COSENZA – Non capita tutti i giorni che due direttori di testate si fronteggino in tribunale, tanto più che i diretti interessati abbiano entrambi guidato lo stesso giornale, l’Ora della Calabria, il quotidiano calabrese chiuso dopo il cosiddetto “caso Gentile”. Si tratta di Luciano Regolo, sotto la cui direzione si consumò l’Oragate, e del suo predecessore Piero Sansonetti. Il primo ha querelato il secondo per diffamazione e quest’ultimo è stato riconosciuto colpevole dal Tribunale Ordinario di Cosenza.
La vicenda, però, non ha nulla a che vedere con la censura e le pressioni subite dal quotidiano calabrese e dai suoi giornalisti, per la quale è ancora pendente sempre davanti al tribunale cosentino il processo a carico di Umberto De Rose, accusato di tentata violenza privata, per aver impedito l’uscita del giornale simulando un guasto della rotativa, mai avvenuto, poiché Regolo si era rifiutato di togliere un articolo relativo all’apertura di un’inchiesta della magistratura sul figlio del senatore Gentile.
Il dissidio tra Regolo e Sansonetti risale al luglio 2013, quando quest’ultimo, allora direttore della testata “Calabria Ora” (successivamente trasformata ne “l’Ora della Calabria” assieme all’assetto aziendale, ndr), diede il suo visto a un articolo pubblicato su quel quotidiano, nelle pagine del Tirreno cosentino, riguardante l’annullamento delle nozze di Regolo con la moglie e madre dei suoi due figli da parte del Tribunale ecclesiastico regionale. “Un fatto già di per sé inspiegabile” per Regolo, considerato che i due ex coniugi, uno originario di Catanzaro, l’altra di Crotone, erano entrambi residenti a Milano e non c’era, quindi, alcuna ragione affinché la cronache paolane si occupassero del loro matrimonio.
Il testo che rese nota la sentenza di nullità, ancora prima che venisse comunicata agli interessati, era inoltre “carico di inesattezze e piuttosto denigratorio”, ha osservato Regolo, il quale si sosteneva fosse stato favorito per aver devoluto i proventi del suo libro su Natuzza Evolo alla fondazione che ne prosegue l’impegno (ma che non ha alcun legame con la Curia e con le Istituzioni ecclesiastiche).
Regolo, che fin dal momento della separazione si è fatto carico da solo della guida e del mantenimento dei suoi figli, non ha infatti ritenuto giusto passare “come uno dei classici uomini che ricorrono al tribunale ecclesiastico chiedendo l’annullamento solo per eludere i doveri di sostentamento verso moglie e prole”.
Colpito nell’intimo da quel testo firmato con uno pseudonimo, Regolo, dopo aver chiesto invano spiegazioni al collega Sansonetti, ottenne subito dalla testata, a termini di legge, una rettifica da cui risulterà in pieno l’arbitrarietà e l’inesattezza dell’articolo pubblicato.
Risibile specialmente l’illazione che Regolo fosse stato favorito: la causa era durata tre anni e mezzo, a fronte di un tempo medio di 18 mesi, e inoltre l’ex coniuge dopo la sentenza del Ter ha agito in appello al Tribunale della Sacra Rota romana e dal 2013 non è stata ancora emessa la sentenza. Un’odissea interminabile che davvero non sembra avere alcunché di vantaggioso per il giornalista e scrittore catanzarese, che aveva adito il Ter solo per coerenza con i suoi valori religiosi.
Le richieste e le argomentazioni di Regolo, difeso dall’avvocato catanzarese Francesco Rotundo, sono state pienamente accolte dal Tribunale di Cosenza, che ha dichiarato Sansonetti colpevole del reato di diffamazione condannandolo a 800 euro di multa, al pagamento delle spese processuali, al risarcimento del danno in favore della parte civile (da determinarsi) e al pagamento delle spese processuali da questa sostenuta per 1.800 euro.
Curiosamente la giornalista che scrisse l’articolo diffamatorio, invece, per ragioni sulle quali dovrebbero far luce le motivazioni del dispositivo, è stata assolta “per non aver commesso il fatto”.
Ironia della sorte, Regolo, convinto sostenitore della libertà di stampa, questa volta è dovuto ricorrere a una querela per un articolo sul suo conto. Ma, spiega Regolo a Giornalisti Italia, non c’è alcuna contraddizione con il suo impegno per il libero pensiero: «Anzi, esercitare liberamente il diritto di cronaca è possibile soltanto verificando le notizie ed essendo lucidi anche sulle fonti, sul perché diffondono delle “notizie” vere o presunte. Senza questa importante attenzione, fra l’altro imposta dalla nostra deontologia personale, non si è più nel campo della libertà di stampa, ma del libero dileggio. È sempre spiacevole querelare un collega, – sottolinea Regolo – è qualcosa che avrei voluto evitare, ma non ho mai capito, nonostante gli abbia chiesto delle spiegazioni, perché ha permesso di pubblicare quell’articolo, del tutto privo di fondamento e che mi ha ferito moltissimo anche per ragioni di fede. Sansonetti e io ci conoscevamo per esserci incontrati negli studi televisivi, entrambi ospiti di alcune trasmissioni, quindi avrebbe potuto chiedere di verificare, chiamandomi di persona, se quanto era stato riferito alla giornalista fosse vero o no».
«Purtroppo – conclude Regolo – non è infrequente che si dia via libera ai delatori. Ho dovuto querelare anche un altro collega per questo motivo, che usa testate e siti per offendere pesantemente le persone, come ha fatto con me proprio durante l’Oragate». (giornalistitalia.it)
Diffamazione a mezzo stampa: è sempre spiacevole querelare un collega, ma...