ROMA – Prima la Rai a difendere i propri oneri e onori, adesso lui. Di persona personalmente. «La pubblicazione da parte de “La Stampa” della falsa notizia secondo cui il sottoscritto percepirebbe dalla Rai 2,7 milioni di euro per la realizzazione di tre programmi televisivi ha sollevato un enorme clamore mediatico. Comunico di aver dato mandato ai miei legali di fiducia di agire nelle sedi competenti al fine di tutelare la mia immagine e la mia identità personale e professionale».
Parola (scritta) di Michele Santoro che, indignato per quanto riportato dal quotidiano torinese e per lo spazio inadeguato (a suo avviso) riservato alla rettifica, ha deciso di passare alle maniere “forti”: la querela, appunto. Di un giornalista nei confronti di altri giornalisti.
«Le cifre indicate, – spiega nel suo comunicato Santoro – come già precisato nella mia richiesta di rettifica inviata al Direttore de “La Stampa”, pubblicata tardivamente e senza la giusta evidenza, sono comprensive di tutto quanto è necessario alla realizzazione delle trasmissioni: redazione, riprese, montaggi, studi, regie, diarie e così via. La società Zerostudio’s deve consegnare dodici puntate di tre differenti programmi “chiavi in mano” e una riedizione di una serie di “Sciuscià”. Il pagamento avverrà solo a consegna avvenuta».
«Con una impaginazione suggestiva – rimarca Santoro – si crea volutamente una confusione nel pubblico collocando tra i compensi dei cosiddetti “vip” le cifre di un contratto di acquisto che riguarda la società Zerostudio’s che attualmente è una Spa e di cui non sono l’unico socio. Così si scredita la mia figura e si danneggia l’attività professionale di un gruppo di lavoro. Sono stato costretto ad adire le vie legali dopo che anche “La Stampa” non ha colto il mio invito a controllare l’intera contabilità delle puntate già realizzate in perdita accertando che non esistono compensi per il mio lavoro». (giornalistitalia.it)
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