ROMA – Manca in aula il numero legale ed il presidente Pietro Grasso non può far altro che far slittare il via libera alla riforma della Rai. Il voto finale slitta a dopo la legge di stabilità. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo, secondo quanto riferito dal presidente Pietro Grasso. La verifica del numero legale è stata chiesta da Forza Italia, che ha proposto lo slittamento del voto a dopo la pausa natalizia.
La modifica al calendario – come precisato da Grasso – sarà, quindi, messa al voto martedì prossimo alle 9.30. I malumori nella maggioranza sono tangibili in serata, dopo la presa d’atto della capigruppo dell’impossibilità di procedere al voto finale per mancanza del numero legale e della necessità di attendere a questo punto che venga approvata prima la legge di Stabilità.
Volti soddisfatti, invece, nella minoranza, che ha più volte richiesto la verifica delle presenze, ottenendo tre sospensioni della seduta, fino alla zampata finale della Lega Nord che, con il sostegno del Movimento 5 Stelle, ha costretto il Pd ad alzare bandiera bianca. Il premier Matteo Renzi e il sottosegretario Antonello Giacomelli, presente in aula per il governo, devono quindi attendere prima di poter brindare per l’ok alla riforma, che, a undici anni dalla sua approvazione, andrebbe a modificare una delle parti cruciali della legge Gasparri, rivedendo la governance della tv pubblica.
Il via libera senza modifiche ai cinque articoli del ddl, prima del mancato voto finale, è arrivato tra le aspre critiche delle opposizioni, da Lega Nord a Sel, da M5S a Forza Italia, che hanno puntato il dito in primo luogo sui poteri del governo che potrà decidere il nome dell’amministratore delegato con poteri accresciuti rispetto al direttore generale. Un’accusa respinta al mittente da governo e maggioranza, secondo cui le modifiche, dall’introduzione della figura dell’ad, al cda più snello, composto da sette membri e non nove, e al presidente “di garanzia”, sono mirate a rendere più efficiente la gestione aziendale.
“I poteri dell’ad non inficiano in nulla il ruolo del cda. Il governo non nomina, ma indica l’ad. A nominarlo è il cda che ha anche il potere di revoca”, ha detto il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, annunciando che gli interventi del governo non sono finiti qui.
Oltre alle nuove norme sul canone, con il pagamento nella bolletta elettrica, contenute nella legge di Stabilità, si aprirà ora la fase che, passando per una consultazione pubblica, porterà al rinnovo della concessione per il servizio pubblico che scade a maggio prossimo.
Per il capogruppo in Commissione Vigilanza Rai del M5S, Alberto Airola, “Renzi e Zanda perdono colpi e di giovedì pomeriggio non riescono a trattenere in Aula la propria maggioranza, evidentemente già in modalità natalizia, per fargli votare una legge tanto importante per il Presidente del Consiglio come quella di riforma del servizio pubblico radio televisivo”.
Per il senatore della Lega Nord Jonny Crosio “tele Renzi parte male, oscurata dalle defezioni del Pd in aula”. “Dove sono quelli che denunciavano i bavagli e mettevano le pecette gialle? – attacca da Forza Italia Maurizio Gasparri – Ora avremo il leopoldino che potrà fare quello che gli pare. Siamo in un momento di emergenza democratica”.
I punti salienti della riforma della governante Rai
ROMA – L’introduzione della figura dell’amministratore delegato, un Cda più snello non più eletto dalla Vigilanza, il presidente di garanzia. Sono i punti salienti della riforma della governance Rai che dopo il voto alla Camera sono stati confermati oggi al Senato, anche se manca l’approvazione definitiva con il via libera finale che potrebbe esserci martedì prossimo. Quindi senza novità rispetto al testo arrivato dalla Camera.
A Montecitorio erano state introdotte alcune modifiche relative, tra l’altro, alla pubblicazione degli stipendi dei dirigenti oltre 200mila euro (compresi i giornalisti, ma escluse le star della tv) e alla previsione di una consultazione pubblica prima del rinnovo della concessione il prossimo anno. Dall’entrata in vigore della legge l’attuale dg Antonio Campo Dall’Orto acquisirà i poteri previsti dalla riforma per l’ad, mantenendo comunque quelli attuali.
I POTERI DELL’AD
L’ad, secondo quanto previsto dall’art.2, è nominato dal cda (che lo anche revocare) su proposta dell’assemblea dei soci (dunque del Tesoro), resta in carica per tre anni e può essere revocato dallo stesso consiglio. Può nominare i dirigenti, ma per le nomine editoriali deve avere il parere del cda (che, nel caso dei direttori di testata, è vincolante se fornito a maggioranza dei due terzi).
Secondo un emendamento approvato in commissione alla Camera, assume, nomina, promuove e stabilisce la collocazione anche dei giornalisti, su proposta dei direttori di testata e nel rispetto del contratto di lavoro giornalistico; può firmare contratti fino a 10 milioni di euro e ha massima autonomia sulla gestione economica.
Prevista l’incompatibilità con cariche di Governo, anche se ricoperte nei dodici mesi precedenti alla data della nomina; l’ad deve, inoltre, essere nominato tra coloro che non abbiano conflitti di interesse e non cumulino cariche in società concorrenti; all’ad spetta anche l’approvazione del piano per la trasparenza e la comunicazione aziendale, con la pubblicazione degli stipendi dei dirigenti.
PRESIDENTE E CDA
In prima lettura al Senato, con un emendamento di Forza Italia, è stata introdotta la figura del presidente “di garanzia”, che viene nominato dal cda tra i suoi membri, ma deve ottenere il parere favorevole della Commissione di Vigilanza con i due terzi dei voti. I componenti del cda sono sette al posto degli attuali nove: quattro eletti da Camera e Senato, due nominati dal governo e uno designato dall’assemblea dei dipendenti. Previsti precisi requisiti di onorabilità per i consiglieri.
IL SUPERDG
In fase di prima applicazione della legge, al direttore generale sono conferiti i poteri dell’amministratore delegato. Un emendamento dei relatori approvato in Commissione alla Camera specifica che il dg mantiene anche le attuali competenze.
LA DELEGA AL GOVERNO
La riforma prevede una delega per il riordino e la semplificazione dell’assetto normativo. In prima lettura al Senato è stata ridotta la sua ampiezza con la soppressione del riferimento all’evoluzione tecnologica e di mercato.
IL CONTRATTO DI SERVIZIO
L’articolo 1 prolunga a cinque anni la disciplina dei contratti per lo svolgimento del servizio pubblico e potenzia il ruolo del Consiglio dei ministri, che delibera indirizzi prima di ciascun rinnovo del contratto nazionale. Alla Camera è stata introdotta una norma con la previsione di una consultazione pubblica in vista del rinnovo della concessione del prossimo anno.
LE NORME SUGLI APPALTI
L’articolo 3 detta norme sulla responsabilità dei componenti del cda e prevede la deroga, rispetto all’applicazione del codice dei contratti pubblici, per i contratti aventi per oggetto l’acquisto e lo sviluppo di programmi radiotelevisivi. Alla Camera è stato ridotto l’ambito di applicazione della deroga. (Ansa)
Michele Cassano