ROMA – Spettano all’Inpgi, l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani, i contributi previdenziali dovuti dai giornalisti pubblicisti che non abbiano formalizzato entro 6 mesi dall’entrata in vigore dell’art. 76 della legge 388 del 2001 la loro volontà di mantenere i contributi all’Inps. Lo ha stabilito Sezione Lavoro della Corte di Cassazione (presidente Enrica D’Antonio, relatore Umberto Berrino) con l’ordinanza n. 15162 del 4 giugno 2019 esaminando il caso di due giornalisti pubblicisti dell’Ufficio Stampa Inps che, nel 2001, non esercitarono l’opzione prevista dalla legge per mantenere i contributi all’Inps.
A conclusione di una lunga vertenza giudiziaria, durata una decina d’anni, la Sezione Lavoro della Suprema Corte con ordinanza n.15162 del 4 giugno 2019 ha ribadito che in caso di silenzio da parte dei diretti interessati deve ritenersi comunque manifestata la volontà contraria ai mantenimento della precedente iscrizione previdenziale all’Inps.
Insomma, in base all’art. 76 della legge n. 388 del 2001, non avendo i due giornalisti formalizzato il loro diritto di opzione e quindi la volontà di mantenere l’iscrizione presso l’Inps, quale gestore dell’assicurazione generale obbligatoria, il loro datore di lavoro (cioé proprio l’Inps) era obbligatoriamente tenuto ad assicurarli presso l’Inpgi. (giornalistitalia.it)
Cassazione Sezione Lavori, Ordinanza n.15162 del 4 giugno 2019
(Presidente Enrica D’Antonio, Relatore Umberto Berrino)
ORDINANZA
sul ricorso 24248-2013 proposto da:
Inps – Istituto Nazionale di Previdenza Italiana, elettivamente domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria 29, presso lo studio dell’avvocato Elisabetta Lanzetta, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Sebastiano Caruso, Cherubina Cirillo, Giuseppina Giannico, Francesca Ferraioli;
– ricorrente –
contro Rita Sacconi, elettivamente domiciliata in Roma, piazza Cola di Renzo 69, presso lo studio degli avvocati Alberto Boer e Paolo Boer, che la rappresentano e difendono;
– Inpgi, Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cola di Renzo 69, presso lo studio dell’avvocato Bruno Del Vecchio, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro Antonio Baldi;
– intimato –
avverso la sentenza n. 7244/2012 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 29 ottobre 2012 r.g.n. 999/2010.
Rilevato che
Antonio Baldi e Rita Sacconi Baldi, dipendenti dell’Inps che avevano svolto anche attività giornalistica per lo stesso ente, iscritti in quanto tali nell’elenco pubblicisti dell’Albo, adirono il giudice del lavoro del Tribunale di Roma per sentire accertare l’obbligo dell’istituto di previdenza di provvedere alla loro iscrizione all’Inpgi sin dal 1 gennaio 2001, con conseguente trasferimento presso quest’ultimo della relativa contribuzione;
il giudice adito accolse esclusivamente la domanda della Sacconi, ritenendo che solo quest’ultima aveva provato di aver svolto attività giornalistica in regime di subordinazione;
impugnata tale sentenza da parte dell’Inps, la Corte d’appello di Roma (sentenza del 29 ottobre 2012), in parziale riforma della gravata decisione, ha accertato l’obbligo dell’Inps di provvedere all’iscrizione ai fini previdenziali di Rita Sacconi presso l’Inpgi dall’1 gennaio 2001 al 31.12.2004 e di Antonio Baldi dal 5 luglio 2002 al 31 dicembre 2004, dopo aver verificato che in tali periodi i medesimi dipendenti avevano svolto attività giornalistica nell’ambito dell’Ufficio Stampa dell’Inps;
per la Cassazione della sentenza ricorre l’Inps con un motivo, cui resistono l’Inps e Rita Sacconi con separati controricorsi, illustrati da memorie, mentre rimane solo intimato Amtonio;
