NOVARA – Novara ricorda il giornalista Luigi Camoletti: un protagonista della storia d’inizio Ottocento, voce di una Novara che, all’epoca, faceva ancora parte del Regno di Sardegna governato da Carlo Alberto. Una decina di chilometri a est iniziava il territorio del Lombardo-Veneto, controllato dall’Austria.
Cominciò immaginando di farsi prete. Entrò in seminario e, dopo qualche anno, diventò suddiacono, ma – evidentemente successe qualcosa di grave – lo cacciarono dal seminario. A distanza di tempo, rivendicò l’episodio come una specie di liberazione dal “serraglio pretesto”.
Un lavoro occorreva pur farlo. Rispolverò gli studi in chimica e aprì una farmacia. Ma la sua vera passione era la letteratura che declinò con il giornalismo e i copioni teatrali.
Luigi Camoletti si trovò strettamente legato al settimanale “L’Iride” che comparve in edicola il 1 maggio 1837. Giornale formato protocollo: quattro pagine declinate su tre colonne ciascuna. L’editoriale di presentazione fu scritto da Angelo Brofferio. Il direttore era l’avvocato Francioni. Il settimanale riscosse un grande successo. Il gradimento dei lettori consentì di aumentare costantemente le copie in vendita. Il successo va proporzionato a quel tempo quando a leggere i giornali era un’infima minoranza della media borghesia che non aveva necessità di lavorare per guadagnarsi il pranzo e la cena.
Nel 1848 due grossi cambiamenti. Il giornale volle radicarsi maggiormente in città e aggiustò la testata presentandosi con: “Novella Iride Novarese”. Luigi Camoletti assunse la direzione. La crescita di tiratura consigliò di ampliare il numero dei collaboratori. Figure di spicco come Cesare Cantù e Nicolò Tommaseo e, tra le penne novaresi, il poeta Giuseppe Regaldi e il giurista Giacomo Giovanetti e lo storico Antonio Bianchini. Camoletti lasciò la direzione del settimanale “L’Iride” per avventurarsi (sempre come direttore) nel nuovo progetto di un giornale satirico: “Il birichino novarese”.
Il primo numero uscì il 7 novembre 1857, prendendo di mira la Novara “codina” e definendo Torino “la Mecca”. Ogni numero usciva con un’illustrazione firmata da Casemiro Teja, un personaggio famoso per le sue caricature che furono pubblicate su un altro giornale satirico: il “Pasquino di Torino”. Tempi di rivolgimenti storici con il Piemonte che si stava preparando a diventare Italia. Comoletti raccontò l’esultanza popolare per la concessione dello Statuto (10 febbraio 1848) in un teatro addobbato a festa e illuminato a giorno e con scritte inneggianti a Carlo Alberto.
Era un progressista persino incline ad azioni forti per ottenere risultati politici e sociali significativi. Senza giri di parole si dimostrò soddisfatto per la creazione, a Novara, di un “Circolo democratico”. E fu altrettanto favorevole alla nascita della “Società Operaia” perché “animata dal sentimento di fratellanza fra le classi”. Fra la sua produzione ebbe successo (persino superiore a quella di giornalista) la sua attività come commediografo.
I suoi lavori trovarono ospitalità nei teatri piemontesi, ma anche a Milano (che allora era estero) e, ogni volta, furono accompagnati da applausi convinti. Un canovaccio ironico il suo ispirato alla commedia brillante tipo “un ritrovato per non pagare i debiti”, “il celibe”, “la Satanella saltimbanco” o “l’inaspettata scoperta”. Il successo più convincente venne dalla rappresentazione di “Suor Teresa o Elisabetta Soarez” che si avvalse dell’interpretazione di Antonietta Robotti, allora archistar del palcoscenico, non a caso definita “distintissima attrice”. (giornalistitalia.it)
Riccardo Del Boca