ROMA – «È stata un’esperienza durissima, che spero di non rivivere mai più. Sono contento di essere qui con voi. Grazie a tutti quelli che si sono impegnati per me». Barba lunga, sguardo stanco, visibilmente emozionato, il fotoreporter torinese Mauro Donato è tornato ieri in Italia dopo 21 giorni di prigione in Serbia e oggi era a Roma, nella sede della Fnsi, per raccontare almeno una parte della sua storia.
«Possiamo dire poco perché sono ancora in corso le indagini. Possiamo dire che Mauro è libero, anche se non c’è stata assoluzione, perché sono venute meno le ragioni della custodia cautelare», ha precisato la legale della famiglia, Alessandra Ballerini, che ha poi ricordato la vicenda del connazionale Denis Cavatassi, in carcere in Thailandia, sul quale pesa una condanna a morte.
«Eravamo lì per documentare quello che accade lungo la “rotta balcanica”», ha raccontato Andrea Vignali, il collega che con Mauro era partito da Torino alla volta dei Balcani.
«Il parlamento serbo – ha spiegato Vignali – sta approvando una legge sull’accoglienza dei migranti che porterà ad istituzionalizzare quanto accade a migliaia di persone che, in fuga da fame e guerra, sono costrette a restare in Serbia anche più di un anno, passando da un campo di accoglienza ad un altro».
Partiti per un reportage nell’ambito del progetto “Exodos”, Mauro e Andrea volevano vederci chiaro su quanto accade in Serbia. «Dopo la chiusura del confine con l’Ungheria era passato il messaggio che la rotta balcanica fosse stata chiusa. Abbiamo scoperto che non è così», ha osservato il fotoreporter durante la conferenza stampa alla quale erano presenti anche il segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, e l’ex senatore Luigi Manconi.
«Siamo noi a ringraziare voi – ha detto il presidente Giulietti – e tutti i giornalisti che come voi amano la libertà e per questo partono per illuminare realtà oscurate. Oggi siamo qui per festeggiare il vostro ritorno, ma anche per ribadire che saremo sempre al fianco di chi si mette in gioco e spesso rischia per svolgere il dovere di informare. Per questo lunedì saremo a Pavia, con la famiglia di Andrea Rocchelli e il 17 aprile saremo al fianco di Luciana Alpi. Ma saremo anche a Napoli, e ovunque sarà necessario, attraverso i nostri legali, attraverso la scorta mediatica e non solo per chi è giornalista».
Il segretario Lorusso si è soffermato sulle difficoltà che troppo spesso affronta chi è chiamato a svolgere il lavoro di giornalista.
«Fnsi e Ifj – ha rilevato Lorusso – osservano con attenzione la Serbia e gli altri Paesi dove fare informazione è sempre più difficile. Penso ai Balcani, ma anche alla Turchia. A quei Paesi che chiedono di entrare in Europa. È essenziale continuare la pressione su governi nazionali e Unione europea perché se un Paese non rispetta la libertà di informazione non può entrare in Europa».
E Luigi Manconi ha ricordato che ci sono «3226 italiani ancora in carcere in tutto il mondo. La stragrande maggioranza o ha subito un processo irregolare, o è in carcere senza processo oppure, pur dopo un equo processo, vive in condizioni detentive che violano gli standard minimi dei diritti fondamentali della persona. Il lavoro dei giornalisti è prezioso per conoscere quello che succede nei centri di detenzione o di accoglienza», ha osservato ancora Manconi, che poi si è detto «felice di sottolineare che ambasciata e ministero degli Esteri hanno avuto in questa vicenda un ruolo utilissimo».
Il segretario dell’Associazione Stampa Subalpina, Stefano Tallia, ha infine evidenziato che «ci sono altri giornalisti che lavorano allo stesso progetto per il quale sono partiti Mauro e Andrea. La solidarietà a Mauro – ha osservato – aiuta anche i colleghi, spesso freelance, a proseguire questo lavoro».
Incalzato dalle domande dei colleghi, Mauro Donato si è poi soffermato sulla prigionia. «Ero in una cella grande quattro passi per cinque. Un bagno di due passi e mezzo. Due letti a castello. La luce si accendeva alle 6 e si spegneva alle 10. Passavamo 22 ore in camera, con appena un’ora e mezzo d’aria in cui passeggiavamo in tondo. Non sapevo cosa stesse succedendo fuori, non sapevo perché mi trovassi lì. Mi hanno fatto firmare dei verbali scritti in cirillico», ha ricordato.
«Tornerai li?», gli è stato chiesto. «L’ambasciatore ci ha chiesto di esporre il lavoro in ambasciata. Quindi sì: tornerò, ma solo “francobollato a lui”», ha scherzato Donato mostrando un sorriso finalmente rilassato.
Il giornalista a Roma: “Io e Andrea Vignali volevamo vederci chiaro sulla Serbia”