario Avila hanno confermato lo spessore criminale di Giambattista Ventura, definito “u’ziu, quello che comanda a Vittoria”. “Ti scippo la testa anche dentro la questura”, ha detto tra le altre cose Ventura rivolgendosi a Borrometi. (agi)