ROMA – Ad Ostia, il quartiere di Roma che affaccia sul mare, era attivo un clan mafioso, quello degli Spada. Lo ha definitivamente sancito la Cassazione nella sentenza pronunciata ieri nell’ambito del maxiprocesso a 17 tra capi e affiliati del gruppo criminale. I giudici hanno sostanzialmente accolto le richieste del procuratore generale e hanno disposto un nuovo processo d’appello per il duplice omicidio del 22 novembre del 2011 quando furono uccisi, nel centro di Ostia, Giovanni Galleoni detto “Baficchio” e Francesco Antonini detto “Sorcanera”, due esponenti di un clan rivale.
Nel nuovo processo dovranno comparire come imputati Roberto Spada, già raggiunto da una condanna definitiva per la testata inferta, il 7 novembre 2017 a Ostia, al giornalista Daniele Piervincenzi, del programma di Rai 2 “Nemo – Nessuno escluso”, Ottavio Spada (detto Marco) e Carmine Spada. Per questa vicenda i primi due imputati erano stati condanni all’ergastolo nel primo processo d’appello, mentre Carmine era stato assolto da questo capo di imputazione e aveva visto ridursi la pena a 17 anni di carcere. Per il resto i giudici di piazza Cavour hanno rigettato i ricorsi degli altri imputati, ritenuti inammissibili.
Al vaglio della Suprema corte ha, quindi, resistito l’impianto accusatorio della Procura capitolina. Nel processo d’Appello i giudici, riconoscendo l’associazione a delinquere di stampo mafioso, avevano inflitto condanne per complessivi 147 anni di carcere e assolto 7 imputati. I reati contestati comprendevano, a seconda delle posizioni, anche l’estorsione nonché la fittizia intestazione di beni e attività.
In particolare, nel gennaio dello scorso anno i giudici di secondo grado hanno inflitto 16 anni a Ottavio Spada, detto Maciste, 9 anni Nando De Silvio, detto Focanera e 8 anni a Ruben Alvez del Puerto, coinvolto anche lui nell’aggressione al giornalista. Assolti, invece, Armando Spada, Enrico Spada, Roberto Spada detto Ziba omonimo del condannato all’ergastolo, Francesco De Silvio, Sami Serour, Stefano De Dominicis e Roberto Sassi.
Il maxiprocesso è legato agli arresti avvenuti il 25 gennaio del 2018. Per gli inquirenti il gruppo criminale si era, di fatto, “impossessato” di un pezzo di città. Un clan che, secondo l’accusa, ha messo in atto una vera e propria aggressione al territorio: «una associazione a delinquere – scriveva il gip nell’ordinanza di custodia cautelare – che ha provocato un profondo degrado» nella zona di Ostia «consentendo il dilagare di reati gravissimi e lesivi dei beni primari». Una mafiosità che poggia la «sua potenza sull’organizzazione a base familistica e sulla ripartizione delle competenze». Agli arresti si arrivò anche grazie al contributo di quattro collaboratori di giustizia.
«La sentenza – commenta l’avvocato Giulio Vasaturo, dell’associazione Libera che si è costituita parte civile nel giudizio – riconosce in via definitiva lo scenario mafioso che ha a lungo condizionato la realtà di Ostia. Questa pronuncia consegna alla storia una verità processuale ora intangibile che vale a smentire quanti hanno sin qui minimizzato la presenza e la pervasività delle mafie nella città di Roma».
Dal canto suo il deputato M5S, Francesco D’Uva afferma che il «Movimento con Virginia Raggi sindaco ha profuso massimo impegno contro la criminalità nella Capitale. La legalità è e sarà sempre la nostra priorità». (ansa)
Marco Maffettone