MILANO – Ho atteso invano alcuni giorni prima di intervenire sulla prodezza dell’Espresso, che ha rivelato il contenuto di una intercettazione telefonica, di cui per ora non è stata trovata traccia, e che tuttavia ha sollevato uno scandalo.
Nessun commento serio ho letto. Si tratta di una conversazione privata fra Rosario Crocetta e il suo medico, durante la quale quest’ultimo avrebbe detto che la figlia del giudice Borsellino, ucciso dalla mafia, dovrebbe fare la stessa fine del padre: sparire. Il nastro non è ancora saltato fuori, ciò nonostante la polemica infuria.
La frase maledetta sarebbe stata pronunciata dal dottore. Il problema però è che l’interlocutore del sanitario non avrebbe reagito, ciò farebbe pensare: egli non era d’accordo sulla necessità di stecchire la signora? In altre parole, il guaio è che il governatore non ha aperto bocca. Stravagante. Di solito uno viene redarguito per quanto afferma. In questo caso è il contrario: Crocetta è severamente rimproverato per non aver fiatato. Costui è sotto inchiesta perché è stato in silenzio, non per altro. È la prima volta al mondo che un uomo debba rispondere perché è stato zitto e non perché ha parlato. Solo in Italia poteva accadere una cosa simile.
Quando l’Espresso – settimanale debenedettiano, esattamente come la Repubblica – ha pubblicato il descritto scoop, qualsiasi media gli si è accodato, rilanciando e amplificando la notizia. A nessuno è venuto il dubbio che fosse infondata. E, invece, si dà il caso che la Procura neghi l’esistenza della intercettazione; pertanto, saremmo di fronte a una bufala, a una informazione falsa, frutto di una invenzione di cui si ignora la genesi.
Crocetta – uomo di sinistra del quale non condividiamo un’idea – è stato bastonato perché incline al mutismo: e continua ad essere perseguitato per una chiacchierata malandrina che non ha fatto, di cui perlomeno non c’è documentazione. Abbiamo ribadito il concetto per esaltare l’assurdità dell’intera questione. Non è tutto. L’Espresso ha confermato: la sua fonte è attendibile. Può darsi. Però non dice quale essa sia. La copre. Giusto. Noi cronisti siamo tenuti a rispettare il segreto professionale.
Se però la magistratura sostiene di non essere in possesso del nastro al centro della discussione, il settimanale, per avvalorare il proprio colpo giornalistico, sarebbe a questo punto obbligato a fornire le prove di non aver preso un granchio. Esso, invece, ripete fino alla noia di aver udito la telefonata, ma di non essere in grado di esibire le carte. Perché? Probabilmente non le ha. Si è fidato di un pettegolezzo? Nell’eventualità, sarebbe obbligato a confessare di aver calpestato una buccia di banana.
Ci domandiamo come mai nessuno affronti la questione in termini di giustizia. L’Ordine dei giornalisti, in altre circostanze pronto a intervenire sotto il profilo disciplinare, non si è fatto vivo. Forse è fortemente intenzionato a tergiversare, temendo che andare contro il gruppo debenedettiano, notoriamente di sinistra, sia imprudente. La magistratura non si è appalesata. L’unico ad avere reagito è il medesimo Crocetta: ha chiesto 10 milioni di risarcimento all’Espresso. Campa cavallo. Il giudizio, se vi sarà, giungerà fra anni.
Riflessione. Se ad aver sventolato una fantasiosa intercettazione, anziché i colleghi dell’Espresso, fossimo stati noi del Giornale, cosa sarebbe successo? Ve lo dico subito. La nostra redazione sarebbe stata perquisita dalle forze dell’ordine. Il direttore di turno sarebbe stato sottoposto a indagine giudiziaria e a procedimento da parte dell’Ordine degli scribi; l’autore del servizio ora sarebbe guardato da tutti quale criminale, e il nostro quotidiano passerebbe per la consueta macchina del fango. Poiché, viceversa, nella merda è il nipotino cartaceo di Eugenio Scalfari (colui che, condannato alla galera per uno scoop fasullo, non andò in prigione perché eletto deputato nelle liste del Psi), ovvero il citatissimo Espresso, nulla si muove.
A noi giornalisti negletti ne hanno fatte di tutti i colori per molto meno; ai signorini pagati da De Benedetti non torcono un capello. E ne siamo felici.
A tutti capita di sbagliare. Anche agli intelligentoni progressisti. Quanto al doppiopesismo nella valutazione degli errori, lasciamo giudicare ai lettori. Che orrore, che schifo. Viene in mente il famoso metodo Boffo. Sul conto del quale se non altro la nostra notizia era vera: condannato per molestie. Stupidaggine? Sì. Ma vera. Viene in mente la questione Marcegaglia. Fu un pretesto per romperci le scatole. Vengono in mente tante cose. Personalmente sono stato processato, e assolto, per aver definito negri i negri. Siamo curiosi di vedere come andrà a finire la storia del povero Crocetta. Poi, riprenderemo il discorso, compagni del menga. (Il Giornale)
Vittorio Feltri