CATANZARO – Si dice che la Calabria sia una terra di contrasti. Forse un luogo comune. Certe sono invece le contraddizioni, amare e dispendiose per la gente onesta e rispettabile che non manca da queste parti, ma che pure ha scarsa o nessuna voce in capitolo.
Nei diversi assetti e nelle svariate forme del potere non esiste il bianco e il nero, o il giusto e l’iniquo, purtroppo persino i confini della legalità o dell’eticità si attagliano al bisogno.
Si cambia gabbana facilmente, con tanto di giustificazioni impudiche (se non sfrontate), si fingono di ignorare malefatte e persino torti subiti se il gioco vale la candela, ossia se si guadagna qualcosa. È la mentalità fertile che consente il modus vivendi dell’accorduni dilagante non solo nella politica, ma in ogni ambito della vita sociale. L’accorduni, vale a dire l’alleanza sotterranea e per molti aspetti inconfessabile anche con “Belzebù” in nome dei propri tornaconti spiccioli.
Non capirò mai questa logica che ho visto cresciuta a dismisura da quando, un trentennio fa, avevo lasciato la Calabria per i miei studi universitari. O meglio non l’accetterò mai e per questo ho deciso di restare, contro ogni mio interesse monetario, contro ogni logica materiale. Sono convinto che la rassegnazione, la convinzione indotta da dinamiche diffuse che “tanto non cambierà mai niente” renda molto più agevoli gli “accorduni”, e quindi i soprusi, le illegalità misconosciute o ignorate.
Se si andasse via dopo essersi resi conto di certe gravità bisognerebbe tacere per sempre, far conto ogni giorno con il rimorso di essere, seppure in piccola parte, correo della cappa asfittica che sta strangolando la nostra regione. E per quanto si possano esibire giustificazioni ad hoc in pubblico, con la coscienza è impossibile mentire.
Queste riflessioni mi sono suggerite da una pausa voluta di silenzio, mentre lavoravo indefessamente con gli altri strenui superstiti dell’Ora della Calabria alla sfida di una nuova testata, totalmente libera e sicura dal rischio di bavagli e censure. Questo sogno ora ha preso corpo, presto ne illustreremo i dettagli. Ma la partita è stata quanto mai dura, costellata di delusioni umane che lasciano il segno. Nel riflettere la collera e il dolore iniziali sono stati soppiantati dalla lucida consapevolezza che c’è tutto un sistema il quale opera facendo leva sulle miserie, sulle paure e sulle fragilità altrui. E questa consapevolezza mi rende sempre più sereno e convinto nella mia scelta.
Sono passati oramai cinque mesi dalla messa in liquidazione della C&C la nostra casa editrice, quattro dal brutale oscuramento del sito in contemporanea alla sospensione della pubblicazione, quattro da quando non è stato più versato alcunché ad alcuno dei dipendenti o dei collaboratori. Il liquidatore, Giuseppe Bilotta, non fornisce alcuna risposta al Cdr sulle spettanze dovute, sugli eventuali crediti incassati in questo periodo. Anzi abbiamo saputo dall’Inpgi che contattato per la pratica relativa al versamento della cassaintegrazione, dopo molti vani tentativi, ha risposto in sua vece il figlio al quale è stato chiesto di avvertire i giornalisti di compilare i moduli per la richiesta. Questa comunicazione non è mai avvenuta e abbiamo dovuto venirne a capo da soli con l’aiuto del Sindacato Giornalisti della Calabria. Verrebbe da chiedersi se il liquidatore abbia un interesse specifico che noi giornalisti dell’Ora restiamo senza alcun mezzo di sostentamento o se qualcuno gli stia suggerendo questa strategia. Una strategia che rende estremamente deboli e vulnerabili. Favorisce i vuoti di coraggio, la rassegnazione, la disponibilità agli accorduni.
Ma questo non è certo il solo interrogativo che scaturisce dalla nostra “liquidazione fantasma”. Nessuno si chiede come mai la C&C sia ancora operante, perché non abbia ancora portato i libri contabili presso il tribunale fallimentare, come il liquidatore aveva annunciato di voler fare lo scorso maggio al tavolo di trattativa apertosi presso la prefettura di Cosenza. Personalmente ho più volte chiesto al prefetto Tomao e ai suoi collaboratori più stretti di riprendere le sedute, ma da oltre un mese non ho ricevuto più alcuna risposta.
