COSENZA – Tutte le donne vittime di violenza sono state offese nella loro dignità, tutta la gente perbene si sente offesa di fronte a fatti che sarebbe un eufemismo definire brutali.
Ma per noi giornalisti calabresi e per i tanti altri addetti all’informazione che con lei hanno lavorato non può non esserci il ricordo di una validissima collega, Maria Rosaria Sessa, uccisa la sera del 9 dicembre 2002 sulla S.S.107 che collega Paola a Cosenza.
E lo facciamo spesso, transitando su quell’arteria, come confermava qualche giorno addietro Paolo Palma, ricordandola al di là delle ormai consuete “celebrazioni” della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, che ricorre il 25 novembre.
Rammentare la tragica fine di Maria Rosaria mi turba, ci turba, mi angoscia, ci angoscia. Preferisco, preferiamo ricordarla com’era, solare e attiva, innamorata del proprio mestiere, affabile e sorridente, competente ma molto umile.
Sappiamo bene che non bastano le panchine rosse (quella nella foto è a lei dedicata, in Corso Mazzini a Cosenza) e le scarpe rosse, simboli di questa “lotta”, abbiamo bisogno, la nostra società (e non solo quella del nostro Paese) ha bisogno di concrete e precise norme e sanzioni, una volta per tutte, risultando inefficaci quelle sin qui adottate.
Si può e si deve essere garantisti, ma è tempo di non tentennare oltre e pretendere leggi che diano davvero dignità alla figura e al ruolo della donna nella società e che contemplino inequivocabilmente la certezza della pena.
Le prevaricazioni e la violenza non ci appartengono. (letteriolicordari/giornalistitalia.it)