ROMA – Il Collegio dei Probiviri, ovvero l’esigenza di dare vita all’interno della categoria ad un organismo che potesse dirimere le controversie tra colleghi, è stato l’elemento fondativo da cui hanno tratto origine le Associazioni Regionali e la stessa Federazione Nazionale della Stampa.
La prima esperienza associativa, come è noto, è stata quella dell’Associazione Periodica della Stampa Italiana, antesignana della “Romana”, costituita nel 1877 a soli 7 anni di distanza dalla breccia di Porta Pia e dalla proclamazione di Roma capitale, con il relativo trasferimento sulle sponde del Tevere non solo del potere politico, Monarchia, Governo, Camera e Senato ma anche del “quarto potere”, con la nascita di numerosi giornali e il trasferimento da Milano, Torino e Firenze di altre storiche testate.
La comunità giornalistica romana, anche per il suo numero consistente e crescente, sentì subito il bisogno di avere al suo interno una struttura di riferimento, un organo giudicante, che potesse velocemente “fare giustizia” nelle dispute giornalistiche. L’occasione, casuale, fu fornita dallo scontro tra un giornalista del Fanfulla, Felice Albanese e l’onorevole Paolo Pietrantoni, anch’egli giornalista. L’Albanese sulle pagine del suo giornale aveva ironizzato in termini pesanti nei confronti dell’onorevole Pietrantoni, che era genero del Ministro della Giustizia, Pasquale Stanislao Mancini. Il Pietrantoni, in risposta, aveva schiaffeggiato l’Albanese e da questo “oltraggio” era nata l’ennesima sfida a duello.
Il caso non era certamente il primo, ma fu quell’ultima goccia che indusse i giornalisti romani a ricercare una soluzione che potesse evitare di risolvere le questioni d’onore sul terreno del duello. Artefice dell’iniziativa fu il fondatore e direttore de “Il Messaggero”, Luigi Cesana, all’epoca direttore de Il Diritto, e cosi, da un’assemblea del 20 maggio del 1877 nacque l’idea di costituire un Giurì d’onore, al quale tutti i giornalisti avrebbero avuto la possibilità di ricorrere in presenza di una reale o presunta offesa giornalistica di un collega, per ottenere “giustizia” ed evitare il giudizio delle armi.
E’, perciò, proprio da questo primo Collegio probivirale che si può datare la nascita delle nostre organizzazioni. Intorno al Giurì nacque, infatti, l’Associazione della Stampa Periodica con l’intento, come ricorderà Eugenio Ferro animatore della nuova associazione, di chiudere “il periodo del monadismo e dell’anonimia della nostra stampa periodica” e aprire “quello di un suo recapito e di una sua ragione sociale”.
Vale la pena, in questa sede, ricordare che quel primo Giurì, chiamato Corte d’onore, era presieduto da Silvio Spaventa ed era composto da esponenti prestigiosi del mondo giornalistico-politico e della cultura giuridica, con il compito di dirimere attraverso i propri lodi le dispute “in occasioni di polemiche giornalistiche” ed anche di intervenire, su richiesta di parte, per verificare se le polemiche di stampa avessero ecceduto rispetto ai canoni della comune deontologia professionale.
Se quel lontano Giurì può essere considerato il padre delle nostre attuali forme associative, anche il contratto collettivo di lavoro, a ben vedere, affonda le sue origini in una matrice probivirale.
Quando infatti nel 1893, nella pressoché totale assenza di norme legislative per regolamentare e tutelare il lavoro, il Parlamento italiano approvò una legge che prevedeva la possibilità di costituire nelle aziende industriali collegi probivirali per dirimere contenziosi tra singolo lavoratore e datore di lavoro, inerenti il rapporto di lavoro, l’Associazione della Stampa Periodica, seguita dall’Associazione Lombarda dei Giornalisti, costituitasi nel 1890, e successivamente dalle altre Associazioni territoriali che erano sorte spontaneamente nei principali capoluoghi di regione, diede vita, d’intesa con gli editori, ad un Collegio probivirale che aveva lo scopo di poter individuare soluzioni in presenza di vertenzialità tra un singolo giornalista e il suo editore. Ogni giornalista poteva ricorrervi qualora ritenesse violato un suo diritto.
L’attività di questo Collegio probivirale, come quello delle altre Associazioni, ha costituito per decenni l’attività principale delle organizzazioni giornalistiche. Grazie al loro lavoro furono gettate le prime basi di un corpo normativo per la regolamentazione del rapporto di lavoro di categoria. E’ da una sentenza probivirale, per esempio, che nacque il diritto a percepire una “indennità fissa” al momento della risoluzione del rapporto legata alla qualifica di appartenenza. E’ sempre una sentenza probivirale che stabiliva il diritto del giornalista di poter collaborare anche con un’altra testata, purché nei limiti di fedeltà alla testata di appartenenza.
