ROMA – Sono passati più di 70 giorni dalla sospensione delle pubblicazioni del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, dopo 90 anni di storia, di informazione politica e di militanza. Nonostante le ripetute rassicurazioni da parte di autorevoli esponenti del Pd sull’impegno del partito a far rinascere il quotidiano al più presto e più forte di prima, dalla chiusura della festa dell’Unità di Bologna è seguito un silenzio assordante sulla testata.
Intanto 80 dipendenti rischiano il depauperamento professionale e le loro famiglie sono piombate nella precarietà economica, in un momento di grave crisi del settore dell’editoria. Nel più grande partito del centrosinistra non si può accettare con indifferenza un dato come questo, proprio mentre si parla di lavoro, di opportunità di impiego, di tutele. E non si può accettare nemmeno che in presenza di importanti ipotesi di investimento si dilazionino i tempi, prolungando le sofferenze dei lavoratori e il danno culturale provocato dall’assenza di una voce importante nel dibattito politico.
Sappiamo tutti che la responsabilità della chiusura ricade in primo luogo sugli azionisti principali della società editrice. Da Renato Soru, che ha abbandonato la “nave” senza un vero piano di rilancio, a Matteo Fago, che ha lasciato i suoi dipendenti senza stipendio per diverse mensilità prima della chiusura. Un fatto inaccettabile per qualsiasi editore, tanto più per chi si ispira ai valori della sinistra. Per non dimenticare Maurizio Mian, che ha innescato una crisi permanente devastante pretendendo il rientro di un prestito effettuato solo pochi mesi prima.
Non va dimenticata l’azione irresponsabile del management della società, che ha preferito “galleggiare” fino all’ultimo senza adottare misure strutturali, scaricando poi tutti i costi sui lavoratori. Per non parlare di chi non ha voluto lavorare costruttivamente a una soluzione – anche ponte – che evitasse la sospensione delle pubblicazioni: un’ipotesi possibile esistendo diverse manifestazioni d’interesse.
Qualsiasi mediazione è fallita per le troppe rigidità (da più parti), che hanno prodotto una cieca volontà distruttrice di azzeramento dell’esistente.
Fin qui il passato. Sul futuro del giornale sta al Pd rispondere agli impegni assunti in diverse occasioni pubbliche. Sappiamo che esiste un piano solido dal punto di vista finanziario che potrebbe riportare l’Unità in edicola e i suoi giornalisti al lavoro in tempi brevi.
Quello che manca ancora è l’ok definitivo del partito, che non arriva nonostante il fatto che un’intesa sia a portata di mano. Il via libera da parte del vertice dei Democratici è un passo ineludibile per un giornale come il nostro, storicamente legato a una formazione politica.
La redazione ha sempre considerato importante e positivo il legame con la vita del partito, pur nella rispettiva autonomia, elemento fondante di qualsiasi attività di informazione giornalistica.
Senza la “bussola” di un partito, senza una relazione dialettica tra giornale e mondo dell’impegno politico, è difficile che la comunità de l’Unità resti viva. Lo vediamo in queste settimane di “vuoto”.
Senza un progetto, senza una mission, si sfilacciano anche i rapporti interni alla redazione e tra essa e la comunità dei lettori, dei sostenitori, del mondo della cultura e del sindacato che da sempre ha rappresentato la linfa del nostro giornale.
Se non si sa cosa sarà l’Unità del futuro, è difficile mantenere vivo il sostegno dei suoi lettori/sostenitori e mantenere coesa la redazione. Si vuole azzerare anche questo?
La cappa di silenzio sta uccidendo il valore primario del giornale: la sua capacità di essere soggetto attivo nel panorama dell’informazione politica. Se questo stato di cose dovesse durare a lungo, le conseguenze sarebbero fatali. Non vorremmo che qualcuno stesse giocando al tanto peggio, tanto meglio: significherebbe assumersi una grave responsabilità politica, sociale, storica.
Per questo chiediamo di fare presto: un patrimonio culturale non può finire nell’indifferenza del silenzio. Le proposte ci sono, con importanti impegni finanziari, a conferma che il giornale ha ancora una sua forza di mercato e un suo ruolo irripetibile nella cultura del nostro Paese.
Il Cdr