MILANO – Come un fiume carsico, la battaglia finanziaria e giuridica tra Mediaset e Vivendi affiora e si inabissa a intervalli più o meno regolari. Adesso, complice una serie di iniziative messe in campo dal gruppo della famiglia Berlusconi e con l’avvicinarsi dell’assemblea del 4 settembre, si è in una fase in cui lo scontro sta tornando ad acuirsi, ingarbugliando ulteriormente la matassa.
Un gomitolo che si è cominciato a formare nel 2016, con il mancato rispetto dell’accordo per la cessione di “Premium” al colosso francese dei media. Da allora è stato un susseguirsi di scaramucce legali e richieste di risarcimenti miliardari, passando per un tentativo di scalata che ha portato Vivendi a salire fino al 30% del capitale Mediaset, a un soffio dall’Opa obbligatoria. Qui le cose si sono intricate ulteriormente: i francesi si sono visti imporre dalle autorità italiane l’obbligo di scegliere tra la partecipazione in Tim, di cui è il primo azionista con il 23,9% del capitale, e quella in Mediaset. Un problema in parte superato con il conferimento del 19,1% di Mediaset nel veicolo Simon Fiduciaria, conservando direttamente il restante 9,6%.
Una partecipazione, quest’ultima, che tra l’altro non è servita neppure in assemblea, dove Vivendi si è vista escludere dalla facoltà di partecipare alle votazioni, anche a quella dello scorso 18 aprile, quando è stato approvato il voto maggioritario, un meccanismo che ha rafforzato la presa di Fininvest sulla società. Da qui è partito l’ultimo blitz giudiziario dei francesi, che hanno presentato nuovi esposti alla Consob e l’ennesimo ricorso in tribunale, con il quale ha chiesto la revoca delle delibere che hanno introdotto il voto plurimo.
Nel frattempo, Mediaset ha mosso nuove pedine per concretizzare il piano che dovrebbe portare alla costruzione di un polo televisivo paneuropeo: ha creato la holding MediaforEurope (MfE) in cui sono confluite le attività di Italia e Spagna e la partecipazione di quasi il 9,1% della tedesca Prosiebensat.
In vista dell’assemblea convocata per il 4 settembre per dare il via libera alla costituzione di MfE e al suo trasferimento in Olanda, per Vivendi si aprono due strade. Una è quella di aderire all’operazione in coerenza con i propositi più volti dichiarati di voler partecipare a un polo televisivo europeo – e latino più precisamente – per contrastare i colossi statunitensi di livello globale (vedi Netflix).
L’alternativa sarebbe quella di ostacolare l’operazione, esercitando il diritto di recesso: in questo caso Vivendi, forte del suo peso nel capitale sociale, farebbe saltare l’intero progetto visto che Mediaset ha fissato in 180 milioni di euro il limite massimo di esborso.
Una soluzione, però, poco probabile per Vivendi, alla quale in realtà, più che aspettare di esercitare il recesso, sarebbe convenuto uscire in anticipo dall’azionariato del Biscione, visto che gli attuali corsi di Borsa sono superiori al prezzo fissato per il recesso. In entrambi questi ultimi due casi, per i francesi si tratterebbe di incassare una minusvalenza e di inserire a bilancio una perdita sulla partecipazione, acquistata a un prezzo medio di 3,7 euro ad azione (poi svalutata a 2,7 euro).
In caso di uscita a settembre, comunque, secondo quanto fatto trapelare nelle scorse settimane da fonti vicine a Mediaset, esiste la possibilità che altri investitori possano essere interessati a salire sul carro di MediafroEurope, tra cui sono circolati i nomi della portoghese Media Capital (la principale società media del Paese, controllata dal gruppo Prisa), senza dimenticare i colloqui in corso con Tf1 e un altro piccolo gruppo francese (Nrj).
Insomma, una partita apertissima di cui è difficile prevedere l’esito, del resto con Vincent Bolloré, il patron di Vivendi, “è difficile fare previsioni” aveva detto l’amministratore delegato di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi, in occasione della presentazione dei palinsesti del gruppo per la stagione 2019-2020. (agi)
Mediaset – Vivendi, le tappe dello scontro
L’esposto alla Consob contro Vivendi ufficializzato da Mediaset, è solo l’ultimo tassello della “guerra” finanziaria e giuridica tra le due aziende, una guerra la cui parola fine è ancora tutta da scrivere. Tutto inizia con un accordo per lo sviluppo di nuovi progetti industriali su scala internazionale di Mediaset Premium e il contemporaneo scambio reciproco di un pacchetto di azioni pari al 3,5%.
Con quel contratto, il gruppo francese si impegna all’acquisto della pay tv del Biscione. Successivamente Vivendi comunica di non voler più rispettare l’accordo: “È come se ci avessero invitato a cena in un ristorante a tre stelle e poi ci fossimo ritrovati in un McDonald’s”, è la frase con la quale il eco di Vivendi, Arnaud de Puyfontainme, idealmente straccia quel contratto. Mediaset annuncia, quindi, una serie di azioni “a tutela della società” e Fininvest, primo azionista di Mediaset, deposita al tribunale di Milano un atto di citazione in cui chiede un risarcimento non inferiore a 570 milioni di euro.
La risposta di Vivendi parte dalla Borsa: acquista titoli Mediaset e si porta al 28,8% del capitale e al 29,94% dei
diritti di voto, a un soffio dalla soglia del 30% sopra la quale scatta l’obbligo di Opa. Successivamente l’AgCom, per il contemporaneo controllo del 23,9% di Tim, obbliga Vivendi a conferire il 19,2% di Mediaset neil veicolo Simon Fiduciaria, lasciandole il restante 9,6%.