La rilevanza di quella giurisprudenza probivirale si evince anche dalla ripetuta pubblicazione di consistenti massimari dei loro lodi, che rappresentavano nel loro insieme un codice del lavoro giornalistico. Quando all’interno della categoria emerse l’esigenza di arrivare ad una regolamentazione contrattuale, prevalse in prima battuta la prospettiva legislativa, ovvero la possibilità di regolamentare il lavoro giornalistico attraverso una legge dello Stato. Ne erano sostenitori giuristi illustri come il Filomusi-Guelfi, che vi lavorò con passione, e giornalisti politici, come Luigi Luzzatti, presidente dell’Associazione Romana che fece presentare per ben due volte un progetto di legge in tal senso e che ripresentò una terza volta, proprio quando era presidente del Consiglio, dal suo Ministro di Grazia e Giustizia.
Nonostante l’impegno di buona parte dei dirigenti associativi e federali, quel disegno non diventò mai legge. In molti, a quel punto, sostennero la possibilità di affidarsi completamente nella regolamentazione del lavoro ai lodi probivirali, seguendo la via del diritto anglosassone di Common Law. La via non fu mai abbandonata, anche quando nel 1910, dopo la nascita dell’Unione degli Editori, si affacciò l’ipotesi di un accordo contrattuale tra le due categorie. E in effetti il primo contratto di lavoro firmato nel 1911 dalla Federazione della Stampa con gli Editori, dal titolo “convenzione d’opera giornalistica”, se conteneva i primi embrionali articoli che fissavano gli incunaboli dei diritti del lavoro, riaffermava le competenze e la validità dei collegi probivirali. Competenze e validità che sono rimaste integre anche negli anni successivi quando a quella prima convenzione fu sostituito un vero e proprio contratto nazionale di lavoro giornalistico. Quei Collegi probivirali hanno continuato a lavorare e ad assicurare protezione e certezza di diritto a tutta la categoria fino all’alba del regime fascista, quando, alla fine del 1926, furono cancellati con un colpo di spugna insieme alla libera Federazione della Stampa e alle Associazioni Regionali e sostituite dallo Stato corporativo che il fascismo imponeva all’Italia.
La loro importanza è sempre stata riconosciuta ed apprezzata. Quando allo scoppio della grande guerra un giovane Mussolini, appena uscito dal Partito Socialista e dalla direzione dell’Avanti! abbracciò la causa dell’interventismo al fianco delle democrazie e contro gli imperi autocratici, fondando un nuovo quotidiano, Il Popolo d’Italia, per sostenere le sue nuove posizioni e si trovò di fronte all’accusa di indegnità morale per aver fatto ricorso a fonti finanziarie ignote e oscure, fece ricorso, per chiarire la sua posizione, al presidente del Collegio dei probiviri dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, Oreste Poggio. Poteva rivolgersi alla Magistratura ordinaria o poteva richiedere il lodo arbitrale di chiunque altro. Scelse Oreste Poggio per il grande riconosciuto prestigio del Collegio dei probiviri della Lombarda.
Con la caduta del fascismo e il ritorno della libertà e della democrazia la Federazione della Stampa e le Associazioni regionali risorsero per unanime volontà di tutta la categoria che dopo un ventennio di dittatura voleva ancora riconoscersi nelle sue vecchie e gloriose strutture organizzative.
Nel mutato quadro giuridico-legislativo, i Collegi probivirali non rientrarono più nella contrattazione collettiva che, dal 1947 in poi, ha regolamentato ogni aspetto del rapporto di lavoro giornalistico, definendo con puntualità diritti economici e normativi. Ma i collegi probivirali sono rimasti nella struttura federale e associativa. Ancora oggi essi rappresentano un momento alto e delicato della nostra vita collettiva. Non a caso lo statuto prevede che possano far parte del Collegio probivirale solo coloro che abbiano almeno 10 anni di anzianità professionale e pone il tassativo divieto per i probiviri di coprire qualsiasi altra carica in qualsiasi altro organismo centrale o periferico della Federazione e delle Associazioni. Due requisiti che sottolineano il valore che l’intera categoria riconosce a questo organismo.
La raccolta giurisprudenziale che con questa pubblicazione il Collegio Nazionale dei Probiviri offre al giornalismo italiano si richiama, indubbiamente, ai precedenti storici cui abbiamo brevemente accennato e vuole essere soprattutto uno strumento e un supporto per tutti quei giornalisti che vivono costantemente con adesione e passione la vita di un organizzazione sindacale che ha superato con successo i suoi 100 anni di vita e che guarda con immutata volontà unitaria al suo futuro.
Giancarlo Tartaglia
direttore Fnsi