ROMA – “Manuale di deontologia del giornalista” (Centro di Documentazione Giornalistica, Roma; pagine 344, euro 33,25) è il quarto volume che Michele Partipilo, editorialista della Gazzetta del Mezzogiorno e già suo direttore nella fase convulsa che ha preceduto la lunga chiusura dello scorso anno, ha dedicato al tema della deontologia giornalistica.
Con una prefazione di Ferruccio De Bortoli, il volume fa il punto non solo sugli obblighi deontologici, notevolmente accresciuti soprattutto nel nuovo secolo, ma più in generale sullo stato di una professione minacciata da una diffusa e deleteria tendenza alla disintermediazione (fenomeno che colpisce pericolosamente anche altre professioni ordinistiche, dai medici agli avvocati ai farmacisti eccetera…); da una esasperata velocità e fretta di “dare la notizia” che comprime fortemente, se non sopprime, la verifica e la riflessione; dall’incombere delle cosiddette “fake news”, le bufale, che ci sono sempre state, ma che con la pervasività del web e la velocità si sono moltiplicate esponenzialmente, e si rivelano sempre più spesso polpette avvelenate…
Mio storico avversario in battaglie ordinistiche pluridecennali che risalgono agli anni ’90, Partipilo, che è stato a lungo presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia, e poi consigliere nazionale, è in ogni caso uno dei maggiori esperti e studiosi della deontologia del giornalismo: l’insieme cioè di norme e precetti etici specifici di una professione, in questo caso quella giornalistica, che vanno al di là degli obblighi di legge. E nel riordino di queste norme è stato attivamente coinvolto (è uno dei riconosciuti padri del Testo unico sulla deontologia varato dal Consiglio nazionale nel 2016).
Questo suo Manuale, che non è soltanto una edizione accresciuta ed aggiornata dei precedenti volumi che ha dedicato all’argomento (alcuni editi nella collana del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti), è particolarmente utile per chi si accosta ad una professione sempre più complessa, per scuole e master di giornalismo, per chi fa parte di organismi della professione (consigli di disciplina dell’Ordine, in primo luogo), ma anche per chi si occupa professionalmente di giornalismo e comunicazione.
Esagerando un po’, De Bortoli, nella sua prefazione, scrive che «la prima regola in assoluto della nostra professione – non contenuta in alcun testo – è quella di riconoscere gli errori che si commettono. Essere onesti con i lettori e con se stessi, altrimenti non si è credibili, affidabili». Ora, l’obbligo di rettifica non è una norma deontologica, è esplicitamente previsto nella pur datata legge sulla stampa (8 febbraio 1948, subito dopo l’entrata in vigore della Costituzione). E la prima regola della professione, prima ancora di riconoscere (e rettificare) gli errori, è quella di documentarsi e di confrontare varie fonti: “semper audiatur et altera pars”, come ricordava Giulio Andreotti, non è una regola che vale solo nei tribunali.
«C’è stato un lungo tempo, assai fortunato per scrittori e inviati in giro per il mondo, nel quale la pausa tra una pubblicazione e l’altra o una comunicazione radiofonica e televisiva e l’altra, consentiva ripensamenti e correzioni. Oggi siamo immersi in un flusso continuo di informazioni digitali, incessante e bulimico, nel quale spesso – ma per fortuna non sempre – la tempestività fa premio sull’accuratezza. Si sbagliava molto allora, si sbaglia ancora di più adesso», nota ancora De Bortoli; che conclude: «L’esistenza di un solido impianto di regole – come il Testo unico dei doveri del giornalista – è garanzia per chi legge, vede e segue, e non è per nulla un limite all’attività. Tutt’altro. È uno sprone a farla meglio».
Quanto all’autore, «quattro anni dopo l’ultimo commentario al Testo unico dei doveri del giornalista, ecco un volume che affronta in maniera complessiva i problemi del lavoro giornalistico: dai rapporti con le fonti alle interviste al mutato scenario professionale. In questi quattro anni sono cambiati il mondo e molte regole della professione, soprattutto abbiamo assistito alla più grande accelerazione della storia, provocata dalla pandemia da Coronavirus, i cui esiti ci sono ancora oscuri. La vita globale e con essa il «mestiere» di giornalista sono stati trasformati dall’emergenza sanitaria. È un processo ancora in piena evoluzione, ma che ha già evidenziato alcuni punti fermi: la rafforzata necessità di media tradizionali fondati su una informazione realizzata da professionisti; l’urgenza di ripristinare e valorizzare le caratteristiche comunicative di ogni strumento; l’indispensabile ruolo della deontologia per separare l’informazione dalle sue falsificazioni. È cresciuto a dismisura il fenomeno delle fake news e si è allargata la lotta per combatterle. Lo stesso capo dello Stato, Sergio Mattarella, è intervenuto più volte per sostenere la battaglia della verità. La violenza di immagini e parole prorompe talvolta dai mezzi di comunicazione nel tentativo di trovare ascolto. Tutti i media urlano per sovrastare le voci degli altri. Compito essenziale della deontologia non è creare gride manzoniane che tranquillizzino la coscienza, ma definire e far rispettare quei parametri che danno senso e sostanza al giornalismo quale strumento di civiltà».
Scherzando, fino a un certo punto, accusavamo Partipilo di essere un talebano, per il suo insistere su una rigida applicazione delle norme deontologiche (troppe, come troppe sono le carte deontologiche e troppo esteso è ancora il Testo Unico, per la revisione ed ulteriore semplificazione del quale il Consiglio nazionale dell’Ordine ha istituito un gruppo di lavoro sulla deontologia, con funzioni consultive, del quale anch’io faccio parte); va anche rilevato, però, che senza fissare precisi paletti, che non possono essere tutti di tipo legislativo, altrimenti l’autonomia professionale svapora, anche la professione muore. E l’ampia casistica, insieme con i riferimenti giurisprudenziali, raccolta da Partipilo nel volume, lo dimostra abbondantemente. (giornalistitalia.it)
Giuseppe Mazzarino