LOCRI (Reggio Calabria) – Parole forti, in difesa dei giornalisti e, più in generale, dei lavoratori onesti della Calabria e dell’Italia tutta, quelle del segretario generale aggiunto della Federazione nazionale della stampa e segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria, Carlo Parisi, al seminario sulla “Libertà di stampa tra minacce e querele temerarie. Il contributo dei giornalisti italiani nella lotta alle mafie”, organizzato oggi a Locri nell’ambito della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie promossa dall’Associazione Libera di don Luigi Ciotti. Seminario al quale avrebbe dovuto partecipare anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che all’ultimo momento ha annunciato di non poter essere presente perché vittima di una brutta influenza.
Intervento, quello del segretario generale aggiunto del sindacato unitario dei giornalisti italiani, che riportiamo integralmente:
Ci tengo, innanzitutto, a dire che non sarà certo qualche vile scritta sui muri a fermare la voglia di normalità di un popolo che, da tanto, troppo tempo, alla disperata richiesta di lavoro e di riscatto, riceve dallo Stato soltanto silenzi e promesse non mantenute.
Privi di lavoro, un lavoro pulito e dignitoso, i calabresi, oltre a dover subire le angherie dei padrini e dei padroni di turno, devono fare i conti con uno Stato da troppo tempo distante – e tra meno di una settimana ancora più distante per la decisione di Alitalia di abbandonare l’aeroporto di Reggio Calabria – che, come ricordava il compianto generale Gennaro Niglio negli anni Novanta, all’epoca in cui dirigeva il Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, per combattere la criminalità organizzata non ha bisogno – lo Stato – di migliaia di soldati, – pur sempre importanti ed ai quali va il nostro ringraziamento – ma di qualche investigatore in più. Perché è su questa strada, sulla strada della legalità, della giustizia che si giocano la credibilità e l’effettiva volontà di smascherare i responsabili del malaffare.
Ed è solo con il lavoro che si tutela la dignità di una persona, di un padre e di una madre che debbono poter guardare negli occhi i propri figli senza essere costretti a deviare lo sguardo per la vergogna o per la paura. È in queste terre del Sud che i giornalisti, al pari di tante categorie di lavoratori onesti, e con in più la grande responsabilità di puntare i riflettori sul malaffare, diventano facile bersaglio del potere criminale. Giornalisti che, per raccontare semplicemente la verità, hanno dovuto imparare a difendersi sia dall’antiStato che dallo Stato.
Da anni sollecitiamo, infatti, Governo e Parlamento ad intervenire a tutela di una categoria che non chiede privilegi, ma garanzie a salvaguardia della libertà di stampa e del diritto all’informazione dei cittadini.
Se, sul fronte della libertà di stampa, l’Italia è scivolata al 77° posto (su un totale di 180 Paesi) nell’annuale classifica di Reporters sans Frontieres, divenendo, tra l’altro, fanalino di coda dell’Unione europea, è perché continuiamo a registrare un numero incredibile di minacce di ogni genere ai giornalisti: intimidazioni che provengono dalla criminalità organizzata (‘ndrangheta, mafia, camorra, sacra corona unita), certo, ma anche dal potere politico, dai poteri forti, dai singoli cittadini.
E, ancora, per l’uso sconsiderato delle querele temerarie, ovvero a fronte della denuncia a mezzo stampa e quindi di un reato, chi si sente diffamato attiva parallelamente un procedimento civile per risarcimento danni chiedendo spesso cifre stratosferiche. Senza contare che – unici in Europa – nel nostro Paese permane ancora la pena detentiva per i reati a mezzo stampa.
Pena detentiva per la diffamazione a mezzo stampa di cui, da anni, continuiamo a chiedere l’eliminazione. Basta una norma di un solo articolo: basta depennare dall’articolo 13 (pene per la diffamazione) della legge 8 febbraio 1948 n. 47 le parole “si applica la pena della reclusione da 1 a 6 anni”.
Per quanto riguarda, poi, l’esosità dei risarcimenti in sede civile, abbiamo avanzato diverse ipotesi di lavoro:
1) Porre un limite pecuniario alla richiesta di risarcimento.
2) Prevedere – prima di poter adire in giudizio per risarcimento a seguito di diffamazione a mezzo stampa – la richiesta di rettifica che, una volta pubblicata, escluda la possibilità di adire la magistratura per risarcimento.
3) Includere nella legge istitutiva dell’Ordine professionale un Giurì per la lealtà dell’informazione che, in tempi rapidissimi, possa intervenire per rispristinare la correttezza dell’informazione nei casi in cui un cittadino si senta diffamato.
4) Ultima e più recente richiesta è consentire al giudice, che accerti l’infondatezza della querela, di condannare chi ha proposto il giudizio ad un risarcimento proporzionale alla richiesta.
Abbiamo, insomma, presentato un ventaglio di proposte, ma dal Parlamento, dalla politica e dal Governo continuano a mancare le risposte.
I giornalisti non possono più aspettare. Nel Sud in generale e in Calabria in particolare, abbiamo colleghi minacciati sotto scorta, senza contratto di lavoro, mal pagati o non pagati affatto. Non è un problema di equo compenso, ma di corretto adeguamento contrattuale. L’Inpgi, l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani, registra infatti una crescita esponenziale di contratti co.co.co. e di partita Iva. E posso assicurare che lavoratori autonomi o parasubordinati lo sono solo formalmente; in realtà si tratta di rapporti di lavoro dipendente a tutti gli effetti. Quello che accade negli altri settori con i voucher – come ha più volte ricordato il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, – nell’editoria accade con i co.co.co. Si tratta di un vero e proprio sfruttamento.
A differenza degli altri Ordini professionali, l’Ordine dei giornalisti è nato nel 1963 per regolare una professione di lavoratori subordinati. Il contratto nazionale di lavoro giornalistico regola tutte le prestazioni, anche quelle dei collaboratori, che sono da sempre riportate giustamente nell’ambito della prestazione di lavoro dipendente.
Anche su questo terreno è indispensabile un intervento correttivo del legislatore che consenta di riportare tutte le prestazioni giornalistiche continuative nell’ambito del Contratto nazionale di lavoro giornalistico. Perché anche questa è la strada per assicurare ai giornalisti tutele e garanzie e difendere, in modo concreto, l’autonomia della professione e la libertà di stampa in ossequio all’art. 21 della nostra Carta Costituzionale. (giornalistitalia.it)