La Cassazione cancella un decreto ingiuntivo dell’Inpgi all’Agenzia Regionale Parchi

L’attività dell’Urp non è di natura giornalistica

ROMA – La sezione lavoro della Corte di Cassazione ha dato ragione alla Regione Lazio ed ha cancellato un decreto ingiuntivo dell’Inpgi perché non ha ritenuto giornalistica l’attività svolta da tre lavoratori all’interno dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico dell’Agenzia Regionale Parchi.
I supremi giudici hanno, così, confermato definitivamente la decisione emessa sette anni fa dalla Corte d’appello di Roma che, annullando il precedente verdetto del tribunale, aveva interpretato l’art. 8 della legge sulla stampa n. 150 del 2000 che regola le attività d’informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni.
Per effetto di questa decisione sono state bocciate le tesi dell’ente previdenziale secondo cui tre lavoratori, assunti all’Agenzia Regionale Parchi – Area tecnica – Comunicazione ed educazione, svolgevano l’attività di giornalisti.
La Suprema Corte, presieduta da Umberto Berrino, con ordinanza n. 960 del 13 gennaio 2022, non è stata d’accordo con l’Inpgi ed ha affermato che i tre dipendenti della Regione Lazio espletavano le loro mansioni all’interno dell’Urp aziendale, le cui funzioni sono diverse e non sovrapponibili a quelle dell’Ufficio Stampa, autonomamente disciplinate dall’art. 9 della stessa legge 150.
In particolare è stata richiamata la recente sentenza n. 21764 del 2021 delle Sezioni Unite Civili del “Palazzaccio” di piazza Cavour (massimo organo interpretativo del diritto in Italia), che ha affermato la regola di portata generale – che prescinde dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro e dal contratto collettivo applicabile al rapporto – secondo cui è solo l’attività svolta nell’ambito dell’ufficio stampa di cui alla legge n. 150 del 2000, per la quale il Parlamento ha richiesto il titolo dell’iscrizione all’albo professionale dei giornalisti ed ha previsto un’area speciale di contrattazione con la partecipazione delle organizzazioni sindacali dei giornalisti, che ha natura giornalistica e, di conseguenza, comporta l’iscrizione all’Inpgi. L’ente di via Nizza dovrà anche pagare 5 mila euro di spese legali alla Regione Lazio. (giornalistitalia.it)

Pierluigi Roesler Franz

L’ORDINANZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO
n. 960 del 13 gennaio 2022 (Presidente Umberto Berrino, relatore Alfonsina De Felice)

ORDINANZA

sul ricorso 6301-2016 proposto da:
INPGI – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via delle Milizie 34, presso lo studio dell’avvocato Marco Petrocelli che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –

contro

REGIONE LAZIO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via delle Milizie, 1, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Viscomi, che la rappresenta e difende;

rilevato che:

la Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia del Tribunale, ha accolto il ricorso proposto dalla Regione Lazio avverso il rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo emesso in favore dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola” (d’ora in avanti Inpgi), con cui quest’ultimo aveva denunciato l’omessa contribuzione da parte dell’ente pubblico per tre dipendenti che, a suo avviso, rivestivano la qualifica di giornalisti; ha conseguentemente revocato il decreto ingiuntivo opposto;
la Corte territoriale, interpretando l’art. 8 della I. n. 150 del 2000 che regola le attività d’informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni, ha rilevato che i tre lavoratori, assunti presso l’Agenzia Regionale Parchi – Area tecnica – Comunicazione ed educazione», espletavano le loro mansioni all’interno dell’Urp aziendale, le cui funzioni sono diverse e non sovrapponibili a quelle dell’Ufficio Stampa, autonomamente disciplinate dall’art. 9 della stessa legge;
ha rilevato, sotto il profilo formale, che i dipendenti per cui l’Inpgi chiedeva illegittimamente i contributi assicurativi, svolgevano «…attività di comunicazione, promozione e informazione per gli utenti sull’attività del parco finalizzata ad agevolare l’utilizzazione dei servizi e garantire una sorta di coordinamento istituzionale, finalità perseguita mediante la raccolta, la diffusione delle informazioni, cui rimane estranea l’attività di elaborazione della notizia e di apporto personale contenutistico propria del giornalista…» (p. 5 sent.); sotto un profilo fattuale ha accertato che il possesso della qualifica di giornalista non era emersa neppure dalle testimoniante assunte nel giudizio di prime cure;
la cassazione della sentenza è domandata dall’Inpgi sulla base di due motivi;
la Regione Lazio ha depositato controricorso, illustrato da successiva memoria;