In ogni caso, lo shopping costa ai francesi 1,3 miliardi di euro circa. Sempre nello stesso arco temporale, Fininvest rafforza la propria posizione portandosi al 44% circa del capitale e facendo approvare in assemblea il voto plurimo che rafforza ulteriormente la propria presa sulla società. L’ultima mossa è ancora di Mediaset che lancia un progetto per fondersi con la controllata spagnola e trasferire in Olanda la nuova creatura, destinata a essere, nelle intenzioni dei vertici del Biscione, il nucleo aggregante di un futuro polo generalista televisivo pan-europeo.
Il progetto è destinato a essere approvato dall’assemblea del 4 settembre. Parallelamente si muove la magistratura milanese, che indaga i vertici di Vivendi, Bollorè e lo stesso de Puyfontaine, per aggiotaggio. (agi)
Assemblea il 4 settembre: perché Mediaset diventerà MfE
Mediaset si appresta a cambiare nome e indirizzo, nella speranza di coltivare l’ambizione di contribuire “da protagonista” alla nascita di un polo televisivo generalista pan-europeo. Il cda del Biscione ha battezzato la nuova creatura MediaforEurope, oppure in breve MfE, destinata a prendere la residenza in Olanda; scelte che dovranno ottenere l’approvazione dei soci all’assemblea di mercoledì 4 settembre. Per quanto riguarda l’attività quotidiana dell’azienda, è bene specificarlo, non sono previsti trasferimenti di nessun tipo.
Come ha spiegato l’amministratore delegato Pier Silvio Berlusconi in occasione di una conferenza stampa convocata dopo il cda che assunse la decisione sul riassetto organizzativo e societario, “la scelta dell’Olanda è puramente tecnica, le attività operative di Mediaset e della controllata Mediaset Espana resteranno dove sono oggi, rispettivamente in Italia e in Spagna; identico discorso per la produzione e l’occupazione”. Anche le tasse continueranno a essere pagate in Italia e in Spagna. E allora quali sono le ragioni di questa riorganizzazione? I motivi principali sono tre.
Punto primo: aumentare l’integrazione e l’efficienza del gruppo. Oggi Mediaset controlla con poco più del 50% Mediaset Espana, emittente generalista leader in Spagna. Entrambe le aziende sono quotate in Borsa, una Milano, l’altra a Madrid, e questo, come ribadito dagli stessi vertici aziendali, genera delle complessità burocratico-amministrative che rendono difficile lo sviluppo di attività congiunte fra le due aziende.
Nella nuova MediaforEurope confluiranno sia Mediaset sia Mediaset Espana. Tecnicamente l’operazione si svilupperà con la fusione inversa delle due società attualmente esistenti in una società olandese di nuova costituzione, che si chiamerà appunto Mediaforeurope, e sarà quotata sia a Milano che a Madrid. La riunificazione delle due Mediaset permetterà la valorizzazione di sinergie (soprattutto tagli di costi) stimate in 100-110 milioni di euro all’anno entro il 2023.
Secondo motivo: con l’arrocco olandese, si rafforzerebbe la presa della famiglia Berlusconi. La scelta tecnica dell’Olanda, infatti, ha un unico beneficiario, ovvero la Fininvest della famiglia Berlusconi, che oggi è il primo azionista di Mediaset con il 44,1%, ma è tallonata dalla francese Vivendi che ha comprato in modo ostile il28,8% del capitale.
Nel bel mezzo di una “cruenta” battaglia legale, a Vivendi è stato imposto dall’Agcom di sterilizzare il 19,2% (conferito al veicolo Simon Fiduciaria), per cui può votare in assemblea solo con il 9,6% del capitale posseduto direttamente. L’opportunità offerta dal diritto olandese si chiama SVS, ovvero Special Voting Shares. Vuole dire che le azioni in assemblea non avranno tutte lo stesso peso, ma avranno diritti di voto diversi, privilegiando gli azionisti con maggiore “anzianità” aziendale. Adottando questa formula, Fininvest tornerà sopra il 50%.
Terzo e ultimo punto: il futuro delle alleanze europee. Come detto dall’ad Pier Silvio Berlusconi al momento della presentazione del riassetto, “questo progetto è una sfida industriale per creare valore, un progetto che auspichiamo potrà, in futuro, allargarsi ad altri gruppi televisivi alleati”.
Da tempo ha in corso colloqui per creare un’alleanza fra tv generaliste europee, per coordinare le mosse utili ad arginare l’avanzata dei colossi dello streaming, Netflix e Amazon Plus, che sottraggono audience, e in definitiva ricavi pubblicitari. Al momento, però, l’alleanza non si è costituita. Mediaset ha recentemente comprato il 9,6% della tv tedesca ProSiebenSat, senza però suggellare accordi operativi o commerciali. Il primo passo di MediaforEurope sarà la creazione di una piattaforma comune fra Mediaset Italia e Mediaset Espana per le attività su Internet, una piattaforma che realizzi la profilazione degli utenti, la raccolta dei dati e la loro valorizzazione commerciale. “Speriamo che una volta creata questa piattaforma, e resi evidenti i vantaggi di agire insieme in questo campo, altre tv alleate si aggreghino”, è l’auspicio dell’amministratore delegato. (agi)