ROMA – In queste settimane sulle reti Mediaset vengono proposte le 5 puntate della fiction “L’Ora – Inchiostro contro piombo”, diretta da Piero Messina e Ciro D’Emilio. Un lavoro importante e interessante sia per il grande pubblico che per chi esercita la professione di giornalista. Avrebbe forse meritato un periodo di programmazione diverso rispetto all’inizio della stagione estiva, quando lo share evidenzia valori ridotti rispetto ad altri periodi.
Ambientato tra la fine degli anni Cinquanta e la prima metà degli anni Sessanta, fotografa la realtà di una testata divenuta sinonimo di coraggio e ricerca della verità ad ogni costo nel denunciare e combattere ciò che nelle convinzioni della società dell’epoca era un fenomeno che non esisteva: la mafia. Verità scomode per la politica e il potere, di qualsiasi rango.
“L’Ora”, invece, ha sbattuto la mafia in prima pagina, con volti e nomi, incurante delle minacce e dei sabotaggi, delle ingerenze portate metodologicamente avanti, ma senza successo. Un gruppo di “giornalisti-giornalisti” consapevoli dei rischi che correvano ma che intendevano fare la loro parte per cambiare il corso delle cose e quel gattopardismo di fondo che non era solo una colorita espressione di Tomasi di Lampedusa, che pescava anche nella disinformazione o nell’informazione di parte.
Giornalisti mirabilmente guidati da Vittorio Nisticò (nella fiction è “Antonio”), calabrese di Cardinale (Catanzaro), che ha diretto per venti anni il giornale tra mille difficoltà, riuscendo a farlo diventare – non solo in Sicilia – icona della lotta alla mafia e cattedrale della legalità. E “L’Ora” ha pagato il suo prezzo, quello più alto, per questa sua “missione”.
Un giornale che non si è mai arreso alle possibili chiusure per carenza di fondi, finanziamenti e vendite, grazie al lavoro di quello che un tempo si definiva un “collettivo” e che operava in armonia tra le gioie e le sconfitte. Un giornale che ha perso tre colonne importanti, tre firme coraggiose e autorevoli.
Cosimo Cristina è stato il primo giornalista ucciso da Cosa Nostra.
Era il corrispondente da Termini Imerese, aveva individuato e posto all’attenzione attraverso la stampa intrecci importanti delle famiglie mafiose, e lì venne ucciso il 5 maggio del 1960, sui binari della ferrovia, per far credere a un suicidio (come avvenne poi, con le stesse modalità, nel ’78 per Peppino Impastato), tesi che venne ufficialmente confermata da una raffazzonata autopsia, secondo alcune fonti, ben sei anni dopo, grazie anche alle pressioni del collega Mario Francese del “Giornale di Sicilia”, ma furono ben pochi a ritenerla veritiera.
Il “caso De Mauro”, nel settembre del 1970, aveva un significato ben preciso: colpire al cuore la redazione del giornale con un rapimento sotto la sua abitazione e con il corpo che non fu mai ritrovato.
Le ipotesi furono di vario genere, dalla scoperta di traffici internazionali legati alla droga ad uno scoop sulla morte di Enrico Mattei, decisa proprio in Sicilia nel 1962, poche ore prima dell’incidente aereo, ma legata forse a ciò che sapeva in anticipo sul tentato golpe Borghese del dicembre successivo alla sua misteriosa scomparsa nel quale pare – secondo alcune fonti –fosse parte attiva Cosa Nostra per il tramite di Tommaso Buscetta. Si ipotizzò anche che Totò Riina, indicato da alcuni collaboratori di giustizia, fosse il mandante di questo delitto, ma le prove furono ritenute non sufficienti. De Mauro, in ogni caso, “sapeva troppo”, e ficcava quel suo pronunciatissimo naso dove non doveva avvicinarsi.
Anche Giovanni Spampinato, come gli altri, “sapeva troppo”. Corrispondente da Ragusa, aveva 25 anni, la stessa età che aveva Cosimo Cristina quando morì, quando venne freddato da un reo confesso sul quale si nutrirono molti dubbi. Stava indagando su cose grosse, sull’attività paramilitare di gruppi eversivi neofascisti tra Ragusa, Catania e Siracusa e sui collegamenti tra questi e la mafia. Era il 27 ottobre del 1972.
Al piombo delle armi “L’Ora” ha sempre risposto con quello che il proto utilizzava per comporre all’epoca le pagine del giornale. Nisticò, scomparso per cause naturali a quasi novanta anni nel 2009, ha rievocato in un suo libro (“Accadeva in Sicilia”, edito da Sellerio nel 2001), al quale in parte si ispira la fiction che ha per protagonista l’attore Claudio Santamaria, quegli anni per molti versi drammatici, ma che hanno contribuito, grazie anche al sacrificio di vite umane, a sdoganare la convinzione dell’inesistenza della mafia e a supportare un insieme di iniziative e di leggi che furono costellate da altro piombo e da altro sangue.
Ma non bisogna dimenticare che altre testate “coraggiose”, sia della carta stampata che della tv e della radio, e altri giornalisti che anelavano alla verità sui fatti di mafia hanno pagato un prezzo molto alto con l’uccisione di Mario Francese, Mauro Rostagno, Pippo Fava, Beppe Alfano e Peppino Impastato. (giornalistitalia.it)
Letterio Licordari