ROMA – Jean Bigirimana, giornalista burundese del gruppo editoriale Iwacu e dell’agenzia Infos Grands Lacs, media partner di Vita, è stato arrestato tredici giorni fa nel sud del Burundi. Da allora nessuna notizia, né sugli autori dell’arresto, né sul suo luogo di detenzione. Ma Bigirimana non è un caso isolato. Altri giornalisti sono minacciati.
Vita, giornale del terzo settore, chiede al ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Paolo Gentiloni, di intervenire presso le autorità burundesi per chiedere la liberazione di Bigirimana e la protezione dei professionisti dell’informazione in Burundi.
Secondo quanto riporta Iwacu sul suo conto twitter, il giornalista sarebbe vivo, anche se in pessime condizioni. Sempre su Twitter, il direttore di Iwacu, Antoine Kaburahe, ha annunciato una missione di membri della Commissione nazionale indipendente dei diritti umani del Burundi (Cnidh) a Muramvya.
Secondo Reporter senza frontiere, il giornalista “è detenuto dal Servizio nazionale di intelligence (Snr), che risponde direttamente al presidente del Burundi, Pierre Nkurunziza”.
Secondo le informazioni raccolte da Infos Grands Lacs, “gli agenti del Snr avrebbero accusato il giornalista di effettuare viaggi regolari tra Kigali (capitale del Rwanda) e Bujumbura (capitale del Burundi)”. Da mesi, le relazioni tra i due paesi si sono deteriorate: il regime di Nkurunziza accusa le autorità rwandesi di accogliere e armare sul suo territorio gruppi ribelli burundesi che oltrepassano regolarmente la frontiera con il Burundi per attacchi contro forze dell’ordine locali.
“Altre fonti ci informano che il legame di parentela di Bigirimana con l’ex portavoce di Nkurunziza, Léonidas Hatungimana, potrebbe essere all’origine del suo arresto”, sottolinea Infos Grands Lacs. “Hatungimana ha preso le sue distanze dal (partito presidenziale) Cnn-Fdd, aderendo ai numerosi oppositori che denunciano il terzo mandato del presidente burundese”.
Dopo 15 anni di pace e sicurezza, lo scorso anno il Burundi è sprofondato in un clima di guerra civile larvata. Tutto è nato dalla volontà di un uomo – Pierre Nkurunziza – di volersi candidare nel 2015 alle elezioni presidenziali per un terzo mandato, violando così gli Accordi di pace di Arusha firmati nel 2000 su cui riposa la Costituzione e che limitavano a due i mandati presidenziali. Subito dopo l’annuncio della sua candidatura il 25 aprile 2016, un’ondata repressiva si è abattuta su chi ha contestato il terzo mandato, culminata durante il tentato golpo militare fallito del 13 maggio 2015.
Secondo le Nazioni Unite, ad oggi sono state uccise 500 persone e circa 270mila sono fuggite dagli scontri. A fine giugno, l’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha denunciato quasi 600 episodi di sevizie e di maltrattamenti dall’inizio della crisi”, ai quali si sommano 348 esecuzioni extragiudiziarie.
L’arresto e la scomparsa di Bigirimana è tanto più preoccupante che un rapporto di Human Rights Watch pubblicato il 7 luglio accusa “gli agenti del Servizio nazionale di intelligence burundese di aver torturato e maltrattato decine di presunti oppositori, nella sede del Snr e in luoghi tenuti segreti”.
Ma quello Bigirimana non è un caso isolato. Sulla sua pagina Facebook, la piattaforma d’informazione Sos Médias Burundi, creata in Burundi dopo la distruzione delle principali radio e TV indipendenti del paese, sostiene che “l’integrità fisica dei giornalisti burundesi, sia quelli presenti nella capitale che quelli che lavorano in provincia, è sempre più minacciata. Si può parlare di vero e proprio accanimento”.
Per corroborare le sue accuse, Sos Médias Burundi cita tre casi recenti, l’ultimo dei quali risale alla notte del 31 luglio quando quattro uomini armati hanno accoltellato Boaz Ntaconayigize, giornalista di Radio Bonesha FM, in esilio a Kampala. Il direttore della radio, Patrick Nduwimana, anch’egli in esilio, sostiene che “una settimana fa, Boaz mi ha inviato un messaggio nel quale scriveva che delle persone erano giunte da Bujumbura, nella fattispecie degli agenti del Servizio nazionale di intelligence, nel tentativo di infiltrare la comunità dei rifugiati burundesi a Kampala e Navikale. E che la loro missione era quella di perseguitare giornalisti e rappresentanti della società civile, nonché rifugiati che hanno partecipato alle manifestazioni contro il terzo mandato”.
Da Kampala si passa a Rutana, nel Sud del Burundi. Cambia il luogo, ma le modalità operative sono le stesse. I fatti risalgono “all’inizio della scorsa settimana, quando il giornalista Nestor Ndayitwayeko (corrispondente di Infos Grands Lacs), è stato prima minacciato e poi pestato in un bar da un ufficiale della polizia burundese (Pnb)”. Non è la prima volta che il reporter ha avuto a che fare con questo poliziotto, che ogni volta, con tono provocatorio, gli chiede “perché non te ne vai in Rwanda?”.
Infine, Sos Médias Burundi cita il caso di Julien Barinzigo, corrispondente di Oximity News, un magazine on line anglofono. “È in carcere da 47 giorni per «oltraggio al capo di Stato»”, in attesa di un processo che viene continuamente spostato.
Tra le pochissime realtà indipendenti rimaste attive nel paese, Sos Médias Burundi sostiene che “una cinquantina di giornalisti non possono più esercitare il loro mestiere nel paese. Per via delle persecuzioni e delle minacce di morte, tutti sono stati costretti ad esiliarsi in Rwanda o in altri paesi occidentali. In Burundi”, aggiunge la piattaforma d’informazione, “l’impunità è ormai una regola per quegli individui ignoranti e zelanti che minacciano la libertà di informare”.
“Nell’ambito del partenariato che ci associa a Infos Grands Lacs e il giornale Iwacu”, il presidente di Vita, Riccardo Bonacina, “chiede al ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Paolo Gentiloni, di intervenire presso le autorità burundesi per esigere la liberazione immediata di Jean Bigirimana e la fine delle persecuzioni di cui sono vittime i professionisti dell’informazione in Burundi”.
“Al pari della direzione del giornale Iwacu di cui siamo partner”, aggiunge Bonacina, “non pretendiamo che un giornalista non debba affrontare la giustizia. Jean è un cittadino burundese prima di essere giornalista. Ma chiediamo che se arresto ci deve essere, che lo sia nel rispetto dalla legge, che un mandato di arresto gli sia sottoposto e che possa comparire per difendersi dalle accuse che gli verrebbero formulate. E soprattutto chiediamo notizie sul suo stato”.