RENDE (Cosenza) – Non so più quante volte ho ragionato, in questi cinque mesi di lavoro in Calabria, sui silenzi e sulle spudoratezze dei potentati che si permettono ogni sopruso, consci di potere sempre, in un modo o nell’altro, farla franca. Ma questa “liquidazione” della nostra casa editrice, oltre ad aver inanellato una serie di inaudite violazioni delle libertà sindacali, colpito la nostra dignità professionale e personale, e cercato di costringerci con metodi grossolani e grevi al silenzio e alla resa, ha assunto oramai dei contorni paradossali, da novella pirandelliana. O forse ancora più drammatici, direi kafkiani.
La Calabria rende tutto più amaro perché è una terra dove anche dietro le più semplici burocrazie possono innescarsi silenziose regie di chi crede di poter addomesticare ogni cosa al proprio volere, di chi da una vita mostra insaziabile appetito di denaro, una fame così smisurata da poter passare sopra a cose e persone senza alcuna remora.
Riflessioni sociologiche a parte, nel copione del nostro “Così è se vi pare”, il liquidatore, ha ancora una volta bypassato il tavolo di trattativa che si era aperto con la garanzia del prefetto di Cosenza, Gianfranco Tomao. Nell’incontro ufficiale dello scorso 9 maggio, presenti anche il Cdr, il segretario regionale, nonché vicesegretario nazionale della Fnsi, Carlo Parisi, e i rappresentanti di Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, Giuseppe Bilotta, il liquidatore che vorrebbe liquefare le nostre menti, si è impegnato a riattivare il sito (bloccato indebitamente il 18 aprile) “all’inizio della prossima settimana”, ossia dall’11 maggio in poi. Inoltre aveva promesso che avrebbe presentato al Cdr una proposta per la vendita della testata ai giornalisti dell’Ora, a titolo “oneroso”, ossia rinunciando a parte delle spettanze, poiché, ha spiegato, in presenza di tutti i testimoni suddetti, in questo modo si sarebbe sicuramente eluso il rischio che lo stampatore De Rose dall’alto (si fa per dire) del suo milione di euro di credito, opponesse la revocatoria.
Ebbene, trinceratosi dopo l’incontro con il prefetto, nel classico mutismo, di fronte ai solleciti del Cdr, Bilotta li ha convocati spiegando che non poteva né riattivare il sito, poiché la Solutio, la società che lo gestisce, gli avrebbe chiesto di ricevere i pagamenti inevasi (pari a 2500 euro per oltre un intero anno di servizio) prima di riattivarlo, né presentare una proposta per la vendita, perché sarebbe stato inutile visto che De Rose, contrariamente a quanto Bilotta aveva sostenuto davanti al prefetto, avrebbe potuto comunque chiedere la revocatoria.
In più il liquidatore ha prolungato di altri 15 giorni le nostre ferie forzate e per chi non ne ha maturato a sufficienza ha prescritto godimenti di generici “permessi retribuiti” con una e-mail datata 24 aprile, quasi un mese prima dell’inoltro della comunicazione. La volontà di sfinirci e di obbligarci al silenzio è clamorosamente manifesta.
Io stesso ho chiamato il titolare della Solutio e, innanzitutto, mi ha spiegato che aveva chiesto a Bilotta semplicemente di fornirgli le trecento euro necessarie a ripristinare il collegamento con i due server che governavano il sito, staccato su imput dello stesso liquidatore, poi ha accettato subito la mia proposta: avremmo versato noi della redazione questa cifra e lui non avrebbe atteso che l’ok di Bilotta per procedere.
Di tutto ciò è stato informato il liquidatore, ma ha fatto “orecchie” da mercante. Così, lo scorso lunedì, su nostro sollecito, il prefetto aveva fissato un nuovo incontro per oggi, ma ieri Bilotta ha fatto sapere che non potrà essere presente perché preso da altri impegni professionali.
Non si capisce quale impegno lo trattenga da mandare una e-mail, molto meno impegnativa di quelle che ama spedirci, alla Solutio per autorizzarla a riattivare il sito, un ok, una leggera pressione sul tasto dell’invio e sarebbe fatta: 2 minuti al massimo. Ma il fatto è che Bilotta, il liquidatore scelto dalla famiglia Citrigno, contrariamente a quanto aveva sostenuto il 9 maggio, su incoraggiamento persino del rappresentante di Confindustria, non intende affatto ridare vita al sito. Così, come non vuole affatto che noi giornalisti acquistiamo l’Ora.
Perché ora sostiene che De Rose farebbe valere comunque i suoi diritti? Che cosa è cambiato? Nell’ultimo colloquio col Cdr Bilotta ha fatto sapere che, ormai, sarebbe potuto andare soltanto coi libri contabili al tribunale fallimentare poiché non vi era alcuna altra possibilità. Allora perché non l’ha ancora fatto? Che cosa sta aspettando? E soprattutto c’è qualcuno che gli suggerisce queste “sterzate”?
Sappiano eventuali fornitori di queste inaccettabili dritte che nessuno di noi accetterà compromessi con la dignità e con i valori che abbiamo difeso finora, comunque vadano le cose. Se non potremo riavere la nostra testata, se verrà affidata a un giudice fallimentare, o se, al termine di questa farsesca ed estenuante attesa, dovesse malauguratamente finire a qualche mano “artigliata”, di navigata cupidigia, noi ne faremo un’altra. Perché l’Ora, quella che non ha paura dei cinghiali, quella che i Calabresi per bene si aspettano, siamo noi.
I lettori non sono così sprovveduti, basterebbe dare un’occhiata ai messaggi di cui continuano a inondarci via e-mail o sulla nostra pagina Fb per rendersene conto. Non vogliono inganni, vogliono un giornale libero e coraggioso, che se sbaglia lo fa in buona fede e di certo non si presta ai voleri cangianti e collerici di eventuali proprietari che usano l’editoria come accessorio-zerbino per altri interessi. Ma tutto questo chi non ha rispetto alcuno per i diritti e per le persone non lo immagina neppure. E allora le grinfie che vorrebbero soffocarci, resteranno con un pugno di mosche in mano. La mia squadra e io continueremo la nostra lotta, il nostro lavoro senza macigni al collo. (L’Ora siamo noi)
Luciano Regolo