CATANZARO – Per fortuna che c’è papa Francesco. Le sue parole sul vergognoso “inchino” della processione di Oppido affidate a Scalfari sono un ulteriore monito a tutti i credenti, anche ai sacerdoti che, come lui stesso ha detto, non prendono abbastanza posizione contro la ‘ndrangheta.
Giovano i pensieri di Bergoglio in un’atmosfera tanto avvelenata e confusa, come quella che sta maturando qui in Calabria dopo l’altro controverso episodio della processione di San Procopio, dove un’altra sosta “riverente” con tanto di obolo pubblico, avrebbe reso omaggio al potere dei boss.
Conosco personalmente il sindaco di San Procopio, Lamberti Castronuovo e il suo intervento contro il giornalista de “Il Quotidiano della Calabria”, Michele Inserra, che ha portato a galla questa nuova, scomoda vicenda, mi ha stupito e indignato, nello stesso tempo. Stupito perché Lamberti Castronuovo è stato molto vicino alla redazione dell’Ora dalle censure cinghialesche in poi, difendendo anche nel corso di un pubblico intervento le ragioni della libertà di stampa con particolare piglio.
Amareggiato, perché, per quanto Lamberti Castronuovo possa contestare la veridicità di quanto riferito da Inserra – per altro confermato dal procuratore della Repubblica Cafiero de Raho, il quale ha svelato che si sta indagando per ragioni analoghe anche su una terza processione (a Scido) nello stesso territorio – non avrebbe mai dovuto aizzare l’intera cittadinanza di Oppido contro il collega, convocando una riunione consiliare finalizzata a una querela collettiva.
Niente può giustificare una simile “caccia alle streghe”, un “dalli all’untore” di manzoniana memoria, tanto più ingiusto se paragonato alla quiescenza che invece permane contro chi non si oppone al potere mafioso o addirittura contribuisce a legittimarlo.
Un conto è la smentita, o la querela esperita singolarmente, l’esternazione ponderata volta a replicare a una certa ricostruzione dei fatti, un altro è l’istigazione alla collera collettiva, il diffondere l’iniquo sospetto che un giornalista il quale si occupi di simili pericolose commistioni tra la religiosità e l’assoggettamento alle n’drine, lo faccia per screditare o colpire una comunità territoriale. Questa è una fallacia pericolosissima che rischia di rendere ancora più vulnerabile ed esposto a ritorsioni il cronista che, come imporrebbe la deontologia professionale, pubblica le notizie senza lasciarsi intimorire dalla cortina di silenzi e sudditanze stratificatasi nei decenni nella nostra regione.
Il fine di chi alza la testa, e scrive liberamente non è certo quello di infangare la Calabria, al contrario è quello di liberarla, attraverso un’informazione che risvegli le coscienze e aiuti a far sentire meno isolati quelli chi vi si oppongono, quelli che sono stanchi di ipocrisie, omesse verità, soprusi e abusi tollerati.
Patetico, poi, se non offensivo e in manifesto contrasto col pensiero di papa Francesco – e lo dico da cattolico praticante – il contenuto della nota diffusa sempre sul caso di San Procopio dall’Azione Cattolica locale secondo la quale l’obiettivo di Inserra o di altri giornalisti che indagano sulle processioni “devote ai boss” sarebbe quello di conseguire una ribalta personale. Visti l’ostracismo e le difficoltà quotidiane che si vivono decidendo di respingere ogni forma di bavaglio (i miei colleghi e io li stiamo ancora vivendo sulla nostra pelle) credo sia un’offesa all’intelligenza far passare il cronista onesto e libero (ferma restando la possibilità di errori umani e in buona fede), impegnato contro i poteri occulti e forti della Calabria, come un maniaco di protagonismo. Questa è l’accusa ricorrente che le lobby nascoste muovono a chi si ribella, non solo ai giornalisti, ma pure ai magistrati: si fa passare chi squarcia i veli sulle più inquietanti verità nascoste come un visionario, un carrierista, un ambizioso o persino un megalomane, ne si vorrebbe minare la credibilità e la professionalità, gli si vorrebbe scatenare contro la furia popolare, consegnandolo alla gogna, civile e persino religiosa.
Se si parla troppo, senza andare troppo per il sottile, si cerca di (ri)ottenere il silenzio, quel silenzio indispensabile nello stagno delle prepotenze. Ma, come ha detto papa Francesco a Scalfari, le cose stanno cambiando e cambieranno sempre più . Il cambiamento passa anche dalla determinazione e dall’unità tra tutti i giornalisti che credono nel modo più sincero alla missione dell’informare.
Aderisco con profonda convinzione all’invito rivolto dal vicesegretario nazionale e segretario regionale, Carlo Parisi, al sindaco di San Procopio, di rimuovere l’assurda e inaccettabile convocazione della riunione punitiva contro il collega. Ho già espresso la mia solidarietà a Inserra in occasione delle sinistre parole dedicategli dal consigliere regionale Demetrio Naccari Carlizzi in quell’intercettazione in cui il politico sosteneva che il giornalista avrebbe dovuto “vendersi gli organi” per pagargli i danni dal momento che aveva “osato” scrivere del reato di abuso d’ufficio che gli viene contestato in un concorso da primario in cui sarebbe stata favorita la moglie. Gliela rinnovo pienamente in questa circostanza, la rinnovo a Musolino e a tutti i colleghi impegnati a far conoscere le realtà taciute della nostra terra, la chiedo per tutti i miei colleghi dell’Ora e per me, che, dopo aver alzato la testa contro i cinghiali e gli accorduni, nell’indifferenza quasi totale, stiamo subendo gli effetti di una liquidazione societaria farsesca, non retribuiti da aprile, siamo ridotti all’indigenza, costretti a lavorare su un blog creato da noi, perché ingiustamente è stato prima oscurato il sito del nostro giornale, poi ripristinato ma senza la possibilità di aggiornarlo, solo per ingannare gli osservatori più distratti. Non lasciamoci distrarre, non lasciamoci intimorire, non lasciamoci imbavagliare!
Luciano Regolo
direttore dell’Ora della Calabria