Annullato il decreto ingiuntivo per oltre 165 mila euro a Unipress per 4 giornalisti

Lavoro dipendente: Inpgi perde in Cassazione

ROMA – Un’altra brutta sconfitta dell’Inpgi in Cassazione in tema di recupero di contributi previdenziali. La Suprema Corte, accogliendo le tesi della società Unipress, ha definitivamente confermato la precedente sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Roma annullando il decreto ingiuntivo con cui le era stato intimato il pagamento in favore dell’Inpgi 1 della complessiva somma di 165 mila 495 euro, oltre ulteriori interessi e spese a titolo di contributi previdenziali omessi e relative sanzioni civili.
La somma era stata, infatti, richiesta dall’Inpgi all’Unipress per essersi avvalsa della collaborazione di quattro giornalisti qualificati quali collaboratori esterni, le cui prestazioni avevano di fallo rivestito le caratteristiche tipiche del lavoro subordinato, in quanto collaboratori fissi ex art. 2 del CCNL dei giornalisti. L’Inpgi é stato anche condannato a rifondere le spese legali dell’ultimo grado di giudizio. (giornalistitalia.it)

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Cassazione Sezione Lavoro, Ordinanza n. 4569 del 19 febbraio 2021
(Presidente Antonio Manna, Relatore Daniela Calafiore)

ORDINANZA

sul ricorso 10229-2015 proposto da:
Inpgi – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via delle Milizie 34, presso lo studio dell’avvocato Marco Petrocelli, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –

contro

Unipress srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Mazzini n. 27, presso lo studio dell’avvocato Paolo Zucchinali, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Giacinto Favalli, Marina Tona;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 10114/2014 della Corte d’appello di Roma, depositata l’8 gennaio 2015 R.G.N. 39/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020 dal Consigliere Dott. Daniela Calafiore.

Rilevato che:

Unipress s.r.l. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale si intimava alla società il pagamento in favore dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani “Giovanni Amendola”, da qui Inpgi, della complessiva somma di euro 165.495,00, oltre ulteriori interessi e spese, a titolo di contributi previdenziali omessi e relative sanzioni civili, richiesti per essersi l’opponente avvalso della collaborazione di quattro giornalisti qualificati quali collaboratori esterni, le cui prestazioni avevano di fallo rivestito le caratteristiche tipiche del lavoro subordinato, in quanto collaboratori fissi ex art. 2 del CCNL dei giornalisti;
il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione;
con la sentenza n. 10114 del 2014, la Corte d’appello di Roma ha riformato quella di primo grado ed, accogliendo l’opposizione, ha revocato il decreto ingiuntivo;
la Corte territoriale ha dichiarato non dovuta la contribuzione richiesta ritenendo che non ricorresse il requisito della subordinazione, secondo la disciplina delineata per il collaboratore fisso dall’art. 2 CNLG, atteso che:
a) le prestazioni rese da Anna Bianca Fusco, grafica, erano state descritte solo dalla stessa Fusco, da ritenersi interessata ad ottenere il versamento della contribuzione, e contraddette dal teste Soru;
b) Giovanna Ghezzi direttore artistico, aveva essa stessa dichiarato di non aver alcun obbligo di presenza e di intrattenere altre collaborazioni ed erano generiche e non attendibili le diverse dichiarazioni rese dai testi Romeo ed Ariedda;
c) analogie considerazioni andavano fatte quanto all’attività svolta da Roberto Bignoni che, secondo il Tribunale, si occupava della progettazione delle riviste e che svolgeva compiti di capo redattore;
d) quanto, poi, alla posizione di Magni, che secondo il primo giudice avrebbe svolto mansioni di redattore, la Corte ha rilevato che le dichiarazioni dello stesso erano interessate e smentite da quelle dei testi Savoca e Soru e la sussistenza della continuità della prestazione subordinata era smentita dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato nel medesimo periodo con Mediaset;
l’Inpgi ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a quattro motivi, illustrati da successiva memoria, cui ha resistito con controricorso Unipress s.r.I.;

considerato che:

