ROMA – “Mi auguro che il Vesuvio si riprenda le case che i napoletani hanno messo là”. Sta facendo molto discutere la frase della giornalista del Corriere della Sera Maria Teresa Meli, pronunciata alla trasmissione mattutina “Agorà” di mercoledì 18 maggio. Il commento era passato quasi inosservato, perché detto ancor prima che la giornalista fosse inquadrata e presentata. Ma l’account ufficiale della trasmissione lo ha pubblicato su Twitter, scatenando l’ira dei napoletani.
Ad Agorà si stava discutendo di abusivismo edilizio. Veniva trasmesso un servizio su un borgo abusivo costruito sul litorale di Castel Volturno a Caserta. A quel punto, col filmato ancora in onda, la Meli commenta: “Quelle case fanno orrore perché sono state costruite là”. Poi continua: “Mi auguro che il Vesuvio si riprenda le case che i napoletani hanno messo là”. (Adnkronos)
Meli: «La vendetta del Vesuvio? Solo un’iperbole paradossale»
Ebbene sì, lo ammetto. Non sto su Twitter e non leggo un sito che mi pare si chiami Dagospia, quindi ho saputo solo in ritardo, da alcuni amici che mi hanno chiamato preoccupati, che la mia partecipazione dell’altro ieri, ad Agorà, la trasmissione mattutina di Rai3, aveva provocato scandalo e polemica sui «social».
In sintesi, sono stata accusata di augurarmi che il Vesuvio seppellisca i napoletani, e, di conseguenza, sono stata bollata di razzismo. Partiamo dal secondo addebito che mi viene fatto: sono la prima di tutta la mia schiatta, sia da parte di madre che di padre, a essere nata nel «continente». La Sicilia è la mia terra per ragioni culturali, sentimentali, oltre che familiari. Perciò l’accusa di razzismo, che pure mi è stata rivolta, non mi fa sorridere, mi fa ridere. A crepapelle.
E ora veniamo alla storia del Vesuvio, visto che sono stata trattata come quei tifosi romanisti che non perdono occasione, in ogni stadio e in ogni luogo, per rovesciare insulti osceni sui napoletani.
Non lo nego. Ho detto, cito a memoria, che mi auguro che il Vesuvio si porti via le villette costruite abusivamente. Ovviamente era un’iperbole paradossale. Si stava parlando dello scempio del territorio che è stato fatto in questo Paese, con la complicità della politica e delle diverse amministrazioni locali. L’esempio di cui stavamo discutendo era quello di Castel Volturno, dove il mare ha distrutto le villette costruite sulla spiaggia in spregio a ogni regola. Villette, in molti casi, condonate perché in Italia, è noto, un condono edilizio non si nega mai a nessuno.
Ciò che intendevo dire è semplice, ma, come spesso accade nei talk show, non ho avuto modo di spiegarmi. Io penso, e questo lo confermo e non lo rinnegherei per niente al mondo, che chi costruisce sulle pendici di un vulcano in attività sa perfettamente che rischio corre.
E, dunque, oltre a fare un danno alla comunità lo fa a se stesso e alla sua famiglia. Definire questo razzismo significa essere in mala fede. O, peggio, vuol dire che si accetta il fatto che nel nostro Paese le regole, quando esistono, possono essere violate a piacimento. E il nostro territorio può essere stuprato senza conseguenza alcuna. Ma non è così. Sappiamo tutti che i fiumi esondano e i terreni cedono anche perché noi italiani abbiamo costruito in maniera selvaggia. E questo accade soprattutto al Sud (e la “mia” Sicilia, purtroppo, non è seconda a nessuno in questo campo) perché la classe dirigente meridionale (e per tale intendo non solo quella politica) il più delle volte non è all’altezza delle bellezze che la natura, prima di essere mortificata e umiliata, ci ha offerto. (Corriere del Mezzogiorno)
Maria Teresa Meli