Considerato che
1. con un solo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione dell’art. 76 della legge 23.1.2000, n. 388 e degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., nonché per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio, l’istituto ricorrente contesta l’affermazione della Corte territoriale secondo cui l’opzione prevista dal citato art. 76 (che ha sostituito l’art. 38 della legge 416/1981), in ordine all’opzione di mantenimento dell’iscrizione presso l’Inps, era necessaria per derogare all’obbligo di iscrizione presso l’Inpgi dei giornalisti pubblicisti con rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica e per conservare il pregresso regime di iscrizione presso l’Inps, anche dopo l’entrata in vigore della legge che attribuiva all’Inpgi la gestione della tutela previdenziale dei giornalisti pubblicisti;
2. invero, secondo la presente tesi difensiva, la norma in esame non obbliga i datori di lavoro, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, ad iscrivere i dipendenti giornalisti all’Inpgi e la previsione della previdenza obbligatoria varrebbe solo per i giornalisti professionisti, ma non per i giornalisti pubblicisti, stante l’attribuzione a questi ultimi del diritto di scegliere l’ente di previdenza presso il quale versare i contributi; né, secondo il ricorrente, la norma prevede che in caso di mancato esercizio di tale diritto di scelta il giornalista pubblicista debba essere necessariamente iscritto all’Inpgi; ne conseguirebbe che, non avendo il Baldi e la Sacconi esercitato alcuna scelta entro il 10 luglio 2001 e non essendo stata comunicata una tale opzione all’Inps, quest’ultimo non aveva ritenuto di variare autonomamente, senza il loro consenso, la relativa posizione previdenziale; inoltre, la volontà dei lavoratori di rimanere iscritti presso la precedente gestione, desunta dal loro comportamento concludente, consistito nella tacita accettazione dell’accredito dei contributi presso l’Ago avvenuta senza contestazioni per un considerevole periodo di tempo (circa 5 anni), aveva ingenerato nell’istituto di previdenza un legittimo affidamento sulla volontà dei titolari del predetto diritto potestativo di voler abbandonare la pretesa con la conseguente perdita della situazione soggettiva;
3. il ricorso è infondato;
invero, la L. 23 dicembre 2000, n. 388, entrata in vigore il primo gennaio 2001, all’articolo 76 (Previdenza giornalisti) sostituiva l’art 38 della legge 5 agosto 1981, n. 416, nel seguenti testuali termini:
– 1. L’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani “Giovanni Amendola” (Inpgi) ai sensi delle leggi 20 dicembre 1951, n. 1564, 9 novembre 1955, n. 1122, e 25 febbraio 1987, n. 67, gestisce in regime di sostitutività le forme di previdenza obbligatoria nei confronti dei giornalisti professionisti e praticanti e provvede, altresì, ad analoga gestione anche in favore dei giornalisti pubblicisti di cui all’articolo 1, commi secondo e quarto, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica. I giornalisti pubblicisti possono optare per il mantenimento dell’iscrizione presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale. Resta confermata per il personale pubblicista l’applicazione delle vigenti disposizioni in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali e di sgravi contributivi.
2. L’Inpgi provvede a corrispondere ai propri iscritti:
a) il trattamento straordinario di Integrazione salariale previsto dall’articolo 35;
b) la pensione anticipata di vecchiaia prevista dall’articolo 37.