con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 416 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c. per aver la Corte addebitato ad Inpgi il mancato adempimento dell’onere probatorio relativo alla natura giornalistica dell’attività svolta dalla Fusa) senza considerare che tale natura non era stata contestata dalla società in sede di memoria di costituzione in primo grado e che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita;
con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione degli artt. 112e 116 c.p.c., artt. 244e 252 c.p.c., n. 4, per avere la Corte territoriale omesso di esaminare le eccezioni di inattendibilità relative ai testi Sori e Savoca che avrebbe, pure, contraddittoriamente valutato;
il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 132 c.p.c., nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 4, c.p.c. in relazione al fatto che la sentenza impugnata non avrebbe indicato da quale fonte probatoria abbia tratto la convinzione che Magni intrattenesse con Mediaset un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno, posto che l’esistenza di tale rapporto era stata solo affermata da Unipress s.r.l. e non confermata dalla testa Savoca che si era limitata a riferire dell’esistenza di un rapporto “stabile” del Magni con Mediaset;
con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, vizio di violazione dell’art. 2094 cod. civ. e art. 2 CCNL Giornalistico (“collaboratore fisso”), per esser giunta la Corte territoriale, senza una spiegazione plausibile, escluso la ricorrenza delle caratteristiche della prestazione del collaboratore fisso per tutti e quattro i giornalisti, mentre nel caso sussistevano i requisiti della continuità del servizio, della dipendenza e della responsabilità di un servizio;
occorre premettere che al presente giudizio si applica ratione temporis la formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che prevede come quinto motivo di ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;
la disposizione ha modificato la precedente locuzione, che contemplava l’«omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio», introdotta dalla riforma del giudizio di Cassazione operata con la L. n. 40 del 2006, che aveva a sua volta sostituto il concetto di «punto decisivo della controversia» con quello di «fatto controverso e decisivo»;
gli aspetti salienti della riforma consistono in primo luogo nell’eliminazione del riferimento alla motivazione, sicché si è rilevato che l’eventuale carenza o difetto di tale parte della sentenza può avere rilievo solo ove trasmodi in vizio processuale ex art. 360 c.p.c., n. 4). È stato invece mantenuto il riferimento al «fatto controverso e decisivo», in relazione al quale l’elaborazione sviluppatasi nella giurisprudenza di questa Corte aveva già chiarito che per tale deve intendersi «un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo» (così, Cass. 29 luglio 2011, n. 16655, conf. Sez. L, Sentenza n. 18368 del 31 luglio 2013; Cass. (ord.) 5 febbraio 2011, n. 2805);
le Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014 hanno al riguardo precisato che, con la riformulazione dell’art. 360, n. 5 cit., è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. In tal senso, la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, nè può fondare il motivo in questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito.
Nella specie, per tutti i motivi in esame che, al di là della rubrica di stile, sono formulati nella sostanza sotto il profilo del vizio di motivazione, è da escludere che ci si trovi innanzi a una di quelle patologie estreme dell’apparato argomentativo tale da rientrare in quel «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità, delineato dalle Sezioni Unite, considerato che gli aspetti riguardati sono stati tutti esaminati dalla Corte territoriale, sicché la motivazione non può dirsi omessa, né può quindi procedersi in questa sede a nuova valutazione delle medesime circostanze;
peraltro, il primo motivo di ricorso, laddove in sostanza si lamenta una violazione del principio di non contestazione circa la natura giornalistica dell’attività dei lavoratori, è infondato perché, come questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare (cfr. Cass. N. 10111/06), il principio cli non contestazione opera al fine di far ritenere ammessi, e quindi pacifici, i fatti storici posti a fondamento dell’altrui pretesa e non mere espressioni qualificatorie o definitorie, come quelle inerenti alla natura giuridica d’un dato rapporto contrattuale;
anche laddove, al secondo motivo, si denuncia la violazione delle disposizioni processuali che attengono alle modalità di assunzione della prova testimoniale e, quindi, al tipo di apprezzamento della stessa testimonianza da parte del giudice, si reitera la sostanziale critica all’utilizzo delle facoltà di accertamento del fatto che tipicamente caratterizzano la giurisdizione nella fase del merito e che possono essere sindacate dinanzi al giudice di legittimità nei limiti di cui si è sopra detto, certamente non ricorrenti nel caso di specie;
il ricorso deve quindi essere rigettato, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 7.000 per compensi professionali, oltre ad euro 200 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

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