PALERMO – Rapito davanti casa sotto gli occhi della figlia. Era il 16 settembre 1970. Cinquant’anni dopo resta senza verità il caso di Mauro De Mauro. Il mistero sopravvive soprattutto per i depistaggi che hanno oscurato, sottratto e manipolato tante tracce sul sequestro del giornalista de L’Ora. Lo hanno scritto anche i giudici della corte d’assise di Palermo nella sentenza che nel giugno 2011 ha mandato assolto Totò Riina, unico sopravvissuto (allora) del gruppo egemone mafioso che avrebbe organizzato il rapimento: «La verità – denunciano i giudici – è stata massacrata da un massiccio e mirato depistaggio».
A far fuori il giornalista non sarebbe stata solo la mafia. Il disegno sarebbe nato in uno scenario dominato dalla collusione tra Cosa nostra e altre “entità”: servizi segreti, apparati investigativi, mondo della finanza, massoneria deviata, “ambienti romani”.
“Una vergogna”, l’ha definita Franca De Mauro, che sperava dopo tanti anni di trovare una risposta ai misteri addensati sulle ragioni della scomparsa. Tante piste, alcune fumose e altre inventate, sono state ipotizzate mentre sulla scena del delitto irrompevano strani personaggi.
Il più pittoresco era il ragioniere Nino Buttafuoco, navigato consulente tributario della Palermo bene, che poche ore dopo il sequestro si era presentato alla famiglia per portare “conforto” e “buone notizie” mentre cercava di sapere dove era finita una busta nella quale De Mauro avrebbe conservato scottanti segreti societari di gruppi di potere e di interesse.
La polizia con Boris Giuliano e Bruno Contrada seguiva una pista, avvalorata dalla famiglia, che conduceva alla morte di Enrico Mattei. Una bomba aveva fatto esplodere in volo il 27 ottobre 1962 nel cielo di Bascapé, nel Pavese, l’aereo del presidente dell’Eni che con le sue politiche petrolifere si era scontrato con le “Sette sorelle” ed era entrato nel mirino di servizi segreti internazionali e di gruppi terroristici.
La bomba era stata piazzata prima che l’aereo decollasse dall’aeroporto di Catania. Era opera della mafia in combutta con altri soggetti. De Mauro se n’era occupato ripercorrendo l’ultimo giorno di Mattei in Sicilia prima per il suo giornale poi per la sceneggiatura del film di Francesco Rosi.
Negli ultimi giorni, hanno ricordato i familiari, «ascoltava e riascoltava in continuazione» un nastro che aveva trovato durante la sua ricerca. La pista Mattei era stata però abbandonata. Così era stato deciso in una riunione tra investigatori promossa dai servizi segreti a villa Boscogrande: lo aveva confidato Boris Giuliano, poi ucciso dalla mafia, al pm Ugo Saito.
Altre operazioni di depistaggio furono affidate dai servizi a uomini di “copertura”, tra cui avvocati e giornalisti.
I carabinieri sostenevano un’altra tesi: il giornalista sarebbe stato eliminato perché si sarebbe occupato del traffico della droga. Ma oltre questa enunciazione le indagini non si erano spinte.
Ben più battuta fino all’ultimo una terza pista considerata “convergente”, quella del tentato golpe Borghese del dicembre 1970 nel quale si sarebbe saldata un’alleanza tra l’eversione nera e la mafia. De Mauro ne sarebbe venuto a conoscenza grazie alle confidenze di neofascisti con i quali aveva mantenuto legami sin dalla militanza giovanile nella X Mas di Junio Valerio Borghese.
Malgrado le dichiarazioni di alcuni pentiti di mafia (lo stesso Luciano Liggio aveva parlato del contatto), non si è trovato riscontro all’ipotesi che De Mauro ne fosse informato.
L’inchiesta e il processo non sono così riusciti a capire quale fosse la scoperta che “avrebbe fatto tremare l’Italia” di cui il giornalista aveva parlato con un’amica e con un collega. (ansa)