3. Gli oneri derivanti dalle prestazioni di cui al comma 2 sono a totale carico dell’Inpgi.
4. Le forme previdenziali gestite dall’Inpgi devono essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive”;
inoltre, lo stesso art. 76, comma 2, così recitava «L’opzione di cui all’articolo 38 della legge 5 agosto 1981, n. 416, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, deve essere esercitata entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge»;
4. nel condividersi, quindi, la corretta ricostruzione, sotto il profilo logico giuridico operata dalla Corte distrettuale con la sentenza de qua, appare evidente, pure in base ai tenore testuale della norma, come l’anzidetta disposizione di legge riguardi anche la posizione di chi, come gli odierni intimati, fosse giornalista pubblicista, titolare di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica, sicché in favore di tale categoria doveva provvedere, altresì, l’Inpgi in regime di sostitutività per le forme di previdenza obbligatoria previste nel confronti del giornalisti professionisti e praticanti;
quindi, la piana lettura del citato art. 38, come modificato dal suddetto art. 76, comma 1, secondo periodo (I giornalisti pubblicisti possono optare per il mantenimento dell’iscrizione presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale), unitamente al secondo comma del medesimo art. 76 (l’opzione di cui all’articolo 38 della legge 5 agosto 1981, n. 416, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, deve essere esercitata entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge), di seguito all’estensione del regime sostituivo Inpgi in favore dei pubblicisti, sta univocamente a significare che la scelta poteva riguardare esclusivamente il mantenimento dell’iscrizione presso l’Inps, da esercitarsi peraltro entro sei mesi dall’entrata in vigore della nuova disposizione, ossia dai primo gennaio 2001, sicché in difetto dell’esercizio di tale opzione, nel termine all’uopo stabilito, perciò limitata alla permanenza dell’iscrizione del pubblicista presso l’Istituto, attuale ricorrente, non poteva che comportare il passaggio di gestione all’Inpgi (cfr. peraltro Cass. lav. n. 1098 del 26 gennaio 2012, secondo cui l’Inpgi gestisce, per espresso disposto dell’art. 76 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, una forma di assicurazione sostitutiva di quella garantita dall’Inps, nonché da ultimo Cass. Sez. Lav. n. 11407 dell’1 giugno 2016);
5. di conseguenza, non avendo i predetti dipendenti manifestato mediante un contegno positivo (attuabile quindi soltanto mediante la formalizzazione del diritto di opzione) la loro volontà di mantenere l’iscrizione presso l’Inps, quale gestore dell’assicurazione generale obbligatoria, il loro datore di lavoro era obbligatoriamente tenuto ad assicurarli presso l’Inpgi. Infatti, l’art. 76 aveva previsto per i pubblicisti interessati la possibilità di optare per il mantenimento dell’iscrizione presso la gestione Inps, però da esercitare entro sei mesi dall’entrata in vigore, di modo che, in mancanza, i giornalisti pubblicisti andavano obbligatoriamente iscritti presso la gestione Inpgi. Non sussisteva, quindi, il preteso comportamento concludente serbato dai dipendenti sino alla notificazione del ricorso introduttivo del giudizio. L’automaticità dell’obbligo d’iscrizione e di contribuzione all’Inpgi in uno al carattere derogatorio di tale obbligo, donde l’opzione ex cit. art. 76 nei termini ivi previsti, escludono la fondatezza della tesi sostenuta dall’Inps;
6. in tal senso, pertanto, appare anche inconferente la seconda parte del motivo, riferita alla pretesa violazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. (in tema di buona fede e correttezza), atteso che dal dettato normativo, specie con riferimento al termine assegnato per l’esercizio dell’opzione, derivava che dal sìlenzio serbato dai diretti interessati doveva ritenersi perciò stesso manifestata la volontà, ma contraria ai mantenimento della precedente iscrizione previdenziale;
7. si appalesa altresì infondato il preteso vizio di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., non potendosi peraltro riconoscere alcuna univocità all’assunta tacita accettazione dell’accredito della contribuzione presso l’Ago, risultando quest’ultima comunque oggettivamente dovuta ed ignorandosi altresì le concrete circostanze di fatto mediante le quali sarebbe avvenuta detta tacita accettazione. D’altro canto, nei limiti in cui può ritualmente operare il vizio di motivazione di cui all’art. 360 n. 5 (secondo il testo nella specie ratione temporis applicabile), la relativa censura da parte ricorrente appare altresì inconferente;
8. in definitiva, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna dell’Istituto soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Inpgi e di Rita Sacconi, in applicazione del principio della soccombenza, nella misura liquidata come da dispositivo; inoltre, le spese liquidate in favore della Sacconi vanno attribuite ai suoi difensori, avvocati Paolo e Alberto Boer, dichiaratisi antistatari; non va, invece, adottata alcuna statuizione in ordine alle spese in favore di Antonio Baldi, in quanto quest’ultimo è rimasto solo intimato; ricorrono i presupposti per la condanna del ricorrente al pagamento dell’ulteriore importo dovuto a titolo di contributo unificato di cui all’art. 13 del Dpr. n. 115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dell’Inpgi e di Rita Sacconi nella misura di euro 4200,00 ciascuno, di cui euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Nulla spese nei confronti di Baldi Antonio. Dispone l’attribuzione delle spese liquidate alla Sacconi ai suoi difensori antistatari, avvocati Paolo ed Alberto Boer.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 21 febbraio 2019