COSENZA – La notizia della confisca dei beni per 100 milioni di euro all’imprenditore Piero Citrigno, già editore di Calabria Ora e padre del nostro ex editore Alfredo Citrigno, merita una serie di riflessioni sui lati più oscuri della liquidazione societaria che stiamo vivendo, lati su cui più volte, finora vanamente, sia Carlo Parisi, segretario regionale e vicesegretario nazionale della Fnsi, sia il Cdr, sia il sottoscritto abbiamo chiesto alle autorità competenti di fare chiarezza.
Innanzitutto, come già da noi segnalato, dall’elenco dei nominativi del collegio difensivo di Citrigno senior, risulta che ne fa parte integrante, come perito commercialista, Giuseppe Bilotta, il nostro ormai “famoso” liquidatore, che ha sospeso le pubblicazioni, oscurato il sito e mandato tutti in ferie forzate (anche chi non le aveva maturate) quando noi altri abbiamo attirato l’attenzione sulla trama per far finire la proprietà della testata nelle mani di Umberto De Rose, l’autore della “telefonata del cinghiale” oggi imputato per violenza privata.
Dello stesso collegio difensivo fa parte anche l’avvocato Ugo Celestino, che – altra coincidenza – si è appalesato anche come legale del liquidatore negli incontri più aspri fra quest’ultimo, Parisi, il Cdr e il sottoscritto. Celestino fra l’altro ha difeso nell’ambito dell’inchiesta “Why not” Adamo, consorte di Enza Bruno Bossio, la deputata che a Reggio Calabria, mentre spiegavo davanti alla Commissione Antimafia la nostra situazione, insisteva che l’Ora della Calabria avesse cessato le pubblicazioni solo per un problema di mancanza di liquidità dei Citrigno dovuta ai sequestri della Dda e non per “De Rose o i Gentile”. Questo nonostante io stessi spiegando lo strano reiterarsi del rapporto, esulante i classici schemi imprenditoriali, tra lo stampatore e Citrigno senior, un rapporto che si trascinava negli anni con tariffe esose, fuori mercato, da un lato, e pagamenti mai eseguiti dall’altro, e un inquietante precedente fallimentare dell’azienda che editava “Calabria Ora” con sempre De Rose nel ruolo di maggiore creditore. Questi, che non aveva mai sollecitato un pagamento, all’indomani dell’Oragate, scrisse una lettera capestro chiedendo tutto subito altrimenti avrebbe provocato il disastro finanziario della nostra società editrice. Poi tutto si tacitò e si aprì l’orizzonte dell’“accorduni”.
È soltanto la magistratura che può fare chiarezza sui risvolti che hanno avuto nel passato e nel presente della nostra testata certi rapporti e certe alleanze fraterne. Fra queste debbono considerarsi anche le numerose intese affaristiche (ve ne sarebbero state nell’edilizia con tanto di prestanomi e nella sanità con scambi reciproci), prima della lite furibonda, tra Citrigno senior e i fratelli Gentile, secondo quanto l’imprenditore stesso lasciò intendere nell’intervista a “Servizio Pubblico” di pochi mesi fa.
Nella versione integrale che ho potuto visionare verso la conclusione della chiacchierata con Ruotolo, Citrigno sembrava mandare un “signale” all’ex amico Tonino Gentile, al quale sostiene di aver costruito la casa senza alcun corrispettivo: «Penso che se lui e io ci guardiamo negli occhi, lui sa!». Nella versione andata in onda è rimasta comunque la frase agghiacciante di Pierino, secondo il quale avere a che fare con i Gentile è più pericoloso che imbattersi con i mafiosi. Che cosa avrà voluto veramente dire tra le righe Citrigno senior? Si rivolgeva veramente al pubblico e alla magistratura o non invece proprio agli ex amici, suoi vicini di casa, nell’ameno colle cosentino?
Mi auguro che la Commissione Antimafia che sta facendo chiarezza sui rapporti tra l’editoria e il sottobosco che spalleggia la criminalità organizzata possa gettare uno squarcio di luce sul’abisso tenebroso che ha inghiottito l’Ora della Calabria. Mi ricordo che durante l’audizione di Reggio, uno dei componenti della Commissione, sottolineava come, a suo avviso, tutta la nostra liquidazione societaria fosse da ritenersi illegittima, poiché attuata senza l’avallo del Commissario che si occupa della Pieffe Holding, gruppo con sede a Cosenza, dedito all’assunzione e gestione di partecipazioni societarie nonché al controllo di altre società, il cui 85 per cento del capitale era stato sottoposto a sequestro e ora è stato confiscato. La Pieffe Holding detiene a sua volta l’80 per cento delle azioni della C&C la nostra società editrice. Tale anomalia è stata segnalata alla magistratura nell’esposto copioso e documentato presentato dal Cdr, ma non c’è stata alcuna conseguenza.
Va detto che nel bilancio 2013 della C&C, tra gli introiti, risultano 100 mila euro, che invece furono stornati da Alfredo Citrigno in un’altra delle società di famiglia. Questi ultimi secondo il racconto del giovane imprenditore non sono tornati al loro posto per il veto del commissario. Ebbene, se così fosse, mi appello alla magistratura perché ora che i beni sono stati confiscati si dia il via libera a questa reintegrazione vincolandola al saldo del credito dei giornalisti e dei collaboratori dell’Ora. Tra questi ultimi vi è addirittura chi non è stato mai pagato, mentre gli assunti non percepiscono alcunché da marzo, il mese prima del blocco punitivo e dell’iinizio dell’occupazione della redazione.
Come ho sempre scritto, a differenza dei difensori e garantisti opportunistici, che non mostrano il minimo pudore, ribadisco che la colpevolezza di Piero Citrigno debba essere acclarata esclusivamente dalla magistratura. Ma non posso fare a meno di constatare – e con i brividi – dall’entità del patrimonio confiscato (100 milioni di euro) – quanto ancora più iniquo sia il trattamento riservato ai lavoratori dell’Ora della Calabria dal nostro ex editore che attingeva le proprie risorse alla stessa fortuna familiare.
Quando arrivai, ignaro del fosco passato di questa testata, e circa due mesi prima del sequestro, Alfredo Citrigno cercò accoratamente di convincere sia me sia il Cdr che fosse indispensabile passare dalla solidarietà al 40 per cento a quella al 60 per cento con nuovi inaccettabili sacrifici per colleghi che già percepivano stipendi esigui (anche al di sotto dei 400 euro mensili) o inquadrati irregolarmente, con innumerevoli situazioni ai confini dell’abusivato.
Ora è auspicabile che questa confisca ponga un freno allo sfruttamento pregresso e ai maltrattamenti subiti da tutta una redazione dall’inizio della liquidazione in poi. Da oltre una settimana Bilotta non risponde alla richiesta del Cdr di ricevere la documentazione sulle entrate realizzate e sulle modalità e i tempi del pagamento delle nostre spettanze.
L’indigenza in cui ci troviamo vorrebbe forse diventare un altro bavaglio, un altro mezzo per tacitare scomode verità. Ma la mia squadra e io non ci arrendiamo. Rinnoviamo la nostra fiducia alla magistratura e chiediamo al Prefetto di Cosenza di riaprire al più presto il tavolo della trattativa per obbligare Bilotta alle risposte dovute.
Luciano Regolo