Senza risposta sono rimasti anche i numerosi appelli pubblici rivolti alla Procura di Cosenza sia da me, sia dal vicesegretario nazionale e segretario regionale della Fnsi, Carlo Parisi, perché si faccia luce sulle tante assurdità e sui tanti soprusi che abbiamo vissuto da quando è entrato in scena Bilotta, perito commercialista di Piero Citrigno nella causa che ha portato alla confisca dei suoi beni per un valore di 100 milioni di euro, e assistito dall’avvocato Celestino, che è legale di Citrigno senior nel medesimo processo, come lo è stato di Nicola Adamo, nell’inchiesta “Why not”.
Rammento che Bilotta ha lasciato far cambiare la serratura della nostra redazione di Cosenza dov’erano custoditI tutti i nostri strumenti di lavoro per ordine di Alfredo Citrigno, l’ex presidente della C&C figlio del sopramenzionato che, come e quanto suo padre, non dovrebbe avere più alcuna voce in capitolo. Almeno in base alla legge.
Noi non sappiamo che fine abbiano fatto i computer nei cui file c’era il nostro lavoro, né le nostre carte, i nostri appunti. Ma qui in Calabria è tutto possibile, anche che Bilotta si presenti presso l’Assessorato regionale del lavoro, uffici reggini, per la firma dell’accordo sulla cassaintegrazione venendo in auto assieme a Perri, il manager addetto alle buste paga della C&C al quale chiedeva insistentemente consiglio, tra un bisbiglio e l’altro, durante l’incontro. Perri si è adirato moltissimo quando io ho chiesto che la sua presenza fosse riportata sul verbale. Non ci è dato di sapere se Bilotta abbia fatto istanza al commissario nominato dalla Dda per i beni confiscati ai Citrigno perché venga riversata la somma di 100 mila euro stornata da Citrigno junior dal bilancio della casa editrice a quello di una delle sue aziende operanti nel campo sanitario.
Non mi importa se si continueranno ad ignorare queste ed altre irregolarità. Se l’obiettivo è quello di indebolire o di sfinire, possono continuare all’infinito. E non solo perché c’è un gruppo d’irriducibili dell’Ora che non si pieghierà mai. La gente calabra non è più tutta così quiescente e vulnerabile. Me ne sono reso conto ancor più partecipando a vari dibattiti per tutta l’estate nell’intero territorio regionale.
Domani sera, alle 21.30, sarò sul lungomare di Falerna a intervistare i tre candidati alle primarie del Pd: Callipo, Oliverio e Speranza. Ho in mente di fargli tutte le domande possibili, per quanto già disilluso (e spero di essere solo prevenuto). Ma difficilmente si può dare torto agli imprenditori della Confindustria locale che hanno accusato i democrat di contribuire al teatrino per rinviare usque ad libitum la data delle elezioni regionali e tutti i politici, di destra e sinistra, di essere sempre più scollegati dai reali bisogni della regione.
Dopodomani, domenica 31, invece, al Glauco di San Nicola di Soverato, il dibattito organizzato dal nostro blog “l’Ora siamo noi” sulla libertà di stampa “Quando mafie e poteri occulti vogliono mettere i bavagli”. Ci saranno, tra i relatori, il ministro Maria Carmela Lanzetta, i senatori Nicola Morra e Doris Lo Moro, il commissario della Provincia di Catanzaro, Wanda Ferro, il vicesegretario della Fnsi, Carlo Parisi, i magistrati Domenico Guarascio e Gerardo Dominijanni. Poi tanti ospiti autorevoli, fra i quali Angela Napoli, ex presidente della Commissione Antimafia. Un momento di riflessione per tutti i giornalisti della Calabria dopo Polistena e l’importante passo segnato dell’alzare la voce congiunto, coinvolgente tutta la categoria, per un bene superiore, in barba agli accorduni e ai soprusi.
Luciano Regolo
La verità vi renderà liberi di costruire ogni vostro progetto futuro sulla roccia.