ROMA – Che i veneti sognino, e neppure di nascosto, di staccarsi dal resto d’Italia buttando alle ortiche secoli di storia, non è un mistero. «Non volevano l’Italia – non questa perlomeno – e si sono ritrovati sotto il tricolore solo perché un plebiscito-truffa ha deciso che quelle terre dovevano passare sotto il regno dei Savoia. Fu una consultazione falsata da violenze, soprusi, inganni e bugie».
E lui, Lorenzo Del Boca, giornalista (già presidente della Federazione nazionale della stampa e, per tre volte, dell’Ordine nazionale dei giornalisti) e storico senza peli sulla lingua, questo grande inganno che ha portato il Veneto a sentisi «sempre meno parte di uno Stato che chiede troppo (quasi tutto) per restituire poco (quasi niente)», non poteva non raccontarcelo. Specie se consideriamo le “puntate” precedenti del suo Risorgimento illuminato. Iniziato nel 1998 con “Maledetti Savoia”, proseguito con “Indietro Savoia! Storia controcorrente del Risorgimento italiano” nel 2003, “L’Italia bugiarda. Smascherare le menzogne della storia per diventare finalmente un Paese normale” nel 2013 e il recente “Risorgimento disonorato”, solo per citarne alcuni, sino ad arrivare ad oggi: “Venezia tradita”, ultimo – ma solo in virtù dell’ordine cronologico – libro della saga risorgimentale e dintorni firmata da Del Boca. Un libro – appena uscito per i tipi di Utet, 170 pagine, 15 euro; disponibile anche in formato digitale – da leggere, ancora una volta, tutto d’un fiato.
Del resto, mano a mano che le pagine scorrono, sembra di sentire la voce, quella di Lorenzo, che ti spiega senza interrompere nemmeno il respiro come sono andate “davvero” le cose. Perché molti veneti si considerano italiani per sventura o per costrizione, come dimostrano le recenti polemiche sul referendum – giudicato incostituzionale – per l’uscita del Veneto dall’Italia. Da dove nasce il loro desiderio di andarsene. Perché vorrebbero emulare Londra e passare alle cronache con una bella (per loro) “It-exit”.
Lorenzo Del Boca risponde a queste domande partendo dalle origini: dal 1866, anno in cui, a conclusione della terza guerra d’indipendenza, i veneti si sono trovati italiani nonostante la vittoria ottenuta dalla Serenissima contro i Savoia, dopo il plebiscito del 21 e 22 ottobre.
Un evento che si può considerare simbolico della vera storia del Risorgimento, una storia troppo spesso celebrata acriticamente nella prospettiva unitaria filopiemontese e che, invece, come dimostrano i fatti, ha avuto risvolti ben diversi e problematici.
“Venezia tradita” costituisce, da questo punto di vista, un tassello importante per capire perché, a oltre 150 anni dall’Unità, fatta l’Italia non si sono ancora fatti gli italiani.
«Perché l’Unità d’Italia – scrive Del Boca –, il giorno dopo averla ottenuta, già non piaceva più nemmeno a quelli che si erano sforzati di farla». Tantomeno agli “italiani” del nord est, per i quali il plebiscito che stabilì che il Veneto doveva diventare, appunto, Italia, «fu come tracannare una tazza di veleno: da lasciare la gola in fiamme e lo stomaco in subbuglio».
E se il Veneto diventò italiano «più per inerzia che per convinzione», tira dritto lo storico che non dimentica mai il giornalista – basta contare le citazioni dei giornali dell’epoca, da la “Gazzetta del Popolo” a la “Gazzetta di Venezia”, passando per “L’Opinione” e, manco a dirlo, “La Stampa” –, è ancora più vero che «l’intero Risorgimento si è sviluppato sotto la maschera di una finzione che prevedeva di muoversi a favore e con l’approvazione delle popolazioni come se Savoia e compagnia ne fossero assolutamente estranei». Parola di un piemontese che – carta canta – racconta senza infingimenti che a lor signori, Savoia & Co, «non solo non interessava cosa pensava “il popolo”: non sentivano nemmeno l’imbarazzo del muoversi in direzione del tutto contraria rispetto ai bisogni e ai desideri della gente».
La verità, insomma, è un’altra rispetto a quella imparata a memoria e quelli traditi non sono soltanto i veneziani se abbiamo l’onestà di rileggere la storia senza fermarci a medaglie e fanfare. «La storia è un rosario infinito di soprusi e angherie». Meno male che c’è chi ce li racconta. (giornalistitalia.it)
Nicoletta Giorgetti