considerato che:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., il ricorrente contesta «Violazione e falsa applicazione di norme di legge: art.1 I 63/1969, artt. 1, 6, 8, 9 e 10 L. 150/2000, art. 3 D.P.R. 422/2001, art. 76 L. 388/2000, art. 38 L. 416/1981»; in particolare ritiene impropria la distinzione tra comunicazione e informazione operata dalla Corte d’appello sostenendo che entrambe le funzioni sono dirette a far conoscere le attività e le iniziative dell’ente pubblico ai cittadini, distinguendosi solo per la modalità di diffusione dell’informazione: contatto diretto nelle Urp, contatto mediato dagli organi di massa negli Uffici Stampa; insiste nell’affermare che la qualifica tecnica dei tre dipendenti non può fungere da ostacolo al riconoscimento dell’iscrizione all’Inpgi, attesi tutti i requisiti di legge (iscrizione all’albo, subordinazione e svolgimento di mansioni giornalistiche);
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.4 cod. proc. civ., contesta «Violazione e falsa applicazione di norme di rito: artt. 112, 132 b. 4 c.p.c. 118 disp. att. cod. proc. civ.»; denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. da parte del giudice dell’appello, là dove questi si sarebbe pronunciato non già sulla spettanza dei contributi all’Inpgi, ma sull’inquadramento contrattuale dei lavoratori;
primo motivo è, infondato;
la Corte d’appello ha svolto un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, rimanendo a quanto affermato da questa Corte in analoghe fattispecie a proposito della ricorrenza dei requisiti, in capo ai giornalisti, capaci di generare nei datori l’obbligo di versamento dei contributi previdenziali all’Inpgi;
si tratta, ha affermato questa Corte (Cassazione n. 14391 del 2021), di due requisiti tra loro concorrenti e non alternativi, quali l’iscrizione all’Albo dei giornalisti (elenco professionisti, elenco pubblicisti e/o registro praticanti) e lo svolgimento di attività lavorativa riconducibile a quella professionale giornalistica presso il datore di lavoro chiamato a versare i contributi;
nel caso in esame la Corte d’appello ha accertato che l’iscrizione all’albo era richiesto quale requisito meramente eventuale per la partecipazione al concorso pubblico per l’assunzione alla Regione Lazio, e che l’attività lavorativa svolta non era qualificabile quale attività giornalistica;
il secondo motivo è parimenti infondato;
specificamente, sugli Uffici Stampa si sono pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 21764 del 2021, ove si afferma la regola di portata generale – che prescinde dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro e dal contratto collettivo applicabile al rapporto – secondo cui è solo l’attività svolta nell’ambito dell’ufficio stampa di cui alla I. n. 150 del 2000, per la quale il legislatore ha richiesto il titolo dell’iscrizione all’albo professionale e previsto un’area speciale di contrattazione con la partecipazione delle organizzazioni sindacali dei giornalisti, che ha natura giornalistica e, di conseguenza, comporta l’iscrizione all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (Inpgi);
nel caso in esame la Corte d’appello ha accertato che i lavoratori per i quali l’Inpgi pretende la contribuzione dalla Regione Lazio non avevano l’obbligo di essere iscritti all’albo professionale, e che la struttura presso la quale gli stessi operano non possiede le caratteristiche richieste dalla I. n. 150 del 2000 per gli uffici stampa (art. 9), potendo identificarsi con quelle indicate per gli uffici per le relazioni con il pubblico (art. 8);
in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della Regione Lazio, che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r.. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della I. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, alla Camera di Consiglio del 18 novembre 2021

 

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