TORINO – Un libro e un ricordo per i 264 giornalisti morti sul fronte della prima guerra mondiale. L’iniziativa è della Fondazione Murialdi, che ha curato la pubblicazione “Martiri di carta” (editore Gaspari di Udine, 29 euro), presentata al Salone internazionale del libro di Torino.
Gli autori, il giornalista Pierluigi Roesler Franz e il professore dell’Università “La Sapienza” di Roma, Enrico Serventi Longhi, sono stati affiancati dal segretario generale della Fondazione Murialdi, Giancarlo Tartaglia, e da Mauro Forno, docente all’Università di Torino e collaboratore del Centro Pestelli per le ricerche sul mondo dell’informazione.
Presenti i vertici della categoria: Daniele Cerrato, presidente della Casagit, a fare gli onori di casa in qualità di presidente di turno della Fondazione Murialdi, Marina Macelloni, presidente dell’Inpgi, Alberto Sinigaglia, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Piemonte, e Stefano Tallia, segretario dell’Associazione della Stampa Subalpina.
Il volume, 448 pagine, è il frutto di 7 anni di faticose indagini per archivi e fondi letterari. Certo, si tratta di un’assoluta novità nel panorama giornalistico e storico perché di quei 264 morti non si sapeva nulla.
“Questa pagine – è il commento di Franz – strappano dal silenzio le biografie di queste persone e le restituiscono alla memoria collettiva”. “Sono persone che rappresentano tutte le regioni, – sottolinea l’autore – che hanno vestito la divisa dal grado di soldato a quello di colonnello e che hanno militato in tutte le armi: soprattutto l’esercito, ma anche l’aviazione. E c’è anche un marinaio”.
In quel pantheon di eroismo alcuni rappresentano autentiche scoperte. Carlo Gallardi di Vercelli, per esempio, il cui nome ha indicato anche un tipo di pianta di riso che adesso, non si sa perché, non viene più coltivata. “Sarebbe il caso – propone Franz – di tentare di comprenderne il perché ed eventualmente riproporne la semina”.
Un altro, Gaetano Perusini, medico che è stato ucciso mentre faceva scudo col proprio corpo a un soldato ferito in barella, avrebbe studiato le malattie dell’invecchiamento al punto che le patologie indicate come Alzheimer dovrebbero più compiutamente riferirsi a Perusini-Alzheimer.
“Il primo giornalista caduto, Mario Corviseri di Castelmadama (Roma) era partito dai Castelli Romani assieme ad altri sei amici repubblicani garibaldini e dopo duemila chilometri era arrivato in Serbia per collaborare a combattere gli austriaci. Cadde a Babina Glava il 20 agosto 1914 – due mesi dopo l’attentato di Sarajevo – quando la guerra, per l’Italia, non era ancora scoppiata. Con lui morirono quattro suoi amici: Cesare Colizza di Marino, Nicola Goretti di Sutri, il siciliano Vincenzo Bucca di Castellammare del Golfo (segretario nazionale dei giovani repubblicani) e Francesco Conforti di Salerno. Si salvarono solo Ugo Colizza e Arturo Reali, entrambi di Marino.
I cinque garibaldini morti in combattimento furono poi considerati eroi nazionali serbi ed insigniti della medaglia d’oro serba al valor militare.
Il secondo giornalista caduto, Lamberto Duranti, marchigiano di Tavernelle, morì, invece, il 5 gennaio 1915, cioé quattro mesi prima della dichiarazione di guerra italiana all’Austria. Era partito volontario per arruolarsi nei reparti garibaldini destinati ad affiancare i francesi nelle Argonne contro le truppe tedesche. Il governo francese gli accordò poi la Croce di guerra alla memoria”.
Il giornalismo ha attraversato per intero il conflitto mondiale. Non solo morti, dunque, ma una quantità di episodi che varrebbe la pena sottolineare.
Giancarlo Tartaglia, direttore della Fnsi e segretario generale della Fondazione Murialdi, nota come i giornali siano stati i veri costruttori di un clima favorevole al conflitto mondiale. La stampa quotidiana ha spinto l’Italia al fronte seguendone poi le vicende man mano che andavano sviluppandosi.
“Però – rileva Tartaglia – le cronache che venivano stampate sui fogli che andavano in edicola erano solo apparenti. Lo testimoniano le corrispondenze private degli inviati al fronte che, con il loro direttore, privatamente ammettevano che le cose non andavano proprio così”.
Negli anni della guerra si doveva individuare il nuovo presidente della Federazione della Stampa. Tartaglia, custode della memoria della categoria, ha riferito che “i giornalisti, quale successore di Salvatore Barzilai, avevano scelto Leonida Bissolati, ma l’interessato rinunciò all’incarico perché intendeva partire per il fronte e arruolarsi come volontario”. Altre epoche, altri uomini, veri eroi. (giornalistitalia.it)