VENEZIA – Le ceneri di Franco Giliberto, giornalista a 18 carati, morto il 10 agosto, sono state sparse nell’acqua della laguna di Venezia. Come da suo desiderio. C’ero io, c’erano il presidente dell’Ordine dei giornalisti piemontesi Alberto Sinigaglia, l’inviato della Stampa Vincenzo Tessandori, i nipoti Tito e Jacopo Giliberto, uno del Sole 24 Ore e l’altro di Mediaset. C’era anche Giuliano Piovan che, con Franco, ha firmato due libri di successo: “alla larga da Venezia” e “una specie di paradiso” seguendo le tracce dei diari di Pigafetta.
Una cerimonia essenziale – anche questo, come gli sarebbe piaciuto – con la nipote Marta che ha recuperato la memoria del nonno e i colleghi che hanno ricordato il giornalista.
La vita di Franco Giliberto era cominciata sotto il segno dell’avventura. Se ne era andato da casa e, senza nemmeno aver compiuto i 17 anni, andò ad arruolarsi nella legione straniera. Aveva due spalle così fin da ragazzino e poteva sembrare anche più anziano. Rischiò di combattere l’ultima battaglia dei mercenari francesi a Dien Bien Phu, in Indocina. Il battaglione dove stava inquadrato si trovava a un centinaio di chilometri, figurava “nella riserva” ed era pronto a intervenire. Erano già in allarme quando arrivò la notizia che il reparto si era arreso e che la guerra era finita. Quando i genitori ne furono a conoscenza fecero il diavolo a quattro, costringendo il presidente della Francia di allora, Charles De Gaulle, a intervenire. Se il regolamento diceva che l’arruolamento era consentito ai maggiorenni, come facevano ad accettare Franco che ne aveva compiuti 17 in divisa?
Restituito alla vita “normale” s’impegnò nel giornalismo. Prima collaboratore del Gazzettino Veneto poi al Messaggero di Udine e, infine, alla Stampa di Torino.
Si occupò soprattutto d’inchieste che riguardavano la sanità e, per raccontarla proprio come si deve, “fece il matto” per essere ricoverato alla psichiatrico di Collegno e descrivere “da dentro” la vita del manicomio. Lui vinse il premio Saint Vincent di giornalismo (il Pulitzer di casa nostra) e Basaglia ebbe qualche argomento in più per sostenere che quei reparti andavano chiusi.
Nella vita professionale, Franco Giliberto era “curioso” non si accontentava della prima cosa che gli dicevano. Voleva “scavare”, intendeva capire, era determinato a sapere tutto.
In privato faceva il nonno affettuoso anche se non indulgente. Chiedeva alle nipoti che s’impegnassero nel dovere “ma per poco tempo perchè con il troppo ci si annoia”. Anche la scuola – secondo lui – avrebbe dovuto proporre ore di lezione molto più contenute per favorire una maggiore attenzione. Voleva che imparassero a scrivere: frasi corte, punteggiatura appropriata, pochi aggettivi ma quello giusto. E poi a giocare soprattutto in piscina perchè l’acqua era la sua seconda casa.
Le ceneri sono state sparse dalla figlia Sara e, a turno, dai presenti.
“Non si sa dove né quando, ma ci rivedremo”. (giornalistitalia.it)
Lorenzo Del Boca
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